La leggenda narra che un pesciolino origliò Shiva mentre illustrava alla moglie Paravati i segreti della meditazione, quindi nuotò per le acque del mondo, testando su di sé gli insegnamenti della divinità. Dopo aver girato in lungo e in largo la Terra, grazie al percorso evolutivo della disciplina, si trasformò in uomo e diventò il primo yogin (colui che pratica lo Yoga) in assoluto. Questa favola antica, che intrattiene i bambini in Oriente, è la dimostrazione di quanto le origini della pratica si perdano nella notte dei tempi. Le prime testimonianze arrivano dall’India sotto forma di disegni su tavolette e sigilli del 5000 a.c. Inizialmente il Maestro insegnava lo Yoga al discepolo esclusivamente in forma orale, i primi reperti scritti sull’argomento risalgono al 3000 a.c.
Con il termine “Yoga” s’intende quell’insieme di tecniche meditative che vanno ad esplorare la natura di ogni animo, per raggiungere una maggior consapevolezza di sé ed essere in grado di gestire le emozioni. L’avvento del ventunesimo secolo fa sì che questa disciplina, che ha radici orientali, inizi ad esser praticata un po’ ovunque. Quindi cominciano ad esser presi in considerazione i molteplici benefici che se ne possono trarre. L’enorme diffusione in Occidente ha permesso che lo Yoga fosse anche oggetto di indagine scientifica, non può esser definito come la panacea di tutti i mali, né un medicinale (nessun insegnante ve ne parlerebbe in tal modo), tuttavia gli vengono riconosciute interessanti potenzialità per favorire il benessere.
Alla base della disciplina ci sono posizioni, che da fuori, potrebbero risultare contorte. Questo aspetto potrebbe far pensare allo Yoga come qualcosa di non inclusivo, specialmente per le persone con disabilità. A sfatare questo mito ci pensa Gian Piero Carezzato – diplomatosi insegnante nel 2008 con una tesi su Yoga e disabilità – che insegna a Milano, presso il centro “Yogabile”, la cultura e il rispetto del limite attraverso la meditazione: “Ricordiamoci che la disabilità è qualcosa di culturale, se non ci fossero pressioni da parte del mondo esterno che ci fanno sentire diversi, non avremmo alcun disagio da dover gestire interiormente. E non mi riferisco solo alla disabilità di nascita, ma a tutte le disabilità che riguardano tutti gli esseri umani che, non sentendosi accettati per quello che sono, vengono ‘giudicati diversi’, in quanto non aderenti a una ‘forma’ omologata.
Lo yoga mi ha insegnato che è sbagliato farsi ‘definire’ da qualcosa che è esterno a noi. Tutto ciò di cui noi abbiamo bisogno per sentirci bene è dentro di noi, è in noi, siamo noi, con tutte le nostre differenze che sono ricchezza”.
Infatti, in presenza di una disabilità, la pratica dello Yoga può trovare applicazioni sorprendenti: la disciplina insegna proprio l’unione – significato della radice “Yuj” – come strumento inclusivo che valorizza le differenze di ognuno nel suo insieme, assecondando ogni limite, per trarne un determinato valore aggiunto. Il corpo viene concepito come un tempio e la pratica costante aiuta a fare un viaggio introspettivo per conoscersi ed accettarsi, fino a raggiungere l’armonia interiore. Yoga è cognizione del movimento in accordo con il respiro, progressione nel rispetto delle limitazioni che tutti noi, in maniera diversa, possediamo. Entrare in contatto con le proprie debolezze e farne un punto di forza è alla base della resilienza, un percorso lungo e tortuoso che non ha barriere ma ostacoli da superare. Non necessariamente di natura fisica.
Articolo di Andrea Desideri