Diverse associazioni stanno manifestando il proprio dissenso per le gravi violazioni dei diritti di una donna con disabilità
Firenze si mobilita per liberare Yaska. In molti accolgono l’appello dell’Associazione “Diritto alla Follia” e accorrono al presidio organizzato davanti al Tribunale di Firenze per restituire a Yaska il suo diritto all’autodeterminazione. C’è anche Simona Lancioni della UILDM e “Informare un’H”. La Direzione Nazionale UILDM si schiera per la difesa dei diritti di una donna di trentuno anni sottratta alla famiglia, istituzionalizzata e sottoposta ad interdizione sette anni fa, che chiede di uscire, di poter tornare ad essere libera.
Il 4 agosto 2015 Yaska fu prelevata da un’ambulanza per essere sottoposta ad un TSO (trattamento sanitario obbligatorio), ma insieme al personale sanitario vi erano due carabinieri che l’ammanettarono. Non aveva commesso alcun reato: era solo malata di “schizofrenia di tipo affettivo”, giudicata pericolosa per sé stessa e fonte di disturbo per i vicini, perché soffre di psicosi.
Ricoverata da allora, il 9 aprile 2019 venne costretta ad abortire, nonostante la volontà manifestata di proseguire la gravidanza. Anche in quel caso, il suo unico reato fu d’essersi innamorata di un uomo col quale ha una relazione da dieci anni ma, evidentemente, chi è schizofrenico come lei, non ha troppi diritti all’autodeterminazione, mentre i figli degli schizofrenici non hanno nemmeno il diritto di nascere.
Yaska manifesta una prima psicosi nel 2006. La diagnosi definitiva giunge nel 2009, ma una serie di trattamenti farmacologici sbagliati le causano altri problemi alla salute, creano una dipendenza da psicofarmaci e non sortiscono alcun beneficio per la sua schizofrenia. Cambia terapia e medici più volte, ma le sue condizioni peggiorano ancora. I sanitari decidono il trasferimento in comunità, ma lei fugge in preda a una nuova forte psicosi. Sua madre vorrebbe tenerla a casa con sé, l’affida ad alcuni specialisti, ma le sue condizioni sono gravissime e i vicini di casa pretendono tranquillità. Mamma Jeanette trova una comunità adatta a questa figlia con l’animo artistico, che danza fin da bambina e che aveva frequentato il conservatorio imparando a suonare pianoforte e violino. È fuori Firenze ma, dopo due settimane di pre-inserimento, non l’ammettono. Torna a stare con sua madre, ma i carabinieri giungono con le manette per Yaska e una denuncia per Jeanette: “sequestro di persona, maltrattamento, rumore nel vicinato”. Jeanette verrà assolta nel 2019, ma non per il reato di sequestro di persona. Il tribunale richiede la nomina di un amministratore di sostegno esterno alla famiglia. Per due anni circa, madre e figlia non riescono a vedersi. Quando nel 2019 Yaska resta incinta, il suo fidanzato viene indagato (poi assolto) per abuso sessuale. Dalla trasmissione televisiva Le Iene sentiremo parlare di “aborto di Stato”.
I legali di Yaska, da quattro anni e fino al presidio, insistono per dimostrare la grave negligenza dei medici, l’accanimento giudiziario contro Jeanette (ne chiedono l’assoluzione), la capacità di autodeterminarsi di Yaska. L’Associazione Diritti alla Follia, che segue il caso e combatte per un riesame della legge sul TSO, al presidio partecipa con l’Associazione Penelope, per i diritti delle persone con disabilità psichiatriche. Il Gruppo Donne UILDM, in vista del presidio del 23 marzo, spinge con forza la campagna di sensibilizzazione attraverso media e giornali. Anna Mannara, consigliera nazionale, dichiara a gran voce: “Questa storia ci dà la misura di quanto siamo ancora lontani dal guardare alla persona con disabilità senza quel muro di pregiudizio e di categorizzazione, nonostante i progressi degli ultimi vent’anni a livello legislativo” .
Infatti, ricordiamo che l’articolo 12 della Convenzione Onu sui diritti delle persone con disabilità riconosce il diritto inalienabile di godere della capacità legale su base di uguaglianza con gli altri. “Questo vuol dire – continua Mannara – che qualunque sia il tipo di disabilità, intellettiva e psichiatrica, è sempre fondamentale mettere in atto tutte le misure necessarie e utili a consentire alla persona di esprimere e di manifestare la propria volontà e i propri desideri riguardo a tutti gli aspetti della propria vita”, perciò: “si configurano come violazioni dei diritti umani sia i tentativi di impedire/inibire l’espressione della sessualità, sia i trattamenti sanitari – come l’interruzione di gravidanza e la sterilizzazione – messi in atto senza il consenso libero e informato della persona interessata. Queste violazioni dei diritti umani si configurano come forme di violenza”.
Simona Lancioni del Gruppo Donne ha partecipato al presidio, trasmesso in diretta Facebook per dire: “Non dobbiamo sostituirci alle persone con disabilità, ma metterle in condizione di esprimere la loro volontà. Yaska non viene ritenuta all’altezza di scegliere, ma nessuno ha verificato che ciò non fosse stato possibile”. Perciò, davanti al Palazzo di Giustizia il grido è stato unanime: “Yaska torni subito libera!”.
Per rivedere la diretta Facebook del presidio si può consultare l’apposito link.
(Giuseppina Brandonisio)