L’amarezza per la finale persa lo scorso anno non li ha fermati. I Black Lions Venezia si laureano Campioni d’Italia 2016/17 per la prima volta nella loro storia sportiva. Un successo travolgente quello ottenuto dalla compagine veneziana, arrivato sui campi di Lignano Sabbiadoro (Udine) dove sono andate in scena le finali di A1 (appunto, valide per il tricolore) e A2 (valide per la promozione alla massima serie, ottenuta da Madracs Udine e Rangers Bologna). Il trionfo dei Leoni Neri arriva dopo una cavalcata incredibile, passata attraverso la vittoria della semifinale contro Coco Loco Padova (1-0) – i campioni uscenti – e contro Shark Monza in finale (2-0). Con l’occasione, abbiamo contattato Saurò Corò, storico giocatore e allenatore della squadra veneta.
Com’è essere Campioni d’Italia?
«Una bella soddisfazione. Noi siamo relativamente giovani, perché nati nel 2012 tramite la Uildm di Venezia come squadra, e in poco tempo siamo arrivati a essere, appunto, Campioni d’Italia. Quindi, una grande soddisfazione ed emozione, ovviamente. Soprattutto per me, che faccio parte sia del direttivo della squadra che anche del gioco, e anche per i ragazzi, perché ho visto una crescita veramente esponenziale. Siamo tutti euforici».
La finale è stata molto combattuta, non solo per il risultato maturato (2-0), ma anche per il livello di tatticismo.
«Siccome sono anche l’allenatore, la prima cosa che ho detto ai ragazzi è stata: “L’importante è non prendere gol”. Ovviamente, in campionato, vedi partite giocate un po’ più a viso aperto, perché lì hai davanti tutta un’annata per far punti, e quindi provi anche più schemi. Invece, in finale, la tensione e quello che c’è in palio… sì, è venuta fuori una partita molto tattica perché la prima regola, per me, è non prendere gol. Davanti avevamo comunque Monza, che ha il capitano della Nazionale, Muratore, a cui non puoi concedere neanche un millimetro. Lui può tirare da qualsiasi angolazione e farti gol. Poi, segnare a loro non è proprio così semplice. Quindi, sì, partita tattica proprio per non prendere gol e, dopo, tentare di farli».
Il vostro primo storico scudetto arriva dopo il predomino impressionante dei Coco Loco Padova. Come ti spieghi questo cambio di rotta?
«Già lo scorso anno siamo arrivati in finale con i Coco Loco Padova. Fino al terzo tempo eravamo ancora sul punteggio di 0 a 0, ma abbiamo perso la finale anche per poca esperienza, quella che invece quest’anno ci siamo portati dietro. Noi siamo arrivati dietro Padova grazie a Pietro Giliberti, che ha il gran merito di averci fatto arrivare in finale, è un grande giocatore. E quest’anno è arrivato Claudio Salvo, che era del Padova, e quindi ci siamo rafforzati. Adesso, per me, siamo una squadra forte e completa in tutti i reparti – e non lo dico perché siamo Campioni d’Italia. Abbiamo il portiere Simone Ranzato che è fortissimo e i due centrali Matteo Pagano e Alessandro Franzò che sono i due ultimi uomini migliori d’Italia, mi sbilancio nel dire questo: sono veramente forti. Poi abbiamo due nazionali, Ilaria De Ruzza e Ion Jignea. Insomma, la squadra è cresciuta. Al di là di nuovi rinforzi, eravamo cresciuti anche noi come gruppo iniziale».
A questo punto, quali sono i piani della società? Farete qualche nuovo innesto o il gruppo non muterà?
«Adesso siamo arrivati proprio alla squadra ideale, abbiamo dodici giocatori di cui nove che giocano già da diverso tempo e tre nuovi innesti che sono arrivati quest’anno. Tra questi c’è Patrick Granzotto, che è una mazza, e di cui sentiremo parlare per anni, secondo me. Posso metterci dei soldi sopra per scommessa [ride]. E poi abbiamo Manuel Giuge, un’altra mazza con punteggio inferiore, e Veronika Yakymashko, il secondo portiere. Ci siamo anche come affiatamento, dentro e fuori dal campo. Non dico che siamo al 100%, perché c’è sempre qualcosa da migliorare, ma siamo al 99%. Non ci servirà nessuno e sono fiducioso per la prossima stagione».
Quindi l’obiettivo del prossimo anno è riconfermarvi?
«Sicuramente. Anche perché lo scorso anno abbiamo fatto tutte vittorie e un pareggio, miglior attacco e miglior difesa; ora, con lo Scudetto cucito sul petto, devi pensare a riconfermarti. Altrimenti, come dico io, rischi di esser stato una meteora».
Per quanto riguarda le altre squadre, quale ti ha impressionato e quale deluso?
«Nel mio girone, sono stato impressionato e deluso dalla stessa squadra: Roma aveva le potenzialità per arrivare in finale, ma allo stesso tempo ha deluso le aspettative. Con il potenziale che si trovano, io avrei scommesso a inizio stagione che fosse una delle finaliste del nostro girone, insieme a Venezia. E invece ha avuto questi alti e bassi che non si riesce a spiegare. Però onore ai Leoni Sicani, la squadra siciliana, perché hanno veramente giocato bene. Anche loro altalenanti, un pochettino. Soprattutto durante le trasferte: hanno dovuto sopportare una trasferta di tre giorni, giocando tutti i giorni tra Torino, Varese e Venezia, e lì hanno perso punti importanti. Ma, alla fine, sono riusciti a qualificarsi».
Cosa ne pensi delle neopromosse?
«Anche qui sono molto contento. La mia prima partita l’ho disputata contro i Madracs Udine, con loro siamo quasi gemellati. Sono veramente contento per loro perché è una squadra giovane, che in pochi anni e con molti sacrifici sono riusciti ad arrivare nella serie maggiore. Ovviamente, hanno anche Comino, che fa parte della Nazionale e fa gran parte del gioco. E comunque tutto il movimento sta crescendo, anche se sono dentro dal 2012. Ma ho visto un cambio di marcia da parte di tutte le squadre, perché tutte si sono potenziate con nuove carrozzine, nuovi mezzi. Il tasso si sta alzando molto, anche a livello tecnico. Prevedo buoni campionati in A1, ma anche in A2. Noi là abbiamo i Treviso Bulls, che sono i nostri fratelli minori, una costola dei Black Lions, e anche loro si sono rafforzati con nuove carrozzine e nuovi giocatori. Anno per anno, prevedo che il Wheelchair Hockey in Italia andrà sempre meglio».
Da diversi anni, si parla di un possibile approdo di questa disciplina sportiva nella Paralimpiadi.
«Eh, sarebbe anche ora [ride], vista anche la nostra Nazionale. Lo scorso anno è arrivata seconda agli Europei dietro l’Olanda, la squadra da battere in quanto è la più forte del mondo. Come dicevo prima, il tasso tecnico si è alzato dai primi anni Novanta, quando si giocava con carrozzine che andavano a sei all’ora, recuperate un po’ così. Adesso, quasi tutte le squadre hanno carrozzine prettamente da hockey, quindi parliamo di mezzi performanti. È uno sport spettacolare, per le Paralimpiadi lo vedrei molto bene».
Come sai, un problema riguardante i giovani è la paura di provare lo sport per le persone con disabilità. Quale messaggio puoi lanciare in favore del Wheelchair Hockey, che non conosce distinzione di alcun tipo, neanche quella di genere e di età?
«Hai detto bene te, questo è uno sport che può essere fatto da qualsiasi tipo di disabilità, anche le più gravi. Ho visto gente in campo anche con il respiratore o guidare la carrozzina con il mento, tetraplegici, paraplegici, con distrofia muscolare, sclerosi multiple… Quindi questo sport racchiude a 360° tutte le disabilità. Non c’è limite d’età, io ne ho 43 e il nostro portiere, Simone, ne ha 12. Possono giocare tutti, noi in squadra abbiamo anche ragazze. Il bello è proprio questo, che può essere fatto da tutti. Io dico sempre che è uno sport veramente bello, che ti prende: c’è il gruppo, c’è la squadra, ci sono le trasferte e gli allenamenti. È uno sport emozionante, un mix tra basket e calcio».
Ti ringraziamo per queste parole, per uno sport che noi teniamo molto a diffondere.
«Beh, guarda, io ho fatto un’incidente a 28 anni e ho giocato 18 anni a calcio. Ritornare all’emozione di far gol con la mazza o con i piedi è la stessa cosa. Anche a me, quando me l’avevano proposto, non ero convinto. Ma invece è uno sport stupendo».
Articolo di Angelo Andrea Vegliante