“Un combattente, un paladino dello Stato”. Così è stato da molti descritto Walter De Benedetto, un uomo che da tempo soffriva di una grave patologia degenerativa e che ha lottato per la legalizzazione della cannabis terapeutica, unica alleata contro i forti dolori che lo affliggevano. Walter Di Benedetto adesso è morto, ma la sua battaglia è servita a qualcosa?
“Il dolore non aspetta”, era solito ripetere. Lui, cinquantenne aretino, che da trentotto anni soffriva di una forma molto grave di artrite reumatoide, malattia infiammatoria cronica sistemica che gli ha causato la deformazione degli arti. Una patologia che lo vedeva costretto alla quasi totale paralisi del corpo. Lui che ha dovuto rendere pubblico il suo dolore. Lui che ha scelto di schierarsi per la legalizzazione della cannabis.
La storia pubblica di Walter De Benedetto è iniziata nel 2019, quando dei carabinieri si presentarono a casa sua, denunciando una sua personale coltivazione di piantine di cannabis. “Dagli spacciatori non andrò mai”, soleva ripetere come motivazione per l’esistenza della sua piccola serra. Nonostante fosse in possesso della prescrizione medica, un grammo al giorno passato dal servizio sanitario non era sufficiente ad appianare i suoi dolori. Il problema è che per alcune persone a cui serve, procacciarsi la cannabis non è semplice. Molte malattie come questa, o come il cancro, richiedono una somministrazione continua di un antinfiammatorio. Noi sappiamo – grazie a diversi studi – che la cannabis contrasta i dolori cronici e permette un miglioramento generale della salute e della morale del paziente. Purtroppo, l’utilizzo però, spesso contrasta con le nostre leggi, che non vedono positivamente l’uso di questa tipologia di sostanze stupefacenti. Eppure, è possibile comprarla per strada, a quasi ogni angolo, da venditori non regolari essendo illegale. De Benedetto semplicemente non voleva finanziare un giro di soldi miliardario e per questo preferiva coltivarsela da sé, non negando mai il fatto. Ad aprile 2021 i giudici del processo gli avevano dato ragione, assolvendolo dalle accuse di detenzione e spaccio di sostanza stupefacente: Walter aveva una necessità evidente, la sua condotta era stata considerata lecita e necessaria alla sua condizione.
Da allora di alleati Walter ne aveva avuti parecchi, come i Radicali Italiani, L’Associazione Luca Coscioni ed alcuni esponenti politici, fra cui Marco Cappato, che seguì la vicenda da vicino per tutta la sua durata. Ma era la sua caparbietà a spiccare, come quando si fece portare in ambulanza sotto al Parlamento per manifestare. O mentre si schierava a favore del referendum di febbraio scorso. Quando quest’ultimo venne considerato incostituzionale, fece un appello pubblico ai parlamentari perché discutessero una volta per tutte su di una legge, quella sulle droghe leggere soprattutto ad uso terapeutico, che da anni aspetta che gli venga data una forma ed un significato. Una responsabilità che nessuno si vuole prendere, nonostante gli evidenti – se ben regolamentati – benefici economici e sociali. “Ci sentiamo scoraggiati perché sembra che il nostro Stato preferisca lasciare 6 milioni di consumatori nelle mani della criminalità organizzata anziché permettergli di coltivarsi in casa le proprie piantine”.
Walter De Benedetto è morto, ma non i suoi ideali. Lui vincitore di una battaglia di civiltà, noi aspettiamo di vincere la guerra.
(Angelica Irene Giordano)