Fanno discutere alcune linee guida relative alla pandemia
Angelica Giordano
La vita umana ha valore diverso in base alla condizione delle persone? Secondo alcuni Stati degli Usa, sembrerebbe di sì. Con l’Alabama in testa, seguita da una decina di altre nazioni, fra cui Minnesota, Colorado, Tennessee e Utah, hanno preso una posizione netta su chi avrà il privilegio di essere attaccato ad un respiratore e salvarsi la vita, se dovessero sopraggiungere problemi polmonari legati al coronavirus.
I respiratori a disposizione sono pochi. Molto pochi in confronto alla enorme popolazione americana. L’appello del Governatore dello Stato di New York, Andrew Cuomo, è carico di amarezza: “Chi sceglierà le 26mila persone che moriranno perché ci avete mandato solo 400 respiratori?”.
Mentre in America imperversa la prima ondata di contagi, con New York come grande focolaio, dove sono allocati la metà dei contagi totali, il Governatore aggiunge anche che i newyorkesi hanno la pelle dura e temprata. Ma l’assistenza medica è altamente sotto pressione: il presidente Usa Trump ha finalmente permesso l’accesso alle cure anche a chi non è in possesso dell’assicurazione sanitaria, dopo che migliaia di persone l’hanno persa insieme al lavoro.
Con più di 300mila contagi, però, il personale sanitario e le macchine, non riescono a gestire tutti. Ecco allora che, in vari Stati, i medici sono chiamati a valutare la condizione mentale e fisica del paziente. In Minnesota, saranno la cirrosi epatica, le malattie polmonari e gli scompensi cardiaci, ad escludere i pazienti dalle cure. In Tennessee, dal diritto di assistenza al malato saranno escluse le persone affette da atrofia muscolare spinale. Il Michigan darà precedenza di cura, a chi opera nei servizi essenziali. L’Alabama, invece, esplicita la bassa probabilità di curare persone con disabilità psichica, per loro “candidati improbabili per il supporto alla respirazione”.
Alcuni gruppi a sostegno delle disabilità hanno fatto causa agli Stati sopra nominati, per far sì che non passino queste direttive, che violano il diritto alla vita. Le varie organizzazioni stanno facendo pressioni affinché non venga fatta discriminazione sulle persone con difficoltà fisiche e mentali.
La direzione presa da questi Stati risulta ingiusta, considerando anche che con più prevenzione nelle prime settimane ed una prestazione sanitaria realmente al servizio di tutti i cittadini americani, il contagio sarebbe stato molto più contenuto.
Sta di fatto che i medici statunitensi vengono messi davanti alla più grande scelta etica della loro carriera. Portati per lavoro a scelte importanti, mai si erano trovati davanti alla opzione continua di chi far vivere e chi far morire.
Chissà cosa penserebbero di questa situazione, oggi, grandi menti scientifiche, umanistiche e strategiche, come lo scienziato con Sla Stephen Hawking oppure il matematico con disturbi mentali John Nash, che ha ispirato il film A Beautiful Mind? Come commenterebbero le scelte di una società che li lascerebbe al loro destino, senza neanche provare a salvarli?
Andrew Pulrang di Forbes, giornalista ed attivista per i diritti delle persone con disabilità, ha scritto un articolo interamente dedicato alle cose da sapere sulla correlazione fra disabilità e coronavirus. Il giornalista spiega che per le persone con disabilità, è molto difficile seguire i dettami sulla prevenzione del virus. Basti pensare al fatto che alcune persone disabili non sono autosufficienti, per cui hanno bisogno di una figura esterna che si occupi delle loro necessità. Pulrang ci fa sapere che negli Stati Uniti d’America queste persone sono terrorizzate dai messaggi che passano attraverso televisione e giornali nazionali. “È rassicurante per la gente, sentirsi dire che il virus non è preoccupante, se non per gli anziani e per chi ha una salute fragile. Ma ehi, fra quella gente ci siamo anche noi e stiamo ascoltando”.