Una Proposta di Legge, scritta dall’associazione Disabilmente Mamma, si prefigge di creare una rete di assistenza e servizi che aiuti le donne con disabilità durante il loro percorso di madri e future tali
Il 10 maggio è stata presentata alla Camera dei Deputati, su iniziativa dei parlamentari Gribaudo e Furfaro, la proposta di legge “Interventi a sostegno delle madri con disabilità”. Ne parliamo con Laura Coccia, ex eurodeputata e attualmente rappresentante dell’associazione Disabilmente Mamma, che ha accettato di collaborare con le proprie idee alla stesura della suddetta PdL.
Come è nata questa Proposta di Legge?
“Nasce dalle nostre esperienze personali. Siamo un gruppo di donne con disabilità che hanno intrapreso il percorso della maternità e, nel farlo, abbiamo riscontrato dei problemi, delle lacune e delle difficoltà”.
Cosa prevede questa Legge?
“La Legge va incontro a diverse esigenze delle donne con disabilità. Innanzitutto, un nuovo approccio culturale alla maternità delle donne con disabilità, prevedendo per loro un codice di esenzione che non sia quello delle gravidanze a rischio, il quale viene attualmente assegnato alle loro gravidanze di default. Si va a creare quindi un nuovo codice di esenzione dedicato alle madri con disabilità che non veda la disabilità a priori come un fattore di rischio e che apra ad una serie di servizi dedicati, che offra un’assistenza diretta e immediata. Questo codice si unisce all’altra parte della Legge, che va a istituire una help line. Un numero nazionale a cui le donne con disabilità incinte possano rivolgersi nei primi mesi della gravidanza per conoscere i propri diritti. Troppo spesso quando si rimane incinta non si riesce trovare le risposte che si cercano e la help line serve appunto a dare risposte concrete alle persone, indirizzandole verso i servizi territoriali cui hanno diritto. Inoltre, la help line potrà guidare verso l’attivazione, nei casi in cui ciò sia necessario, di un’assistenza alla madre con disabilità sia durante la gestazione sia nel post partum. A tutto ciò si aggiunge la previsione dell’abbattimento delle barriere sia fisiche sia sensoriali dentro i reparti di ostetricia e ginecologia ma anche in tutti i consultori dove si trovano attività di screening per il tumore alla mammella. Questo punto è particolarmente importante poiché il 43% delle donne con disabilità non esegue i dovuti controlli, esponendosi ai rischi elevati causati dalla mancata prevenzione. Questo accade perchè le donne con disabilità spesso si trovano di fronte a strumenti e a centri medici inaccessibili, oppure si devono scontrare con gli stereotipi sulla disabilità e in particolare quelli sulle donne con disabilità. Ci vuole un cambiamento culturale”.
Ragion per cui avete toccato anche la questione della formazione.
“Sì, abbiamo previsto una formazione specifica, naturalmente per chi vuole. Bisogna tenere conto che non c’è nemmeno letteratura scientifica in merito, e quindi mancano dei protocolli standard dedicati alla maternità delle donne con disabilità”.
Quando una donna con disabilità si sente dire dai medici che non essendoci dei protocolli e pochi dati scientifici, si studierà e capirà come affrontare le cose passo dopo passo. Ti senti una cavia. Non c’è conoscenza su come “venire in contro” ai bisogni della futura mamma. La stessa cosa avviene nella fase del post-partum. Per esempio: per alcune donne con disabilità, le posizioni per l’allattamento classiche, non sono una opzione possibile. Serve un aiuto specialistico per capire quali posizioni siano utilizzabili dalla madre e lo stesso si può dire altri aspetti della maternità. Le modalità esistono, vanno trovate.
Nella PdL avete scritto anche una norma che parla del congedo parentale.
“Molte volte, le madri che si rivolgono alla nostra associazione si sentono sole, hanno paura. Si dicono: non posso fare il bagnetto a mio figlio, non riesco a cambiarlo… Non si sentono all’altezza perché la società non le fa sentire tali. Per questo è importante per noi permettere ai padri di essere presenti e di fare la loro parte, anche stando vicino ed essendo di supporto alle madri con disabilità”.
Ci sono alti standard sociali sulla maternità e quindi molta pressione sulle mamme.
“Come dicevo, spesso le madri ci dicono che non si sentono all’altezza. Sentono molto il peso di questi standard. Le stesse aspettative personali delle madri sulla propria maternità, le fa sentire inadeguate. Noi spieghiamo loro che ci sono sempre modi per interagire con i nostri figli, che magari non sono quelli che noi immaginiamo o quelli standard. Personalmente, io ho sempre giocato con mio figlio a terra, essendo quella la modalità più sicura per entrambi. Giochiamo molto insieme, ma ho scelto il modo in cui siamo in sicurezza. Gli ho spiegato anche che, se sto in piedi non lo posso prendere in braccio”.
Un’educazione al bambino, quindi.
“Più che altro un adattamento fisiologico del bambino alle esigenze della madre. Che poi è quello che accade per tutti i bambini e per tutti i genitori. Non siamo speciali in questo senso. Lo fanno tutti i genitori. Semplicemente ci sono esigenze differenti. Un genitore che deve lavorare per cui ha necessità che il bimbo svolga cose diverse dallo stare con lui: il bambino si adegua alle necessità del genitore. Esattamente come i nostri figli si adeguano al fatto che noi abbiamo difficoltà. Mio figlio mi ha chiesto, l’altro giorno, come mai io camminassi diversamente. Una domanda che mi aspettavo più in là. È arrivata, in anticipo, ma glielo abbiamo spiegato dicendogli la verità, in modo semplice. Ciò che ho imparato è che con bambini non si deve mentire. Dopotutto non c’è nulla di male, perché farlo? Una volta avuta la risposta, ha preso il monopattino ed è fuggito via. Per i bambini sono domande normali, è uno dei loro mille ‘perch’” quotidiani”.
Abbiamo parlato prima del congedo parentale, ma non è l’unica previsione sul mondo del lavoro contenuta all’interno della vostra proposta legislativa. Parlate anche di incentivi per l’assunzione di madri con disabilità.
“Certo, perché le madri con disabilità affrontano un doppio stereotipo, quando si affacciano a un’offerta di lavoro, le cosìddette discriminazioni intersezionali. Ovvero sono persone che devono scontrarsi con più stereotipi, da una parte come donne con disabilità, dall’altra come madri. Quindi se è complicato già che una azienda assuma una persona con disabilità, nonostante la legge 68 rappresenti un’opzione, una madre con disabilità ha ancora meno possibilità, e per questo ci vuole un incentivo. Credo che un lavoratore valga per le sue capacità e competenze e che la disabilità, il genere o l’essere o meno genitore non ne determinano affatto il valore. Ma mi rendo conto che questa visione non sia quella attuale e che sul punto c’è molto da fare”.
Un aspetto molto interessante di questa Legge è che al suo articolo 6 si parla dell’accessibilità dei centri antiviolenza. Come mai si è sentita la necessità di trattare questo tema all’interno di una PdL per la maternità?
“Perché alcune volte, purtroppo, ci siamo trovate davanti a donne che avevano paura di lasciare il proprio compagno di vita perché consapevoli che la disabilità può essere un fattore che gli fa perdere il bambino, la cui tutela viene data in automatico al padre, perché la disabilità viene vista come una caratteristica che rende la madre non adatta a prendersi cura del bambino. Ciò accade già nei casi di domanda di adozione. Ad esempio, alla nostra tesoriera, quando si è separata dal marito, è stato chiesto di dimostrare di avere una rete alternativa a sé stessa, per le attività quotidiane del figlio. Hanno dato per scontato che lei non riuscisse da sola a occuparsene. Alla nostra Presidente è successo, invece, che cinque ore dopo il parto le venisse chiesto dagli assistenti sociali di alzarsi per cambiare il suo neonato davanti a loro. Nessuna madre avrebbe potuto farlo, a poche ore dal parto. Per lei, a causa dell’essere persona con disabilità, questa difficoltà si è tradotta in un anno di controlli a sorpresa da parte del servizio sociale, conclusasi con uno ‘scusate, ci siamo sbagliati’. Per questo abbiamo stabilito che una parte dei fondi vadano all’accessibilità dei centri e dei rifugi antiviolenza e alla formazione del loro personale. Si deve avere in mente, anche che le donne con disabilità sono molto spesso vittime della persona che le cura quotidianamente, il loro caregiver, da cui dipendono. Decidere di uscire da una relazione così è molto difficile. Questo rende essenziale l’assenza di barriere di ogni genere e di pregiudizi nei luoghi di aiuto. Mi permetta di precisare che la nostra Proposta di Legge non è onerosa. Se si volesse si potrebbe renderla legge domani, economicamente parlando”.
Vi aggiorneremo, appena ci saranno novità su questa importante proposta normativa, che, quando sarà accolta permetterà alle donne con disabilità di godersi appieno la propria maternità e ad avere garantito il diritto alla vita familiare previsto dall’articolo 23 della Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità.
(Elisa Marino)