Un Mondiale appena cominciato vede l’Italia assente, ma gli occhi dovrebbero esser puntati sul Qatar, dove l’ingordigia degli organizzatori sta inghiottendo i diritti umani: l’ombra dello schiavismo aleggia sul prossimo Campionato del Mondo
Da qualche giorno sono iniziati i Mondiali di calcio in Russia, senza l’Italia che ha trovato comunque il modo per tenersi impegnata e far emergere il tifo nei suoi concittadini: fra navi lasciate in mare, stadi che avrebbero dovuto esser fatti, politica e corruzione, è un continuo dibattito che somiglia sempre più ad una contesa tra diverse fazioni. Non c’è il pallone che unisce e – per certi versi – “cancella” le pecche di un Paese, per cui bisogna pensare ad altro: quindi, tra un inno nazionale e l’altro, da eccellenti esclusi quando la festa è appena cominciata, proviamo a guardare oltre. Magari fino in Qatar, teatro del prossimo Mondiale. Dove speriamo di essere partecipanti, anche se – ora come ora – l’importante è non esser complici di uno scempio conclamato.
Molto spesso, dietro un grande evento, si cela sempre un lato oscuro di cose non dette. Sussurrate a mezza bocca, strozzate in gola, perché la convenienza è maggiore rispetto ai possibili rischi. Quest’equazione – per niente equa – vale sempre: persino quando in gioco ci sono i diritti umani. Ce l’ha insegnato il Brasile (vestito a festa per gli atleti, capace di ignorare le ferite di una popolazione e di una cultura, dinnanzi ai sorrisi di sponsor e costruttori) e lo conferma, oggi, il Qatar, dove le scelleratezze sono all’ordine del giorno. L’ha capito, in primis, The Guardian, il giornale inglese: qualche anno fa, rivelò la morte di quaranta operai nepalesi durante l’organizzazione dei Mondiali di calcio del 2022. Un tarlo nella testa di molti, una piaga sociale che stava prendendo forma e si è concretizzata nel momento in cui Amnesty International – Ong con oltre tre milioni di soci e sostenitori in tutto il mondo – ha pubblicato un rapporto rivelatore, dal titolo “Il lato oscuro della migrazione: luci puntate sull’edilizia in Qatar”, che dimostra gli abusi del settore edilizio sui lavoratori. Quasi tutti stranieri, provenienti da vari paesi asiatici.
Condizioni di lavoro deplorevoli, pieno sfruttamento, diritti fondamentali negati. Situazioni igieniche da far spavento, nessuna assicurazione, paghe da fame in nome della rapidità. Tutto nascosto, o quasi. A sentire Salil Shetty, segretario generale della Ong, la situazione non è affatto rassicurante: “È semplicemente inaccettabile che uno dei paesi più ricchi del mondo possa sfruttare così le persone, senza un minimo di pietà; e gli sfruttati sono i lavoratori migranti, privati del loro stipendio, il cui unico obbiettivo è quello di sopravvivere giornalmente”.
Un contesto disagevole e disagiante avvalorato dalla Legge, su cui i capi progetto fanno affidamento per attuare vere e proprie costrizioni: negli Emirati Arabi, la giurisprudenza prevede che solo i lavoratori residenti dello Stato – in questo caso, il Qatar – abbiano il diritto di appartenenza ad associazioni sindacali. Nella fattispecie, la manodopera, essendo perlopiù straniera, vede considerevolmente ridotte le proprie possibilità di successo in caso di probabili denunce. Una vera e propria trappola, fatta di ingranaggi da cui è impossibile divincolarsi. Inoltre, a molti lavoratori è negato il permesso di soggiorno al fine di rimanere esposti al rimpatrio e non avere, quindi, diritto all’assistenza medica.
“Il mondo guarda con interesse il Qatar per la preparazione dei Mondiali di calcio del 2022, per cui il governo di questo paese ha un’occasione unica per dimostrare a livello internazionale, che è seriamente impegnato a favore dei diritti umani e che può servire da modello per il resto della regione. I risultati della nostra ricerca evidenziano un grado allarmante di sfruttamento nel settore delle costruzioni in Qatar. La Fifa, a questo punto, deve trasmettere un fermo messaggio pubblico che non tollererà più abusi contro i diritti umani in merito ai progetti di costruzione, relazionati col Mondiale di Calcio”, ha rimarcato il segretario dell’Ong.
Dal canto loro, gli organizzatori della Coppa del Mondo 2022 – per cercare di sistemare questa situazione incresciosa – hanno indetto recentemente una conferenza stampa in cui, ringraziando Amnesty e le associazioni coinvolte, hanno ammesso che determinati abusi sono rimasti sotto silenzio per troppo tempo e che sarebbero corsi ai ripari quanto prima. Alle parole si è aggiunta la formazione di un Comitato di Benessere del Lavoratore (Welfare Workers). Tuttavia, stando ad alcune indiscrezioni che circolano fra gli addetti ai lavori, un ingente numero di operai sarebbe stato arrestato e rischia di esser rispedito al paese di residenza soltanto perché avrebbe osato scioperare (volontà smorzata poco dopo) date le costanti esposizioni ad infortuni e a morti bianche, conseguenza della mancanza di tutela. Ci sono ancora tanti scheletri nell’armadio, o meglio, troppi buchi in un pallone gonfio di angherie. Intanto la Fifa continua a tacere, un silenzio assordante che lascia intendere quanto i guadagni possano scavalcare, all’occorrenza, delle vite umane.
Articolo di Andrea Desideri