È terminato l’anno di servizio In Italia per sei volontarie del Corpo Europeo di Solidarietà. Queste sono le loro testimonianze
Sei ragazze provenienti da diversi paesi d’Europa, che mai si erano conosciute prima, aderiscono ad un bando di volontariato nell’ambito del Corpo Europeo di Solidarietà. Si ritrovano tutte a Roma, in un’associazione che tutela le persone con disabilità, la UILDM LAZIO onlus. Qui passeranno un anno della loro vita, svolgendo il proprio servizio in uno dei tre ambiti del progetto a cui hanno aderito. Queste sono le loro testimonianze dirette.
Alba, Amaya ed Eliada alla scoperta dell’inclusione
“Cosa significa per te inclusione e partecipazione?”. Questa è stata la domanda con cui ci siamo confrontate prima di iniziare il progetto qui alla UILDM. Eravamo tutte d’accordo sul fatto che l’inclusione e la partecipazione detengono alcuni valori fondamentali, come rendere le infrastrutture più accessibili, migliorare la qualità di vita delle persone con disabilità e assicurarci di creare più opportunità per tutti.
Questo è anche lo scopo del sottoprogetto “Social inclusion”, di cui abbiamo fatto parte durante questo anno di volontariato e che cerca di sostenere l’inclusione sociale delle persone con disabilità, e offrire loro diverse opportunità di socializzare. Più concretamente, noi volontarie del Corpo Europeo di Solidarietà visitiamo delle persone con disabilità fisiche a casa loro per realizzare progetti di integrazione, tenendo conto dei bisogni individuali di ogni persona.
I compiti sono stati diversi, come aiutare a fare la spesa, lavorare su un certo progetto insieme, accompagnare le persone a degli appuntamenti oppure andare al parco. Però anche giocare a casa oppure semplicemente chiacchierare e passare il tempo insieme sono state attività che abbiamo fatto con i nostri utenti.
Ognuna di noi ha avuto delle esperienze diverse con delle persone in base all’età, alla patologia e al carattere individuale, però abbiamo trovato degli aspetti in comune, che ci hanno fatto riflettere sull’importanza dell’inclusione sociale.
Già all’inizio del progetto eravamo consapevoli che per rendere una società inclusiva bisogna abbattere le barriere architettoniche. Però durante il nostro percorso come volontarie ci siamo veramente rese conto che la disabilità e l’autonomia di una persona dipendono tantissimo dal contesto in cui si trova, e non solamente delle infrastrutture. Facendo servizio con gli utenti, abbiamo notato che l’autonomia di ognuno dipende tanto dalle famiglie e dal supporto e la libertà che offrono. Anche per noi era difficile sapere se in determinati momenti dare una mano era utile o se era un modo di togliere autonomia all’utente, perciò abbiamo capito che per trovare l’equilibrio bisogna parlarne e chiedere direttamente, perché non c’è un unico modo giusto per andare incontro ai bisogni dell’altro.
Anche se a volte pensavamo che il nostro lavoro non cambiasse abbastanza le vite delle persone, abbiamo capito che il risultato non sarà mai un grande cambiamento, ma che sono le piccole cose a fare la differenza: ascoltare l’altro con attenzione, comprare le cose di cui ha bisogno, accompagnare al parco un bambino che non ci va mai, fare compagnia in momenti difficili… Insomma, andare incontro all’altro!
(Alba Alvarez Amaya, Eliada Ballazhi, Amaya Molina Sander)
Blanca e Victoria vanno a scuola
“Punti di Vista” è un progetto di educazione alla diversità rivolto agli alunni di scuola primaria e secondaria. Il progetto cerca di educare i bambini alla diversità e a promuovere l’inclusione dei bambini con bisogni educativi speciali a scuola. Il progetto comprende una mostra fotografica che i bambini visitano su una sedia a ruote, superando alcune barriere architettoniche. Sono compresi cinque incontri in classe, in cui temi come la disabilità, la diversità, gli stereotipi, il pregiudizio, l’empatia, le emozioni e la cooperazione sono affrontati attraverso il gioco. Il team del progetto Punti di Vista è composto da quattro volontari del Servizio Civile e noi due, volontarie del Corpo Europeo di Solidarietà.
L’anno di servizio è stato diviso in due tempi: all’inizio del progetto abbiamo ricevuto una formazione da parte di Massimiliano Patrizi sulle diverse competenze che sono state importanti durante il progetto. Dopo abbiamo dovuto progettare i cinque incontri. Per lavorare con bambini della quarta e quinta elementare abbiamo deciso di creare un percorso metaforico di un viaggio intergalattico. Il racconto ha fatto impazzire i bambini e grazie ad esso abbiamo potuto creare un legame più forte con loro. Dopo aver inventato e organizzato ogni incontro, abbiamo dovuto prepare e comprare il materiale che ci serviva. E una volta che tutto era pronto, il vero lavoro poteva cominciare – non senza un pizzico di stress.
Siamo andate in due scuole, una a Casalotti e l’altra a Nepi. Le giornate cominciavano con un viaggio, a volte lungo, per raggiungere l’istituto scolastico. Dopodiché facevamo gli incontri con le classi per due ore e mezza. In totale abbiamo effettuato sei incontri in ogni classe; il primo inizia con la mostra fotografica, e permette di introdurre i seguenti cinque incontri che si svolgono in classe.
Il lavoro nelle scuole è stato veramente piacevole, siamo stati positivamente sorpresi di vedere quanto i bambini erano felici di partecipare, di imparare e di essere disposti a riflettere sui vari temi che abbiamo discusso. C’è da dire che anche noi abbiamo imparato tanto in questi mesi di lavoro! Sin dall’inizio è stata una sfida dover mettere in pratica le competenze che avevamo appena imparato, come progettare un’idea. Abbiamo dovuto superare diverse difficoltà, come gestire le misure contro il COVID-19 oppure capire se le attività erano adatte a bambini di quell’età. È stato molto piacevole vedere che siamo riusciti a realizzare un bel progetto.
Lavorando nelle scuole abbiamo sviluppato pazienza, ma anche la capacità di comprendere i punti di vista dei bambini di dieci anni. Abbiamo scoperto come funziona il sistema educativo italiano, così diverso dal nostro. Ma abbiamo anche capito che c’è ancora troppo da imparare su di noi e sui bambini. Lavorare con loro può essere una sfida, un lavoro difficile, frustrante; ma quando una bambina ti dice che per lei la diversità è avere i capelli corti o lunghi, che l’amicizia può funzionare anche se si è di nazionalità diverse, e che l’amore è sempre amore anche tra due ragazzi o due ragazze, capisci che il nostro lavoro ha conseguito un risultato.
Forse non possiamo cambiare il comportamento dei bambini, ma possiamo far crescere un piccolo seme.
(Victoria Bueno Delahaye, Blanca Calvo Alonso)
Iuliia si affaccia alla finestra
Il mio sottoprogetto era legato alle attività di Radio FinestrAperta e della rivista Finestra Aperta. Facevo la regia delle trasmissioni in diretta, montavo i podcast e contribuivo ai materiali della rivista digitale. Ho imparato diversi trucchetti su MB Studio, Audacity e Adobe Audition e mi sono cimentata in WordPress. Nelle pause tra le trasmissioni e i compiti lavorativi, discutevo dei problemi e delle speranze delle persone con disabilità con gli altri collaboratori.
Grazie a questo progetto ho smesso di fare una netta distinzione tra una persona con disabilità e una senza. Mi è capitato più volte di essere l’unica persona senza disabilità nella stanza, e non me ne rendevo neanche conto. L’inclusione è il nucleo della redazione e si manifesta sia nei temi che vengono trattati che nel modo in cui si collabora.
Credo che sia indispensabile per qualsiasi persona avere un modo di comunicare il proprio punto di vista al mondo circostante, soprattutto se si hanno delle esperienze uniche. Questo vale anche per la comunità delle persone con disabilità: io stessa, partecipando alle puntate della radio in veste di regista delle trasmissioni, ho capito molto più profondamente quali sono i limiti che la società impone loro. Ora, con le conoscenze acquisite, vorrei trovare la risposta alla domanda: come possono essere superati?
Mi auguro che il progetto cresca, che la qualità delle puntate e degli articoli migliori e che la rivista e la radio raggiungano sempre più pubblico interessato ai loro contenuti, così come collaboratori con la voglia di far sentire le proprie voci.
(Iuliia Kislova)