La storia ce l’ha insegnato molte volte: la musica arriva dove ogni altro linguaggio non riesce. L’intreccio di parole e melodie crea una comunicazione infinita, celebrata ogni volta dalla nascita di nuovi brani che si riflette positivamente nella nostra società, soprattutto grazie al rap e all’hip hop. Uno di questi è Tutti uguali, tutti speciali, canzone rap realizzata dall’AIPD (Associazione Italiana Persone Down) di Reggio Calabria, con la collaborazione di diversi ragazzi con Sindrome di Down e dei rapper Kento e Mad Simon. Qualche giorno fa, abbiamo chiamato la coordinatrice di AIPD Sezione di Reggio Calabria, Maria Giuffrida, per farci raccontare la storia del progetto.
Com’è nata l’idea di “Tutti uguali, tutti speciali”?
«L’idea è nata da Francesco Carlo, Kento, artista rap di origini reggine che un giorno ha sentito una delle nostre ragazze, Giada, che cantava a Radio Touring – dove ogni venerdì mattina abbiamo una piccola finestra – una canzone di Alessandra Amoroso credo, ora non ricordo bene. Quella mattina Giada cantava a memoria questa canzone e lui, sentendo la radio via internet, si è messo in moto. Già avendo sia lui che Francesco Squillace, Mad Simon, parecchia esperienza di questo tipo, di impegno sociale, hanno chiamato immediatamente la nostra operatrice, Serena (quella mattina era con Giada, ragazza con Sindrome di Down di ventidue anni), di cui aveva il numero – in quanto si erano già incontrati in un’altra iniziativa sempre a sfondo sociale – e le ha proposto di fare qualcosa con l’Associazione. Voleva che i nostri ragazzi facessero rap».
Domanda di natura tecnica: si dice “persone con Sindrome di Down” o “persone affette da Sindrome di Down”?
«Si dice assolutamente “con Sindrome di Down”, perché la Sindrome di Down non è una patologia, ma un’insieme di caratteristiche della persona che derivano dalla presenza di un cromosoma in più nella coppia 21. Quindi non è una patologia. Noi spesso leggiamo questo termine, “persone affette”, ma in realtà i nostri figli (noi di AIPD Reggio Calabria siamo genitori, tutti i soci sono genitori nel nostro caso) hanno questo cromosoma in più, ma non sono affetti da qualcosa. Poi la sindrome può contenere delle condizioni che sono patologiche, ma la sindrome in sé non è classificabile come una patologia. Per cui, il linguaggio è molto importante perché la concezione di malato che si annette a una persona cambia l’immagine di questa persona. Noi ci teniamo molto a questo cambiamento. I nostri figli non sono malati Down, ma sono persone con una condizione genetica particolare. Faccio un esempio: mia figlia è nata con una cardiopatia, quella era la sua patologia. Ma non era la sindrome».
Questo concetto voi lo esprimente anche nel brano, che vuole far capire all’opinione pubblica italiana che ragazzi con Sindrome di Down – e altre forme di disabilità – non sono diversi, dove con il termine diverso si intende inferiore.
«Assolutamente. Noi teniamo molto alla cultura, che deve essere la forma principale di inclusione. I nostri ragazzi sono innanzitutto persone, come tutti. In qualunque condizione, siamo innanzitutto persone, non possiamo essere classificati primariamente per la nostra condizione. Quindi i nostri figli non possono essere classificati primariamente per la loro sindrome, sono persone, sono Giada, sono Alberto, sono Benedetta, sono Miriam e così via dicendo. Sono persone, ognuna col proprio carattere, ognuno con le proprie abilità, ognuno anche con le proprie difficoltà: come ognuno di noi, anche loro hanno delle singolari difficoltà, che sono diverse l’uno dall’altra, glielo posso assicurare».
Un altro risvolto positivo di questa canzone: i fondi raccolti dall’acquisto del brano in questione saranno devoluti al fine di potenziare i servizi della vostra Associazione. Ci può dire quali saranno?
«Certo. Ci tengo a precisare velocemente che per questa canzone la nostra Associazione non ha speso nemmeno un centesimo. Tutti quelli che hanno collaborato, dai cantanti all’ingegnere del suono, dal video maker a anche chi ha stampato le locandine, lo hanno fatto in forma gratuita. Tutti hanno lavorato gratuitamente con grande affetto, perché poi alla fine si è diventati tutti amici in un attimo. Spesso si fa la beneficenza, però si pagano le spese – e quello già è un dispendio -, in questo caso non è successo.
Detto questo, ci sono due servizi a cui teniamo moltissimo: il servizio di inserimento lavorativo e il servizio di informazione e consulenza. Il primo è un’attività proprio primaria, che riguarda appunto l’inserimento delle persone con Sindrome di Down in età lavorativa in realtà lavorative che possono essere consone alle loro abilità. I ragazzi che vengono selezionati, vengono formati e poi vengono inseriti in un’attività di tirocinio formativo che poi, si spera, sia il preludio per un inserimento definitivo. Al momento, abbiamo all’attivo due progetti che ricevono finanziamenti pubblici e che si concluderanno a breve, e riguardano la formazione e l’inserimento in tirocini formativi nelle attività ricettive. Adesso, proprio a giorni, partirà uno di questi tirocini che riguarda una di queste ragazza – la Giada di cui parlavo prima – che verrà inserita con un tirocinio formativo di sei mesi in un hotel di Reggio Calabria, un grosso hotel, e lei sarà collocata in sala breakfast. La ragazza ha già svolto la sua formazione presso la sede nazionale di AIPD, e adesso inizierà la formazione per quanto riguarda le mansioni che andrà a svolgere. A breve sarà firmata una convenzione ai sensi della Legge 68. È la nostra prima esperienza che però speriamo sarà l’apripista di tante altre iniziative, perché ci sono altri tre ragazzi che aspettano e che stanno seguendo lo stesso percorso, e perché il lavoro è alla base dell’inclusione sociale e per l’affermazione della dignità e dell’utilità sociale della persona. Giada andrà a lavorare, sarà presente sul luogo di lavoro, andrà a svolgere le mansioni che le sono state già assegnate, in quanto è stato stilato un piano di lavoro con degli obiettivi che avranno una progressione. Quindi lei sa già cosa andrà a fare e quali saranno i suoi compiti, come un qualsiasi altro lavoratore. A lei non verranno fatti sconti di alcun tipo.
L’altro servizio importantissimo per noi – è partito da due mesi – è il servizio di informazione e consulenza per le famiglie, che si rivolge non solo agli associati, ma a tutte le persone con Sindrome di Down del nostro territorio. In pratica, eroga delle consulenze per cui la persona gratuitamente – questo ci teniamo a dirlo – riceve una consulenza familiare riguardo lo sviluppo del bambino e della persona, anche adulta, con la Sindrome di Down da psicologhe abilitate, il supporto dell’assistente sociale e una consulenza logopedica nel caso ce ne fosse necessità. Ripeto, tutto gratuitamente».
Mi sembra di capire che “Tutti uguali, tutti speciali” avrà un suo seguito.
«A brevissimo, per il 28 maggio, stiamo programmando la prima edizione del Festival dell’Inclusione, che chiameremo Mani, proprio riprendendo il ritornello della canzone che dice ‘Teniamoci per mano / Più stringi e più mi sento con te’, dove noi – insieme ad altre associazioni e compagnie teatrali del luogo che via via si stanno aggiungendo – faremo una festa che culminerà nel tardo pomeriggio, al tramonto, con un concerto. Anche questo tutto in forma gratuita, come tra amici ci si tiene per mano e faremo una grande festa in un forte umbertino, che sta qui sul nostro territorio: è un promontorio che ha un panorama bellissimo sullo Stretto di Messina. Questa è la prima iniziativa che seguirà, perché i nostri ragazzi sono stati benissimo, abbiamo sperimentato che hanno anche imparato. Ci piace questa amicizia con Kento e Mad Simon, ci piace che si possa comunicare l’importanza delle differenze attraverso questo tipo di linguaggio che arriva. Si possono fare tutti i convegni che si vuole, ma una canzone arriva prima, secondo me. Ci piace che possiamo progredire verso queste strade, ci piace sperimentare linguaggi che possano essere utili anche e soprattutto per i giovani. Attraverso una canzone, si riesce a fare presa proprio sui ragazzi, saranno loro poi che trasmetteranno un’idea di società migliore rispetto la nostra».
Sono il futuro.
«Si, sembra una banalità. Noi pensiamo anche a delle attività nelle scuole, ma rischiamo di annoiare i ragazzi. Arrivarci, invece, con un linguaggio di questo genere è più efficace, secondo noi. Ci sono tante cose che si possono sperimentare».
Articolo di Angelo Andrea Vegliante