Tra le Righe: pregiudizio e voglia di forca sono alla base del legal thriller di Darien Levani
Tavolo Numero Sette – di Darien Levani (Spartaco)
Dal sito dell’editore
Durante un matrimonio sei sconosciuti si ritrovano a condividere lo stesso tavolo, il numero sette. Stefano, collega dello sposo, giovane brillante e disinvolto, è seduto vicino a un uomo distinto che tutti evitano e guardano con sospetto. Ben presto la conversazione si concentra sul duplice omicidio di una madre e della figlia incinta che ha destato scalpore e polemiche perché l’unico imputato, un agente di recupero crediti, è stato giudicato non colpevole. Piano piano e con sempre più livore gli invitati cominciano a esprimere il proprio parere sulla sentenza, manifestando opinioni e pretese di imparzialità, che si scontrano con il freddo e professionale distacco degli uomini di legge. L’arco narrativo dura una manciata di ore, scandite dai momenti salienti delle nozze, dalla celebrazione in chiesa fino al taglio della torta. Nel frattempo Stefano si aggira tra le sale e nel giardino della grande villa scelta per il ricevimento, con l’intento di utilizzare il pacchetto di preservativi che si è infilato in una tasca prima di uscire e, perché no?, di risolvere il mistero sul delitto delle due donne.
A metà strada tra giallo investigativo e legal thriller, con prevalenza o dell’uno o dell’altro genere che si compensano e completano a vicenda, Tavolo numero sette è un romanzo sulla giustizia sociale, sul mondo mediatico e sull’influenza che ha nella percezione generale degli eventi. Un piccola perla.
Recensione
Immaginatevi al matrimonio di un vostro collega che conoscete poco, degli altri invitati non conoscete nessuno. È luglio, fa caldo, voi non siete particolarmente socievoli e non avete nessuna voglia di essere lì. Però ci siete. E per puro caso al vostro tavolo è seduto un giudice che ha da poco liberato un omicida. O così si dice.
Iniziate a parlare del caso. Tutti sembrano sapere esattamente come sono andate le cose, tranne il giudice che ha ritenuto l’imputato innocente. Eppure in televisione i supertestimoni – ma esistono testimoni normali o sono tutti super? – hanno affermato di aver visto l’assassino. E ci sono i precedenti. E, insomma, la polizia non può aver preso un tale abbaglio!
Il primo istinto umano è quello di decidere subito, poi magari riflettere. Dobbiamo prendere posizione, dobbiamo avere la nostra opinione e non riusciamo proprio a sospendere il giudizio”.
Ecco che Levani ci regala il ritratto di alcuni processi. Quanti ce ne vengono in mente? Tanti. Già risolti nei salotti televisivi, facili facili, l’assassino spesso non è nemmeno troppo simpatico.
Uno sempre sfocato, non solo nelle foto, ma nella vita. Sembrava colpevole, fuori luogo, uno che chiedeva di essere condannato e trattato male. Era una bottiglietta di plastica vuota lanciata in mare e che le onde portavano avanti e indietro senza sosta, uno che non raggiungeva mai la riva”.
Ma come si fa a non condannarlo? Perché l’ha lasciato libero?
Il giudice Bordin spiega ai suoi commensali come non sia così semplice. Ci sono tanti aspetti da considerare, tanti risvolti e sfumature che sono emersi nel processo, ma che sono stati tralasciati dai media. Eppure alcuni a quel tavolo insistono, vorrebbero che il giudice ammettesse di aver sbagliato, che ha lasciato a piede libero un omicida.
E lui, con pazienza, illustra loro i procedimenti, racconta la storia emersa dagli interrogatori e raccolta nelle duecento pagine di sentenza, che nessuno si è preso la briga di leggere. Lui è convinto dell’innocenza dell’Erardi. Non prende mai decisioni alla leggera. Il suo compito è quello di ascoltare le parti e di analizzare fatti e prove, non di dar retta all’opinione pubblica ed eseguirne la volontà.
Solo due persone a quel tavolo lo ascoltano davvero, sinceramente interessati alla vicenda, a capire come sono andata le cose, ad ascoltare la sua verità. E alla fine scopriamo l’assassino.
Un bel libro che ci ricorda come siamo e come dovremmo essere. Che ci dice che la giustizia a volte sbaglia, ma che la gente, quello che vuole sempre, è la forca, più ancora della verità. Che i processi che ci vengono raccontati in televisione, nei salotti o nei programmi di approfondimento, per forza di cose sono spesso di parte, non obiettivi, perché seguono le pance, non la logica.
La giurisprudenza e la giustizia hanno mille sfumature e risvolti, definire la verità non è sempre possibile, ma la spettacolarizzazione di un dramma umano non è motivo sufficiente per definire colpevole qualcuno senza essere certi che lo sia. Bisogna maneggiare con cura certe affermazioni.
Levani ci ricorda che a giudicare e accusare siamo tutti bravi, troppo bravi. Ma che la giustizia, per fortuna, segue altre strade.
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