Il protagonista del romanzo Il Cuore e la Tenebra cerca di ricostruire, dopo il suo decesso, la vita del padre con cui non aveva da tempo rapporti, tra il rammarico per il tempo perduto e la sorpresa di scoprire un uomo diverso da quello che pensava di conoscere
Il Cuore e la Tenebra – di Giuseppe Culicchia (Mondadori)
Dal sito dell’editore
Giulio, trent’anni superati da poco, viene raggiunto dalla notizia della morte del padre. Famoso direttore d’orchestra, si era trasferito anni prima a Berlino, dove era stato nominato direttore della Filarmonica. Ossessionato dall’esecuzione della Nona Sinfonia diretta da Furtwängler nel 1942 per il compleanno di Hitler, aveva costretto l’orchestra a migliaia di prove estenuanti per ripeterla identica. La rivolta dei musicisti e l’accusa di nazismo che ne era seguita avevano troncato la sua carriera. Sullo sfondo di una Berlino in costante mutazione, Giulio intraprende il suo viaggio per raccogliere i pezzi della vita di quel padre scomparso improvvisamente e che aveva visto così poco dopo che aveva lasciato la madre e lui e suo fratello ancora bambini. Tocca a Giulio occuparsi di tutto e, nell’appartamento berlinese, tra gli oggetti, i libri e i file personali, quella che piano piano prende forma davanti ai suoi occhi è una nuova immagine del padre, una nuova storia.
Recensione
Mio dio, papà. Col fatto che a un certo punto della tua vita te ne sei andato a Berlino mi sono così abituato alla tua lontananza che non mi sembra vero che tu sia morto. E invece”.
Il padre di Giulio è morto: infarto. Viveva a Berlino, da anni non parlava con l’atro figlio, Pietro. O meglio: Pietro non parlava più col padre. E la ex moglie vive dall’altra parte del mondo, col suo compagno. Giulio è l’unico familiare a cui, pare, importi qualcosa di lui, anche se si sentivano poco, per pochi minuti. Suo padre, ex direttore d’orchestra, era ossessionato dall’idea di replicare l’esibizione della Nona di Beethoven, così come l’aveva eseguita Furtwängler in occasione del compleanno di Hitler, nel ’42. Giulio pensa che sia questo l’inizio della discesa del padre, della sua incapacità di riprendersi. Anche se ha sempre lavorato, al figlio sembra che non si sia mai ripreso dall’essere stato licenziato proprio per questo motivo, per di più con l’accusa infamante di essere simpatizzante nazista, lui, che i nazisti li definiva mostri, che ha sempre votato sinistra e che poteva essere molte cose, ma non certo filonazista.
Giulio parte per Berlino, per salutare suo padre per l’ultima volta. E fa un viaggio: un viaggio nei ricordi, alla riscoperta del suo ruolo di figlio, alla scoperta di un padre che gli è mancato tanto, ma del quale conosceva solo un lato. Era un padre affettuoso il suo, nonostante la separazione dalla moglie era presente, li accompagnava ogni giorno a scuola. E si commuoveva. Troppo, secondo Giulio che, una volta cresciuto, non ha capito né condiviso questa sensibilità.
Ciao papà. Ti bacio, come quando eri vivo. Tutte le mattine quando mi lasciavi alla materna non la finivo più di baciarti e abbracciarti e tu prima di andare ogni volta ti chinavi e mi sussurravi in un orecchio: Ti voglio un bene infinito. Io ti rispondevo: Anch’io. Prima che imboccassi il corridoio che portava all’uscita mi accarezzavi ancora la nuca con una mano. Era calda. Ora invece sei freddo. Anzi no, gelido. Dopo di te forse toccherà alla mamma. Quindi a Pietro. E dopo di lui a me. Almeno in teoria. E mentre penso questo, mi accorgo che dall’ultima volta che ci eravamo visti ti sei fatto tatuare le nocche delle mani. Ma come? Alla tua età, papà? Che ti è preso? HOLD FAST, è inciso con l’inchiostro nero nella tua pelle. Tieni duro”.
Suo padre si è fatto carico della separazione, da un punto di vista economico ed emotivo. Non si è mai perdonato: è stato il suo tradimento a sancire la fine di un matrimonio già in crisi, e questo ha avuto conseguenze. Prima tra tutte la sua difficoltà a farne parte, sempre alla ricerca di un rapporto coi figli, del perdono dell’ex moglie, di un ricordo da incidere nel cuore per andare avanti e non disperarsi, per dirsi che la vita vale la pena di essere vissuta. Un aspetto che Giulio scopre leggendo le sue carte.
Avevo una famiglia. Avevo una moglie. Avevo due figli. No. Eravamo una famiglia. Eravamo io e mia moglie. Eravamo io e mia moglie e i nostri bambini. Eravamo una famiglia e avevamo una casa. Eravamo una famiglia e avevamo una casa e la sera, prima di addormentarci nel letto dove avevamo concepito i nostri bambini, ci dicevamo: a noi non succederà. Agli altri succede ma a noi no. A noi non può succedere non perché siamo migliori o diversi dagli altri ma perché non permetteremo che succeda. Era superbia, la nostra? O ingenuità? Perché poi è successo. E quando è successo, era diverso da come lo avevamo visto succedere agli altri o da come gli altri ce lo avevano raccontato. Era diverso perché stava succedendo a noi. Ai nostri bambini. Alla nostra famiglia. Alla nostra casa. Al nostro futuro. Che d’improvviso non era più un futuro. Zero futuro, così, da un giorno all’altro. Nessun progetto. Niente sogni. Solo dolore”.
Ma ciò che Giulio scopre è anche altro. Un lato oscuro, tenebroso, inquietante. Suo padre ha raccolto decine di libri, documenti, filmati e informazioni sul nazismo. Per poter replicare l’esibizione di Furtwängler, si è immedesimato in quel periodo, in quella cultura. L’ha studiata a fondo, al punto da restarne affascinato. Non in toto: rifiuta, ad esempio, la violenza sui bambini e la violenza in generale. Ma alcuni aspetti, come il non arrendersi mai, lottare fino all fine, l’arte da portare nella vita… lo affascinano e in qualche modo sembra capirli. Questa scoperta spiazza il figlio, che non lo credeva capace di simpatizzare per loro. Eppure suo padre li ha sempre incitati a non arrendersi, come i nazisti, che davanti alla sconfitta non si sono arresi.
Sta di fatto che per tutta la vita non hai mai fatto altro che incoraggiarci. E però hai anche sempre cercato di farci capire che le sconfitte non avevano importanza. Quello che contava, per te, non era vincere ma battersi fino in fondo e lealmente. È per questo che ho sempre tifato per i Troiani, ci spiegavi. I Greci vincono, certo, ma con l’inganno. I Troiani invece resistono per dieci anni, circondati, assediati, senza possibilità di fuga, e ciò nonostante non cedono”.
Trovo che sia un libro molto interessante, oltre che bello, da leggere in questo periodo di derive fasciste. L’uomo forte e altre idee estreme, non nascono da un giorno all’altro e se hanno presa e successo, è perché sono legate a una cultura più ampia, a un modo di pensare in qualche modo affascinante.
Giuseppe Culicchia ci parla anche di un altro aspetto: dello scoprire le persone, ma in particolare i genitori, da morti. La paura di ogni figlio: pentirsi per ciò che non si è fatto per i genitori quando erano in vita, rimpiangere di non aver sfruttato meglio il tempo, che sembra lunghissimo, infinito mentre lo si vive, ma un battito di ciglia quando poi ci si volta indietro. E allora: potevo ascoltarlo un po’ di più al telefono, andarlo a trovare più spesso, raccontargli qualcosa di me.
Solo chi è parte di una coppia sa che cosa si cela dietro le apparenze di ogni rapporto. E io? Io ho capito? Certo che no. Ma forse la domanda che conta è un’altra. Perché in fondo non si tratta di capire, ma di perdonare. Ecco: ti ho perdonato, io?”.
Uno stile a tratti ironico quello di Culicchia, come quando descrive una ex di Giulio.
Come se non bastasse, si esprimeva usando di continuo proverbi e luoghi comuni. Roba tipo chiusa una porta se ne apre un’altra, oppure non ci sono più gli uomini di una volta o anche non bere l’acqua appena tolta dal frigo che ti viene una congestione”.
Un libro che parla di molti temi, della famiglia, dei rapporti genitori-figli, della fine delle storie, della difficoltà di restare in un rapporto di coppia, del nazismo e di tanto altro. Ambientato a Berlino, con numerose citazioni e un’autocitazione (meraviglioso Culicchia che mette il proprio libro, questo libro, nella libreria del padre!), con tanti riferimenti e numerose foto. In una parola, un libro ricco. Da leggere.
Dal Talmud: “Quindi, un uomo soltanto è stato creato all’inizio del mondo, per insegnare che se qualcuno fa sì che una sola anima perisce, le Scritture lo ritengono colpevole come se avesse fatto perire un mondo intero; e se qualcuno salva una sola anima, le Scritture gli riconosceranno il merito di aver salvato un mondo intero”.
“A volte mi chiedo perché esistiamo tutti, su questo pianeta”.
“Noi”.
Pietro mi guarda. Io guardo lui.
“Noi.esistiamo.perché”.
Metto la freccia. Rallento. Mi fermo. Laggiù in fondo alle vigne adesso si vede il mare. “Noi veniamo al mondo per amare i nostri cari. Per farli star bene. Solo questo conta, in fondo”.
E mentre lo dico mi viene un groppo in gola, ma riesco a trattenermi e con un dito gli indico la linea blu che segna l’orizzonte”.