Al centro del romanzo di Valentina Villani c’è la perdita, da parte della protagonista, di sua madre. Un vuoto superabile attraverso un doloroso viaggio introspettivo
Ape Bianca – di Valentina Villani (Adiaphora)
Dal sito dell’editore. La perdita precoce di un genitore è un’esperienza dolorosa e paralizzante. Chi la vive subisce una crudele disconnessione da una parte profonda di sé, tanto che pensieri ed emozioni paiono precipitare in un vortice sinuoso e inesorabile come l’interno di una conchiglia. E, quando il rapporto tra madre e figlia si rivela complesso, intricato, conflittuale, eppure intimamente profondo, quell’assenza si manifesta in tutta la sua brutalità dilatandosi in un atroce senso di irrisolutezza.
La nascita di un figlio durante la malattia fatale della madre conduce l’autrice in un luogo sospeso tra vita e morte, un regno di opposti dominato da un’atmosfera onirica.
Le sue parole rievocano la faticosa esplorazione di sé alla ricerca di quell’assenza, di quella madre prima presente ma distante, affettuosa eppure eclissante, e delle sue reliquie ora spezzate e pungenti. L’analisi introspettiva del ricordo diventa, così, evento di riconciliazione.
Libri citati nel libro. Bianca ape ronzi, di Pablo Neruda; Berlin – ein Stadtschicksal, di Karl Scheffler.
Recensione. Le sensazioni che questo libro mi ha trasmesso e mi ha fatto provare sono state inaspettate. Avevo letto di una figlia che cerca la madre nelle assenze e non mi aspettavo una madre così presente.
Le prime pagine mi hanno trasmesso l’immagine di una madre che racconta la figlia, e non il contrario. Una figlia che ama il mare, il vento, la natura, che raccoglie conchiglie e ne fa arte. Vedevo questa madre orgogliosa della propria bambina e incapace di comprenderla fino in fondo. Invece era la madre che raccoglieva conchiglie. E la figlia la osservava, la studiava, la fotografava. Immagini dolcissime. E poi la scoperta della malattia, proprio quando Valentina è incinta. Non ci sono speranze, la madre fa la chemio, ma sanno già che quella sarà la loro ultima estate insieme.
Con grande coraggio e sincerità, l’autrice dice di essere stata arrabbiata con sua madre. Per la malattia, per essersi presa, ancora una volta, la scena e il ruolo da protagonista. È un percorso di autoconsapevolezza, di comprensione e avvicinamento. Prima che sia troppo tardi, prima che il tempo smetta di scorrere, che l’ultimo granello di sabbia scenda nella parte bassa della clessidra, lasciando il vuoto.
Ti guardavo con occhi severi, come se non ti fosse permesso di stare male. Ero arrabbiata, sì, molto arrabbiata. Mi stavi abbandonando e questa volta anche con il corpo, definitivamente”.
Prima della fine, prima che la clessidra termini di scorrere, riescono a ritrovarsi, e in quel momento il tempo è sospeso. Si ritrovano in un abbraccio che riempie le trame delle loro vite.
Ci sono anche delle poesie bellissime in questo libro. Poesie semplici, brevi, eppure di grande intensità.
non si può correre tutta la vita
su un prato immerso nel sole
perché la verde macchia si dissolva
nel grigio sempre uguale
un giorno è passato
e già i miei capelli sono bianchi
ora verrà la fredda notte
chiudendo gli occhi a una vita sprecata”
La mancanza della madre si fa sentire dappertutto, nei posti più impensati. Ed è difficile accettare quel dolore che come le onde del mare a volte ti travolge, a volte ti lascia stare.
Un libro veloce, facile, ma non per questo “poca roba”. È un libro intenso e da figlia mi fa apprezzare ancora di più il fatto di avere ancora mia madre. Il dolore arriva forte e vivo; ti metti al suo posto e lo senti nella pelle, nella pancia, dappertutto.
Un libro che ci ricorda che il tempo per parlarci, per chiarirci è poco. La vita passa in un attimo. Ma ci dice anche che alcune emozioni che bolliamo come negative, che a volte cerchiamo di negare e bloccare, sono naturali.
Un libro che rileggerò volentieri.