È italiana la protagonista del romanzo Migrante per Sempre, che deve subire l’emarginazione in terra straniera (la Germania) prima, e in patria al suo ritorno poi
Migrante per sempre – di Chiara Ingrao (B+C)
Dal sito dell’editore
Dall’Italia degli emigranti a quella degli immigrati, cinquant’anni nella vita di Lina, ispirata a una storia vera: bambina in Sicilia, ragazza in Germania, donna a Roma. Un paese di padri lontani e di preti padroni, di pistacchi e di mandorle; un papà che varca i confini da clandestino, una madre assente e inafferrabile che condiziona ogni scelta. La nonna bracciante è mamma e maestra, ma non è lei che può decidere chi parte e chi resta. Partire è inverno tedesco, è la fabbrica: è suoni incomprensibili sputati in faccia, sorelle perdute e amicizie turche, compaesani soffocanti. Manca l’aria, i sogni s’infrangono e le parole vecchie non bastano più. Per Lina si apre una stagione di nuove esperienze, e la sfida di un amore forse impossibile. Riesce a tornare, finalmente: ma dove? Affetti e fatiche, solitudini e alleanze impreviste, in un mondo profondamente cambiato ma con la stessa ostinata voglia di trovare la propria strada, fra radici strappate e sprazzi di futuro.
«Noi due siamo come due carciofi, Lina. Ogni mondo che abbiamo attraversato è una foglia avvinghiata alle altre senza nessuna dolcezza, attorno a un cuore pieno di spine».
Recensione
“Voglio mia madre”.
È Pippuzzu, fratello minore di Lina, la protagonista, che urla nella notte: vuole sua madre, non quella sconosciuta al suo fianco. Ma la sconosciuta è sua madre, solo che lui, bimbo di nemmeno due anni, non la vede da circa un anno, da quando è partita per la Germania a cercare lavoro. Lui e i suoi fratelli sono rimasti con la nonna, la nanna, diventata per lui madre.
Il libro di Chiara Ingrao, scritto con un misto di italiano e siciliano, molto ben dosato e calibrato, mai eccessivo, inizia e termina così: con un richiamo alla madre. Una madre che non sa abbracciare, non riesce a essere affettuosa; una madre piena di buoni insegnamenti, retta, una donna che non veste di nero, ma sfida il paese con le sue camicie colorate, nonostante il marito sia “alla Germania” a lavorare. Una donna che si è guadagnata il rispetto di tutti, che non deve abbassare lo sguardo davanti a nessuno. Una donna fiera.
La mamma era bellissima, tutta azzurra e fiorita di primavera. Era bellissima quando diceva che non si voleva vestire di nero, e quando incontrava un maschio per strada, e non guardava per terra: non pareva una femmina senza vergogna, ma una regina senza paura”.
Lina cresce con questo modello, che si alterna alla nonna, donna invece più morbida, ma altrettanto fiera. Una donna che non conosce fatica, che si allea sempre con la nuora, anche contro il figlio.
In un mondo maschile, in cui gli uomini emigrano e le donne restano a casa, nanna e mamà costituiscono eccezioni. Conoscono il proprio valore, sanno che gli uomini non ci sanno stare senza le donne. E che, a dispetto delle apparenze, sono le donne a decidere e comandare. La nanna non ha paura nemmeno del prete né di dichiarare il suo non credo.
Ancora, nanna e mamà che parlano con gli occhi, senza bisogno di parole.
Faceva sentire tranquille sapere che loro due si capivano e si dicevano tutto anche senza parlare”.
È una storia di migranti, questo libro, ed è anche una storia di donne. Donne decise, determinate e al contempo confuse, incerte, a volte titubanti. Perché al mondo appaiono fiere, forti, decise, determinate, ma poi, nella solitudine del loro letto, piangono per aver lasciato i figli a casa, perché non li possono vedere crescere. Donne che si oppongono a un sistema che le vorrebbe asservite, ma che poi impediscono alle figlie di divertirsi al juke box in piazza per evitare inutili e stupidi pettegolezzi.
Donne con contraddizioni, come tutte, che cadono e si rialzano. Ma non sempre.
Donne con dei sogni, nemmeno tanto grandiosi, solo la voglia di emanciparsi, di innamorarsi, di poter decidere del proprio destino, ma che devono farsi da parte e lasciar passare gli uomini. E ciononostante non mollano. Mai. Fino alla fine, anche se la tentazione è forte. Anche se ci si vorrebbe riposare un po’, perché è faticoso stare dietro alla casa, al marito, ai figli, tenere in piedi un matrimonio e cercare, in tutto questo, di non tradire se stesse, di dedicarsi un po’ di tempo e attenzioni, di capire che cosa si vuole e lottare per averlo. Lottare sempre, nulla è facile per le nostre protagoniste. Nulla viene loro regalato, tutto ha un prezzo, richiede una contropartita, un baratto.
Lina ci racconta la sua storia, da quando aveva undici anni e dei sermoni del prete capita che bisognava diffidare dai pescatori senzaddio (invece dei peccatori senza dio). Vede sua madre emigrare, riceve sue notizie tramite un’amica. Si impegna nello studio perché, come una folgorazione, scopre di voler fare l’ostetrica da grande. Ma non si può. C’è bisogno di soldi e di braccia che lavorino, non che studino. A studiare ci penseranno i maschi. E così Lina emigra in Germania, dove si parla il germanese, e lavora. Ma continua a sognare di tornare a casa. Solo che quando realizza il suo sogno, si accorge che il paese non è più quello che ha lasciato e comunque non c’è lavoro.
Lina è ora senza radici, come sa bene chi è emigrato, all’estero o anche solo in un’altra città. Non mette radici, vorrebbe, ma nessun posto è casa sua.
È così da sempre per tutti i migranti: si rimpiange il proprio paese, che però non si riconosce più, ma non si riesce a sentirsi a casa nemmeno nel paese ospite. Sempre in bilico tra due o più mondi. Costretti in un posto, mentre il cuore vorrebbe andare da un’altra parte, luogo geografico e della memoria.
Come dice Rosa:
Non sono gli altri a trattarmi da straniera: sono io, che ho attraversato troppi luoghi, troppe tribù, per poter scegliere di appartenere a una sola. Non ho bisogno di loro, non più: sono straniera e sono libera, sono una figlia del mondo. Sono una migrante, Lina; e lo sei anche tu, che ti piaccia o no. Chi è stata migrante resta migrante per sempre”.