Il percorso di crescita e maturazione di un ragazzo con distrofia e di una madre single, raccontato in un romanzo dai toni intensi
Le Cose di Prima – di Eduardo Savarese (Minimum Fax)
Quella era la speranza, resistere nell’attesa. Ma di quante resistenze era fatta la vita? Sul corpo, resistere. Sull’angoscia, resistere. Sul desiderio sessuale, resistere. Sugli amici che dicono di venire a trovarti e non arrivano, resistere. Sul futuro senza futuro, resistere”.
Simeone si sente solo: i suoi amici gli fanno visita di rado e lui può leggere sui loro volti l’impazienza, la voglia di andarsene, di scappare da lì, da lui, come se la distrofia fosse contagiosa. La difficoltà di guardarlo in faccia e vedere oltre.
È la storia di un ragazzo di diciannove anni, del suo percorso, delle sue difficoltà, del suo diventare grande, la ricerca di se stesso, di una sua dimensione, del padre lontano. Simeone che cerca di affrancarsi dalla madre onnipresente, a tratti soffocante.
Ci vuole poco a immedesimarsi in Simeone o in Elide, sua madre. Le emozioni di cui parla Savarese arrivano direttamente, senza filtri. Si alterna l’insofferenza del figlio con la preoccupazione viscerale della madre, in un’altalena di emozioni, di comprensione ed empatia nei loro confronti.
Elide non sopportava la commozione degli altri. La credeva fasulla oppure, quando la sentiva vera, se ne ingelosiva, come se il dolore per la distrofia di Simeone dovesse essere soltanto suo”.
Tramite Elide si sente e si vede Simeone, e viceversa. La comprensione di madre e figlio avviene anche tramite gli occhi dell’altro. Il senso di impotenza, la voglia di smuovere mari e monti, e il rendersi conto che non si è abbastanza. È lacerante, lo è sempre, ma ancor di più quando sai che tuo figlio difficilmente potrà essere davvero autonomo come vorrebbe, indipendente. Vederlo crescere, la fatica di accettare i suoi cambiamenti, anche se inevitabili, di accettare che cerchi la sua strada, il che vuol dire che sbaglierà, e cadrà, e dovrà rialzarsi. Essere pronta ad accoglierlo e consolarlo e aiutarlo a rimettersi in piedi, se lo vorrà. Ma senza invadenza.
È immediato sentire il dolore di lui attraverso la disperazione di una madre che non può disperarsi. Non davanti al figlio. Il padre se ne è andato, la malattia progredisce a vista d’occhio, debilitando il corpo di Simeone di giorno in giorno. Lui vuole fare, vuole vedere e sperimentarsi. Vorrebbe essere lasciato un po’ stare, fare le sue esperienze, sbagliare e farsi male. E dimostrare di avere ragione, sente che è giusto anche per lui mettersi alla prova, ricercare l’impossibile, vivere e godersi le cose più semplici. Ha dovuto rinunciare alle “cose di prima”, molte per lui non sono più accessibili, ma ce ne sono tante altre che può ancora fare. Vuole e deve crescere, diventare uomo.
Ed Elide cresce con lui. Con il cuore a pezzi lo lascia andare, accetta che lui viva le proprie esperienze. Pronta a raccogliere i cocci di entrambi.
Recensione a cura di Chili di Libri