Spregiudicato, innovatore, fuori dagli schemi. Il pittore francese, che incarna come pochi lo spirito bohemienne ottocentesco, inaugura la nostra rubrica su arte e disabilità “Freak Art”
Parigi, sera. La ville lumière non dorme mai, oggi come anche negli ultimi anni dell’Ottocento: si tratta del periodo più magico e sregolato che la città francese abbia mai avuto, la cosiddetta “belle époque”. Tra il quartiere di Montmartre e le Tuileries sorgono quei locali notturni che popoleranno l’immaginario collettivo legato alla vita bohemienne: oltre al notissimo Moulin Rouge, altri café-chantant, teatri di varietà e cabaret ospitano le vedette amatissime dal pubblico parigino. A Les Ambassadeurs si esibisce il cantante confidenziale Aristide Bruant; Loïe Fuller ammalia gli spettatori con una danza nuovissima che la trasforma in uccello sul palcoscenico di Les Folies-Bergère, Yvette Guilbert lancia la moda dei lunghi guanti neri e la bellissima Jane Avril calca le scene del Jardin de Paris. Bellezza, eccesso, lusso sono le parole-chiave che definiscono il concetto di divertimento dei cittadini alla moda nella Parigi di fine secolo.
Invece a Montmartre, al di là del boulevard de Clichy, accanto a café di second’ordine e al margine della vita notturna parigina, sorgono le abitazioni dei protagonisti di quel freak show che viene messo in scena notte dopo notte nei locali più alla moda. Sono musicisti, cantanti, ballerine, artisti, poeti che ancora non hanno raggiunto il successo, sono i diseredati dello spettacolo e della cultura: sono i bohemienne. Il conte Henri-Marie-Raymond de Toulouse-Lautrec-Montfa è tra loro. In compagnia di quell’umanità emarginata e anticonvenzionale, ha trovato uno spazio, riservato e poco in vista, necessario per costruirsi un ruolo – che sarebbe stato di primo piano – nel panorama artistico parigino di fin de siècle.
La malattia genetica di cui soffriva fin da bambino aveva impedito al suo apparato osseo di svilupparsi; oltre a questo due gravi incidenti in giovane età avevano contribuito a quell’aspetto deforme che lo aveva destinato all’emarginazione nell’ambiente aristocratico da cui proveniva. Infatti il giovane aveva dovuto allontanarsi dal contesto familiare per studiare pittura e disegno, a causa delle convenzioni sociali che non vedevano di buon occhio la disabilità all’interno dell’élite francese.
A Parigi il giovane Toulouse-Lautrec cerca di portare a unità il suo essere, diviso tra spirito e corpo: l’uno energico, sagace, versatile, l’altro dolorosamente mutilato. Questa dicotomia sarà un tema ricorrente nel suo lavoro artistico attraverso la scelta di soggetti, spunti narrativi, stile. Pittore, grafico, pubblicitario, caricaturista, la continua ricerca espressiva si esprime in molteplici linguaggi, tutti legati indissolubilmente al ruolo moderno dell’artista, inserito nella vivace economia dell’età industriale. In una lettera alla nonna, definisce la sua arte “fuori legge”, intendendo che la distanza delle sue opere dallo stile accademico, in voga nell’alta società, stava progressivamente aumentando. Oltre ai soggetti anticonvenzionali, anche lo stile – fatto di segni rapidi e campiture scariche – si allontana dai riferimenti impressionisti di pochi anni prima. La pittura retinica, che piace alla borghesia perché relativa e mutevole, lascia il posto, nell’opera di Toulouse-Lautrec, a una sintesi formale direttamente derivata dall’esperienza di Gauguin e mutuata dall’arte giapponese. Le scene perdono quel valore episodico, proprio degli scorci quasi fotografici proposti da Degas, per definire invece una nuova umanità, rappresentata attraverso il personaggio “tipologico”. Troviamo, tra questi, la ballerina, energica e sfrontata; le fanciulle che si riposano tra uno spettacolo e l’altro o che si svestono; il distinto uomo inglese di mezza età, che blandisce le giovinette; la cocotte, che emana volgare sensualità. Sono i personaggi della comédie humaine che prendono vita in quella lunga finzione notturna, destinata a svanire con le prime luci dell’alba: allora ciascuno torna alla propria squallida e misera esistenza fino a risplendere nuovamente, tra champagne e cotillon, la sera seguente.
Lo spirito dissacrante, che lo denotava in ogni occasione, viene ricordato da molti suoi contemporanei. Amava il volgare, come lo stravagante e gongolava nello scandalizzare: “Signore – rivolto a un ministro che chiedeva spiegazioni circa il soggetto di un suo dipinto – la pittura è come la merda, si sente ma non si spiega”. La volontà di provocare, l’intelligenza arguta e lo spirito critico affilato sono gli elementi tipici del dandy. Questo ruolo, strenuamente desiderato, avrebbe probabilmente contribuito a unificare quella percezione del sé diviso attraverso ironia e autoironia. Tuttavia ciò che emerge dal suo lavoro è una pittura allucinata e consapevole di volta in volta del proprio fallimento, nuovo punto di partenza nel tentativo instancabile di cogliere quell’inesplicabile varietà che risiede nel profondo di ciascuno di noi.
A chi volesse immergersi nei fasti e nelle desolazioni della belle époque, consigliamo di guardare il film Moulin Rouge! di Baz Luhrmann (2001).
(Manuela Marsili)