Dj Fabo, all’anagrafe Fabiano Antoniani, è morto il 27 febbraio 2017 grazie a una procedura di suicidio assistito in Svizzera. Il quarantenne, da tre anni cieco e tetraplegico, “ha scelto di andarsene rispettando le regole di un Paese che non è il suo”, come riporta il tweet di Marco Cappato dell’Associazione Luca Coscioni. La storia di Fabiano – come quella di Eluana Englaro, Piergiorgio Welby e tanti altri -, ha riacceso i riflettori sul tema dell’eutanasia, del testamento biologico, del principio di autodeterminazione e del vuoto legislativo che persevera da tanti anni in Italia. Dato conto dell’eutanasia e della differenza con le cure palliative, oggi ci soffermeremo su cosa sia il testamento biologico, focalizzando l’attenzione sul quadro del Bel paese, nel quale risuona una domanda manzoniana: ma il testamento biologico “s’ha da fare”?
Che cos’è il testamento biologico?
Il testamento biologico è una dichiarazione anticipata di volontà sui trattamenti sanitari, un documento grazie al quale una persona riferisce a quali terapie intende sottoporsi o rifiutare nel caso in cui non sia in grado di comunicare espressamente il proprio volere. Appunto, tale procedura riguarda gli individui colpiti da malattie o lesioni invalidanti e patologie che obblighino a trattamenti permanenti con l’utilizzo dei macchinari (come quello della respirazione artificiale). Nel caso in cui la persona non è in grado di esprimere il proprio volere, la scelta passa ai parenti di primo grado o ai rappresentanti legali.
Italia: enorme vuoto legislativo
Il nostro paese è caratterizzato da un vuoto legislativo in materia molto pesante. Basti pensare che dal 2008 si discute sulla necessità di una legge sul testamento biologico, ma ancora oggi, a distanza di quasi 10 anni, non esiste nulla di simile. La principale causa di una situazione così precaria è la mancata ratifica della Convenzione di Oviedo (Convenzione sui diritti umani e la biomedicina), il primo trattato internazionale sulla bioetica, redatto e sottoscritto nel 1997 dal Consiglio d’Europa – ben 20 anni fa. Tale convenzione stabilisce che “i desideri precedentemente espressi a proposito di un intervento medico da parte di un paziente che, al momento dell’intervento, non è in grado di esprimere la sua volontà, saranno tenuti in considerazione”. Dopo la sua entrata in vigore nel 1999, l’Italia ha recepito il trattato nel 2001, ma non è stato mai ratificato e/o adeguato dal Parlamento. Tecnicamente, non fa parte del nostro sistema legislativo, creando perciò gravi squilibri: ad esempio, il codice di deontologia medica riconosce i principi della convenzione, ma senza una legge ad hoc moltissimi casi finiscono in tribunale (vedi i casi Englaro e Welby).
Eppure l’articolo 32 della Costituzione italiana fa chiarezza in materia: “Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge. La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana”. Nel 2006 il Tribunale di Roma prosciolse Mario Ricci, medico di Piergiorgio Welby, dalle accuse di “omicidio del consenziente” proprio per via dell’articolo 32. Ma non esiste una legge nazionale; bensì, vi è una soluzione locale, l’iniziativa del Registro del testamento biologico, la cui applicazione validante è in mano ai Comuni italiani. Nel caso in cui il proprio Comune non abbia istituito tale registro, una persona può farsi autenticare il proprio testamento biologico da un notaio.
Ci abbiamo provato
L’ultimo tentativo di legiferazione nazionale in materia risale al 2010, dopo la vicenda Englaro, quando la Camera approvò un disegno di legge che prevedeva la possibilità di esprimere un testamento biologico (grazie al DAT, Dichiarazione Anticipata di Trattamento), ma con tanti vincoli che, a giudizio degli esperti, limitava la libertà di scelta del paziente. In particolare, la proposta stabiliva la tutela di diversi principi, quali la vita umana, la dignità personale, il divieto dell’eutanasia e dell’accanimento terapeutico, il consenso informato come presupposto di ogni trattamento sanitario. Dunque, il suicidio assistito e l’interruzione di alimentazione e idratazione restavano fuori dalle scelte del paziente; altresì, poteva stabilire a quali trattamenti sanitari rinunciare nel caso di una futura perdita della capacità di intendere e di volere. Tutto ciò non era vincolante per il medico, che avrebbe dovuto prendere una decisione autonoma. La proposta di legge non fu mai approvata dal Senato.
Il testamento biologico oggi
Oggi ci sono ben sei proposte di legge in tema di “fine vita” depositate in Parlamento. Due di queste sono in discussione nella commissione Affari costituzionali della Camera, e la relatrice di entrambe le proposte è la deputata Donata Lenzi. In particolare, il ddl intitolato Norme in materia di consenso informato e di dichiarazioni di volontà anticipate nei trattamenti sanitari prevede che “nessun trattamento sanitario può essere iniziato o proseguito se privo del consenso libero e informato della persona interessata, tranne che nei casi espressamente previsti dalla legge”. Inoltre, “ogni persona maggiorenne e capace di intendere e di volere ha il diritto di rifiutare, in tutto o in parte, qualsiasi accertamento diagnostico o trattamento sanitario indicato dal medico per la sua patologia o singoli atti del trattamento stesso”. Si prevede quindi l’interruzione del trattamento, “ivi incluse la nutrizione e l’idratazione artificiali”, ma non comportano l’abbandono terapeutico. Per quanto riguarda il medico? “È tenuto a rispettare la volontà espressa dal paziente di rifiutare il trattamento sanitario o di rinunciare al medesimo e, in conseguenza di ciò, è esente da responsabilità civile o penale”. In sostanza, si riconosce la possibilità di bloccare la nutrizione e l’idratazione artificiali, ma il suicidio assistito continua a essere impedito.
In merito alle “scelte diagnostiche o terapeutiche e a singoli trattamenti sanitari, ivi comprese le pratiche di nutrizione e idratazione artificiali”, ogni persona maggiorenne capace di intendere e di volere, “in previsione di una eventuale futura incapacità di autodeterminarsi”, potrà esprimere le proprie volontà compilando una DAT. In alternativa, si potrà indicare una persona fiduciaria che ne faccia le veci. Per essere valida, la DAT deve essere autenticata da un notaio o un pubblico ufficiale o un medico. In ogni momento, la DAT può essere modificata, rinnovata e revocata.
L’Associazione Luca Coscioni considera il disegno di legge “una buona base di partenza sulla strada di una maggiore libertà nelle scelte di fine vita”, ma vi sono anche forti perplessità. Il principale riferimento è alla tutela della vita, “espressione dietro la quale si cela in realtà la pretesa di imporre una vita che, per il malato, è divenuta una tortura”, come spiega Marco Cappato a ilfattoquotidiano.it.
Nonostante la questione si riproponga ciclicamente nella società italiana, nel giro di due mesi la proposta di legge ha subito tre rinvii, l’ultimo di qualche giorno fa. Ora, l’esame del testamento biologico alla Camera è previsto per il 13 marzo, sperando che si tratti della data definitiva.
Articolo di Angelo Andrea Vegliante