Oppresso finora da governi repressivi, che non hanno fatto altro che inasprire le tensioni interne, il paese sudamericano sancisce uno storico cambio di rotta
In questi giorni gli occhi degli osservatori internazionali sono puntati sulla Colombia, nazione che sta attraversando dei cambiamenti epocali, che cerchiamo di comprendere con Jorge Jiménez, studente di Scienze Politiche e Filosofia, e volontario all’interno della Commissione per la Verità, organismo nato dall’Accordo per la Pace del 2016 e che anche in Italia ha un suo nodo.
Una lunga e sanguinosa storia
Per comprendere l’entita del cambiamento che sta vivendo la Colombia, dobbiamo ripercorrere la storia del suo lungo conflitto armato, che da decenni miete vittime: 260mila i morti, 120mila gli scomparsi e 7 milioni gli esiliati. “Gli studiosi sono concordi nel ritenere che all’origine delle tensioni ci sia il tema della distribuzione delle terre – ci spiega Jiménez -, storicamente in mano a pochi ricchi. La questione ha origini profonde, parliamo addirittura dell’Ottocento, e si è andata ad acutizzare nel tempo a causa di gruppi politici e governi che gestivano con la violenza l’accesso alla terra e al potere, schiacciandosi a vicenda. Il conflitto nasce dunque nelle campagne con i contadini che tentano di reagire allo sfruttamento, e si evolve soprattutto negli anni Sessanta con l’arrivo di flussi ideologici dall’estero, quali il maoismo e il marxismo, che avevano al centro l’uguaglianza, il riscatto degli ultimi e la loro riconquista della terra. Ma se da un lato i contadini cominciavano a imbracciare le armi, parallelamente la élite politica aumentava la violenza e la repressione”.
Non è esatto parlare di guerriglia in Colombia poiché non ce n’è stata solo una, ma diverse guerriglie contadine che si sono sovrapposte: quella dei contadini, quella degli indios, quella di chi si batteva per l’abolizione delle caste, quelle armate e quelle che si limitavano ad atti dimostrativi nelle varie zone del paese.
A complicare le cose arriva il narcotraffico, come ricorda Jorge Jiménez: “Per difendere i propri interessi dai guerriglieri, i narcotrafficanti costituiscono dei gruppi paramilitari, che esasperano le tensioni. Gli anni a seguire sono stati caratterizzati dall’orrore: da un lato i rapimenti da parte dei guerriglieri, dall’altro le sparizioni e le torture dei paramilitari. Il tutto con la connivenza dei politici che – si scoprirà in seguito – accolgono paramilitari in parlamento e forniscono loro mezzi e risorse in accordo con l’esercito regolare.
Il presente
La forte richiesta di cambiamento da parte di contadini, indigeni, afrodiscendenti, ma anche di tanti giovani nelle città, viene puntualmente soffocata dai vari governi di destra che si alternano in Colombia, sia fisicamente (con la violenza e addirittura l’uccisione di manifestanti), sia mediaticamente (attraverso disinformazione e stigmatizzazione delle proteste sui media filogovernativi, che vengono bollate come terrorismo).
“Lo scorso anno – continua Jiménez – la rabbia popolare è esplosa in occasione della proposta di una tassazione su alcuni alimenti basici: latte, uova, carne… Tutti prodotti a cui i poveri non potevano rinunciare. La riforma non è passata e il ministro che l’ha proposta è stato destituito, ma le violenze sui manifestanti sono state terribili”. La differenza rispetto al passato l’hanno fatta i social media: Instagram, Twitter, Facebook, nuovi mezzi di comunicazione in mano ai giovani, che hanno mostrato al mondo le atrocità perpretate dalla polizia su manifestanti inermi e che hanno contribuito a coinvolgere una gran quantità di persone, incluse quelle tradizionalmente tagliate fuori dal dibattito politico, indigeni, afrodiscendenti e semplici cittadini.
Il nuovo presidente
Arriviamo dunque alle ultime elezioni presidenziali, in cui una popolazione più consapevole e determinata sancisce la vittoria di un personaggio completamente diverso dai suoi predecessori. Si chiama Gustavo Petro ed è un ex guerrigliero, tra i protagonisti del processo di pace tra il governo e il suo movimento rivoluzionario M-19, uno fra i tanti accordi di pace che hanno preceduto l’Accordo firmato a Cuba nel 2016, che anche lui ha sostenuto. Questo importante documento non è stato tuttora tradotto in azioni significative a causa del disinteresse da parte del governo precedente, ma l’elezione di Petro potrebbe davvero dare un’accelerata al processo di pace.
Il nostro intervistato è ottimista, ma con cautela: “Petro è sostenuto da una coalizione di varie forze politiche accomunate dalla voglia di cambiamento, ma non avrà la strada spianata. La terra è ancora in mano a poche persone, che non hanno intenzione di cedere e che controllano i mezzi di comunicazione, alimentando una campagna di disinformazione che genera paura in una parte della popolazione. Ci sono inoltre delle organizzazioni criminali, che dominano in diversi territori, molto potenti, legate al narcotraffico. Non mancano le accuse infondate, tra cui quella di portare la Colombia al baratro, come è avvenuto in Venezuela”. È una possibilità reale? “Non è da escludere, anche se questo è il risultato della gestione sconsiderata dei governi precedenti, che consegnano a Petro un paese con un’inflazione tra le più alte mai avute”.
Un’altra figura emblematica di questo clima di cambiamento è Francia Márquez, la vicepresidente nera, femminista e ambientalista che affiancherà il presidente Petro: “Di umili origini, faceva la donna delle pulizie, dopodiché è diventata avvocatessa. Ha ricevuto minacce per il suo impegno nella difesa dei diritti umani della comunità nera. È impegnata nel riconoscimento dei diritti delle persone LGBTQ+, nella difesa della natura e contro lo sfruttamento del territorio da parte delle compagnie straniere, che da sempre hanno lucrato estraendo oro e petrolio in Colombia”.
La pace sempre più vicina
È stato da poco presentato l’ultimo rapporto della Commissione per la Verità, un documento importantissimo, contenente migliaia di testimonianze di vittime del conflitto armato e che restituisce un’analisi approfondita di questo fenomeno, nonché gli strumenti per superare la logica della guerra. Un’eredità preziosa che verrà consegnata alla società civile per continuare quel lavoro di pedagogia per la costruzione della pace, finora molto lento e non privo di ostacoli. La grande novità rispetto al passato è che questo lavoro ha messo al centro le vittime ed è rivolto principalmente a loro. Il tutto alla presenza del nuovo presidente e della nuova vicepresidente, che non l’hanno ignorato come i loro predecessori e che si impegnano ad essere protagonisti di questo percorso di riconciliazione dopo più di mezzo secolo di crimini contro l’umanità.
(Manuel Tartaglia)