La sitcom americana in onda sulla ABC (in Italia trasmessa dalla Fox) affronta la disabilità a tutto tondo, non lasciando nulla al caso. Non ci sono pietismi o falsi eroismi, ma solo la quotidianità di una persona con bisogni specifici.
La disabilità sta diventando sempre più pop nel mondo delle serie televisive. Sono molti gli sceneggiatori che intraprendono una produzione incentrata su questa tematica, vuoi per dissacrare uno stereotipo, vuoi per mettere in primo piano alcuni aspetti di una condizione particolare. Il più delle volte, però, ciò che viene mostrato ricorda solo in parte la realtà di un individuo con disabilità: possiamo trovare un tratto pietistico, una caratterizzazione eroica o un riscatto della propria condizione. Si tratta pur sempre di show business, verrebbe da esclamare.
E forse è la stessa cosa che ha pensato Scott Silveri (produttore e scrittore di Friends e Joey) quando ha deciso di giocarsi le proprie carte con Speechless, sitcom americana che segue le vicende dei membri della famiglia DiMeo, tra cui troviamo Maya (Minnie Driver), madre autoritaria con un atteggiamento privo di qualsivoglia filtro, Jimmy (John Ross Bowie), padre incurante dei giudizi altrui, Ray (Mason Cook), il secondogenito colto e riflessivo, Dylan (Kyla Kenedy), la figlia atletica e pragmatica, e JJ (Micah Fowler), figlio ingegnoso e irriverente affetto da paralisi cerebrale infantile. Il titolo Speechless (in italiano, “muto”) fa riferimento all’incapacità di JJ di comunicare autonomamente. Il primogenito, infatti, utilizza un puntatore laser posizionato sul capo con il quale indica le parole, le lettere e i numeri di una tastiera fissata sulla propria carrozzina, che gli altri componenti della famiglia leggono ad alta voce per lui.
L’incipit della storia si focalizza già sul tema cardine della moderna sitcom: la disabilità, in tutte le sue sfaccettature quotidiane. La famiglia trasloca continuamente per dare a JJ un luogo scolastico accessibile e inclusivo, dove può essere accompagnato da una “voce sostegno” per tutta la giornata. Però, nonostante scopriranno che l’ennesima scuola non garantisce un servizio adeguato (come l’assenza di un montascale all’ingresso dell’edificio), JJ decide comunque di assumere come assistente Kenneth (Cedric Yarbrough), il custode della struttura, dotato di una bella voce profonda e squillante.
A differenza di altre produzioni come Altruisti si diventa, Speechless pone fin da subito l’accento sulla relazione lavorativa che intercorre tra JJ e Kenneth: sì, i due matureranno anche un rapporto d’amicizia, ma è pur sempre vero che il primogenito DiMeo è il datore di lavoro del simpatico omone. E spesso JJ sottolineerà l’esigenza di una certa professionalità da parte di Kenneth, soprattutto in risposta a bisogni specifici richiesti. Ciò che vengono messi in campo sono i limiti e le soglie che un consueto assistente o caregiver deve tenere in considerazione, come accade nella vita reale.
Un’altra tematica riguarda l’integrazione di JJ da parte dei suoi coetanei e dell’istituto scolastico. In questo caso, Speechless vuole esorcizzare uno stereotipo molto forte nella società moderna, che vede la persona con disabilità come un soldato in missione per farsi accettare dagli altri. Fin da subito, il giovane mostra una repulsione per chi vede in lui un eroe o un mito da emulare a fronte della sua condizione, ma cerca altresì di passare inosservato e non catturare l’attenzione dei più. Dall’altra parte della trincea, però, liceali e corpo studentesco arriveranno a fare delle scelte assurde pur di far sentire JJ uno di loro, ottenendo, in alcuni casi, il risultato opposto: ad esempio, quando un falò in spiaggia viene spostato nella palestra della scuola al fine di rendere l’esperienza accessibile anche al ragazzo con disabilità. Questo evento farà partire un discorso tra i liceali incentrato su cosa significhi realmente il concetto di integrazione, degenerando in una richiesta degli studenti di ammissione di colpa da parte di JJ per la festa non riuscita. Dal canto suo, il giovane prenderà con irriverenza questa ed altre situazioni, ma alla fine spiegherà in modo abbastanza schietto e deciso che l’integrazione non deve essere imposta, ma dovrebbe essere un fattore quotidiano. Come il suo essere una persona con disabilità, che richiede, certo, attenzioni specifiche, ma senza idolatrarlo come eroe per questo.
Oltre alla scuola, Speechless offre un’ampia descrizione introspettiva sulle relazioni familiari di JJ. Il primogenito vuole imporre la sua figura di fratello maggiore su Ray e Dylan, in quanto vuole proteggerli dalle cattiverie del mondo. I due, però, non sembrano cogliere questa sfumatura, anzi sono propensi a pensare che JJ sia il fratello da proteggere. Spesso, questo sarà un motivo di contrasto tra i tre, spinti anche da un senso di indipendenza giovanile. Tutto però verrà risolto in diverse puntate, dove il primogenito DiMeo sbroglierà nodi delicati e importanti per Ray e Dylan, sottolineando come la disabilità non significhi incapacità di proteggere le persone che amiamo.
Alle relazioni familiari si aggiunge anche il concetto di autonomia. JJ sembra essere un ragazzo diligente a scuola, ma i suoi voti alti sono influenzati dai suggerimenti di Kenneth e dall’aiuto spasmodico degli insegnati, che lo premiano pietisticamente, vista la sua difficile condizione. Scoperto l’accaduto, May fa ripetere al figlio un test scolastico importante, conscio che JJ possa riuscirci autonomamente. L’idilliaco rapporto madre-figlio, il cui climax viene reso più forte quando la stessa madre decide di allentare un po’ le redini sul controllo spasmodico del figlio, si spezza proprio a causa della verifica in classe. Superata con un voto abbastanza alto, JJ scopre che la sua famiglia ha intavolato un discorso sul “Dopo di noi”, senza però interpellare il diretto interessato: Ray e Dylan si chiedono come potranno aiutare il fratello quando i loro genitori non ci saranno, May e Jimmy mostrano le stesse preoccupazioni, ammettendo che JJ non potrà mai essere autonomo come gli altri. Quest’ultimo si sente tradito: un momento prima sentiva di poter realizzare ogni obiettivo personale, il momento dopo la sua famiglia gli tarpa le ali delle possibilità. Quando si parla di autonomia, non si può prescindere da come la propria famiglia ti inquadri in questo mondo. L’insicurezza casalinga genera a sua volta insicurezza, e JJ questo lo sente. Una serie di eventi bislacchi, però, porteranno a una riappacificazione realistica. May si impone di credere nelle possibilità che la vita possa offrire a un ragazzo come il proprio primogenito, mentre JJ accetta di capire come gira il mondo per chi ha bisogni specifici, facendosi aiutare da un adulto che, come lui, è affetto da paralisi cerebrale infantile, una condizione che non gli ha impedito di avere una moglie, un lavoro, una macchina e una casa. Insomma, l’autonomia è possibile, con qualche sforzo in più.
Una nota a margine riguarda l’attore che interpreta JJ, Micah Fowler, anch’egli affetto da una paralisi cerebrale. Silveri ha ingaggiato un attore che conosce bene la situazione del personaggio, in grado soprattutto di fare il proprio mestiere: nella realtà, Micah non ha problemi a comunicare con la parola, mentre nei panni di JJ deve saper interagire con gesti e mimiche facciali significative. La sitcom concede una riflessione esterna alla sceneggiatura sulle possibilità da dare ai tanti e ottimi attori con disabilità, che quasi sempre sono condannati all’oblio.
Speechless è una serie rivoluzionaria per questi e altri piccoli accorgimenti che la storyline indaga. Sono molti gli elementi che andrebbero messi in risalto, ma la quotidianità di una persona non è semplice da raccontare in un articolo. La visione è consigliata a tutti, sia a chi vuole eliminare preconcetti malsani, sia a chi la disabilità la vive tutti i giorni, sia a chi la disabilità la vede nei propri cari. La creatura di Silveri è nuda e cruda, e tornerà il 27 settembre 2017 con la seconda stagione. È giusto aspettarsi qualche salto in più da parte degli autori, come un’indagine interiore di JJ sul mondo del lavoro, sull’accettazione del proprio corpo e sull’amore carnale.
Articolo di Angelo Andrea Vegliante