In questi giorni nelle sale cinematografiche è in proiezione Inferno, film diretto da Ron Howard e che vede ancora una volta Tom Hanks vestire i panni di Robert Langdon, personaggio di fantasia creato da Dan Brown. La pellicola, come per Il Codice Da Vinci e Angeli e Demoni, è stata ripresa dall’omonimo libro dello scrittore statunitense, Inferno. In breve, entrambe le opere mettono in luce un tema quanto mai attuale: il sovraffollamento globale, cioè il fatto che le persone nel mondo sono tante ed in netta crescita. La questione è delicata, in quanto emergono analisi di vario tipo: politica, società, medicina, etica, responsabilità, morale e religione. Nell’affrontare tale tematica, però, va sottolineato che il regista ha stravolto moltissimi elementi del testo, andando a scardinare completamente la trama e il finale proposto da Brown. Ma andiamo con ordine.
Entrambe le storie ruotano attorno la teoria del dott. Bertrand Zobrist, genetista e personaggio di fantasia di Dan Brown che teorizza un’ampia crescita della popolazione mondiale: 9 miliardi di persone nel 2100. Per Zobrist si tratta di un campanello d’allarme, al quale dare una risposta concreta e definitiva: nel libro, il genetista crea un vettore virale in grado di cambiare il DNA della popolazione mondiale, la cui diffusione ne avrebbe resa sterile un terzo; nel film, un virus che avrebbe ucciso il 50% degli esseri umani. Anche le conclusioni, di pari passo ai cambiamenti del regista, sono diverse. In Dan Brown, Robert non riesce ad impedire la propagazione del vettore, così da far analizzare la questione con una sorta di compromesso tra varie scuole di pensiero: siamo e saremo in tanti, e tale aumento va arginato in qualche modo (ovviamente, non con virus o armi batteriologiche). In Ron Howard, invece, la componente del virus mortale resta e viene controllata dal protagonista, che quindi sventa una possibile apocalisse devastante.
Ci potremmo dilungare per ore in una critica molto ferrata sui cambiamenti apportati da Howard, che snaturano in modo assai pretenzioso e classicista la morale portata avanti dallo scrittore: il fulcro di Inferno, il libro, sta appunto nel far emergere una tematica imponente, ed un finale eroico e dannatamente cinematografico altera le interpretazioni di fondo. Il sovraffollamento globale è una realtà, e il compromesso etico apportato da Dan Brown rispecchia un’esigenza di approfondimento del tema. Attualmente, gli esseri umani presenti sulla Terra sono più di 7 miliardi di unità (Cina e India i paesi più popolosi). Secondo i dati dell’Onu diffusi nel 2011, questo numero salirà notevolmente, portando addirittura a toccare nel 2050 gli oltre 9 miliardi: questo dipende dal fatto che ogni secondo si registrano 4,17 nascite e 1,80 morti, un rapporto che favorisce la crescita netta di 2,37 persone. E, quindi, ogni anno, la popolazione mondiale cresce di quasi 75 milioni di individui. Sempre secondo l’Onu però, ci sono tre scenari possibili: nel 2050 saremo circa 8 miliardi di persone, a patto che il tasso di fecondità passi da 2,56 figli nati per ogni donna a 1,54; nel 2050 saremo 9 miliardi (l’ipotesi più accreditata), che si verificherà se la fertilità delle zone meno sviluppate del mondo scenda a 2,05 figli per donna rispetto all’attuale 2,73; nel 2050 saremo 10,5 miliardi, in quanto il tasso di fertilità attuale è rimasto costante nel tempo. In tutti e tre i casi, la popolazione europea resterà stabile, mentre raddoppierà quella africana (2 miliardi) e asiatica (5,3 miliardi). In questa sede non cercheremo di capire quale sia la teoria più o meno solida, ma verranno sottolineate le conseguenze che un aumento della popolazione comporterebbe e quali misure andrebbero adottate per arginarne la questione.
Innanzitutto, va detto che l’aumento della popolazione mondiale dipende da due fattori: il tasso di fertilità e il tasso di mortalità, a loro volta influenzati da diverse variabili (medicina, fattori climatici e ambientali, politica sanitaria, standard di igiene, istruzione, guadagno pro-capite, evento socio-politici e via discorrendo). Per fare un esempio, l’estate torrida del 2003 nella sola Francia ha causato 15.000 morti in più rispetto alla media. E allora, con quali orizzonti ci andremo a scontrare nel futuro? Jack Goldestone, della George Mason University (USA), in una sua analisi pubblicata sulla rivista Foreign Affairs, individua quattro tendenze: la popolazione dei Paesi oggi sviluppati come Europa, Usa e Canada sarà in calo, dal 17% al 12% di quella globale; la popolazione dei Paesi sviluppati invecchierà sempre più; la popolazione giovane crescerà nei Paesi poveri; ci sarà una grande concentrazione di persone negli agglomerati urbani (con grande attenzione per Mumbai, Città del Messico, Nuova Delhi, Shanghai e Calcutta) che provocheranno gravi problemi di igiene, degrado e violenza.
Una prima domanda che viene da porsi riguarda la disponibilità delle risorse alimentari. Secondo le stime Fao di qualche anno fa, la Terra potrebbe dare nutrimento per 20 miliardi di persone. Ovviamente, il problema attuale è la mal distribuzione del cibo, mentre secondo alcuni studiosi Onu negli ultimi vent’anni la produzione del cibo è salita costantemente del 2% ogni anno, confermando il non esaurimento delle scorte alimentari. Certo, ci sono comunque delle barriere da non superare. Basti pensare che attualmente utilizziamo a fini agricoli circa il 12% delle terre emerse e libere dai ghiacciai e, secondo molti operatori del settore, il limite consentito è del 15%.
C’è chi però teorizza una crescita ancora più ampia. In un breve saggio dal titolo 2100: un mondo sovraffollato di Daniela Porpiglia, coordinatrice dell’Osservatorio sulle prospettive demografiche e urbane dell’IIF (Italian Institute for the Future), emerge un dato ancora più elevato: fra 84 anni saremo più di 11 miliardi di persone. La teoria si basa su un altro report Onu (World Population Prospects) originato da un’analisi di metodologia Bayesiana, un approccio più statistico rispetto al precedente studio, che utilizza il calcolo delle probabilità: «Il risultato a cui si giunge è che c’è una probabilità del 95% che la popolazione mondiale nel 2100 raggiunga un valore compreso tra i 9 e i 13.2 miliardi di persone e una probabilità dell’80% per cui tale valore sia compreso tra i 9 e i 12.3 miliardi», scrive Porpiglia. E porterà delle conseguenze: sul piano ambientale, uno sfruttamento sempre più intenso delle risorse naturali ed un inquinamento crescente; sul piano economico, probabili alti livelli di disoccupazione, bassi salari e povertà; sul piano sanitario, picchi di mortalità femminile e giovanile; sul piano delle politiche sociali, l’esigenza di attuare una maggiore attenzione sul campo dell’educazione, della salute e delle infrastrutture, e la necessità di affrontare i problemi legati al crimine. Quali le possibili soluzioni? Sempre utilizzando le parole di Porpiglia, «i ricercatori si concentrano su due soluzioni che potrebbero essere utili per tenere sotto controllo i tassi di natalità, soprattutto nei paesi in via di sviluppo: un maggiore utilizzo dei metodi contraccettivi e l’incremento del livello di scolarità delle donne». E, in aggiunta, delle politiche rivolte ad un controllo del consumo delle risorse, in quanto l’aumento della popolazione mondiale porta, inevitabilmente, ad un maggiore consumo dell’ambiente e delle materie prime: ad esempio, secondo le stime dell’Agenzia internazionale dell’energia, il consumo del petrolio è destinato ad aumentare al crescere della popolazione, e nel 2030 avremmo bisogno di 120 milioni di barili al giorno e le stime parlano di una possibile autonomia di 40 anni agli attuali ritmi di consumo di 90 milioni di barili al giorno.
Stephen Hawking, in un’intervista al talk show Larry King Now, aveva messo in luce le tre componenti che distruggeranno il genere umano: inquinamento, avidità e stupidità. Dan Brown e Ron Howard, in un modo o nell’altro, pongono l’accento su queste ed altre caratteristiche, mostrando come il sovraffollamento globale non sia solo una trama per una storia di fantasia, ma un serio discorso da affrontare. Servono dunque soluzioni concrete – non quelle prospettate da Brown e Howard, sia chiaro – per non ritrovarci schiacciati e imbottigliati tra noi, come accade ogni lunedì mattina nei mezzi pubblici.
Articolo di Angelo Andrea Vegliante