Il Gruppo Donne UILDM, in prima linea per il diritto alla sessualità, alla femminilità e alla maternità, chiama le donne con disabilità a partecipare ad un questionario sulla salute sessuale e sull’accessibilità dei servizi ad essa dedicati
Femminilità e disabilità: un connubio che appare ancora strano agli occhi delle società del terzo millennio, che si stupiscono o rifiutano, ritenendolo inappropriato, che una donna con disabilità possa occuparsi del proprio benessere sessuale o del desiderio di diventare madre.
Il Gruppo Donne UILDM, in collaborazione con il Gruppo Psicologi, ha aperto un’indagine sul livello di accessibilità ai controlli legati alla salute della donna, approfondendo il rapporto col proprio corpo e la propria femminilità, col corpo dell’altro — che si esprime nella sessualità —, dando spazio a percorsi dedicati alla maternità.
Il gruppo di lavoro, composto da donne con disabilità, psicologhe ed una dottoranda in sociologia, ha lo scopo di raccogliere dati sullo stato delle cose a dieci anni di distanza dalla prima indagine.
Le donne impegnate nella ricerca chiedono la collaborazione di altre donne con disabilità motoria per la compilazione di un questionario anonimo (tempo occorrente: circa 10 minuti) dal titolo “Sessualità, Maternità, Disabilità”, disponibile online entro il 30 settembre 2021.
Un secondo questionario di rilevazione dei livelli d’accessibilità dei servizi ostetrico-ginecologici alle donne con disabilità sarà invece distribuito ad un campione di strutture ed enti sanitari di diverse città italiane.
Quest’analisi s’impegna nel dare la possibilità di denunciare lacune e discriminazioni che le donne con disabilità subiscono nell’accedere ai servizi sanitari allo scopo di rimuoverle.
Non meno importante è la narrazione delle esperienze personali, partendo dalle quali il gruppo di lavoro promuoverà una riflessione sulla sessualità in senso ampio: dall’accesso alle strutture, al sapere medico, alla comunicazione sul rischio, alla prevenzione, alla contraccezione, alla gestione dei tempi personali e della visita ostetrica o ginecologica, fino ai desideri, proiezioni, immaginari sulla maternità, al rapporto col proprio corpo e alle rinunce a cui si è costrette, vivendo con una disabilità, nello scenario socio-culturale attuale.
Infatti, alcuni stereotipi sociali, molto legati a pregiudizi come l’abilismo, al ruolo della donna nella famiglia e nella società e all’abitudine d’inquadrare la sessualità delle persone con disabilità come un problema, fanno di questa sfera fondamentale dell’essere umano una realtà grossomodo inconsistente, neutralizzandola nell’ambito delle pratiche igieniche, rendendo difficile incontrare l’approvazione e il rispetto per la propria dimensione intima per chi viva con una disabilità.
A dirlo non sono soltanto le ricerche sociologiche o il fatto che di sessualità si parli ancora troppo poco in Italia, ma l’esperienza diretta di chi scrive e di tante altre donne comuni e con disabilità, spesso accolte nelle sale d’aspetto degli ambulatori da commenti del tipo “Ma come, anche tu dal ginecologo?!” oppure “Ma lascia stare! Come potresti occuparti di un figlio se non sei autosufficiente nemmeno tu!” o, ancora, “Tuo marito? Ma non vive in carrozzina?” e così via.
Ancora più difficile è considerare le persone con disabilità come individui sessuati, con desideri ed esigenze sessuali.
Il mancato godimento dei diritti sessuali e riproduttivi non conosce confini e tra pregiudizi, tabù ed ipocrisie, spesso le donne, forse più degli uomini con disabilità, ne pagano il prezzo maggiore.
Infatti, se da un lato la considerazione della loro femminilità viene distorta dal pregiudizio comune, dall’altro, il diritto ad una sessualità sana e dignitosa viene calpestato da forme di violenza, molestie ed abusi causati dalla percezione di un presunto stato di inferiorità e di fragilità che le trasforma in prede facili.
Del resto, mentre nel 2002 l’OMS definiva la sessualità “un aspetto centrale dell’essere umano comprendente: sesso, genere, identità e ruoli, orientamento sessuale, erotismo, piacere, intimità, riproduzione” e sottolineava che “non tutte queste dimensioni sono sempre vissute ed espresse”, essendo influenzate da fattori biologici, sociali, psicologici, politici, economici, etici, culturali e religiosi, la Convenzione Onu sui diritti delle persone con disabilità ha incluso i diritti sessuali e riproduttivi nella sfera più ampia del diritto alla salute (art.25), alla famiglia (art.23), alla protezione da ogni forma di violenza, inclusa quella di genere (art.16).
Partendo da queste premesse e consapevoli che, mentre i quadri normativi progrediscono, la società, che ancora medicalizza, ignora, ostacola e delegittima la naturale aspirazione ad una vita sessuale e di relazione piena, appagante e libera dalle forme di coercizione, di discriminazione o di violenza, tenda invece a negare la libertà d’accesso all’informazione, all’educazione sessuale, a scegliere il partner, a stabilire se e quando sposarsi od aver figli, realizzare e partecipare al questionario sarà importante per cambiare le cose.
(Giuseppina Brandonisio)