La giovane vittima di mafia era stata ripudiata dai suoi compaesani perché testimone di giustizia. Roma la ospitò. A venticinque anni dalla sua morte, l’associazione che porta il suo nome chiede alla sindaca Virginia Raggi di concedere a Rita Atria la cittadinanza onoraria
I difficili anni a Partanna. Rita Atria nasce il 4 settembre 1974 a Partanna (Trapani). Partanna è situata nel Belice, una zona della Sicilia nota perché distrutta dal terremoto. Terremoto che, come tristemente ci hanno ricordato le cronache degli ultimi anni, si rivela una manna dal cielo per gente senza scrupoli in grado di trasformare la ricostruzione in profitto. A Partanna c’è la mafia, anche se Rita non è pienamente consapevole di cosa significhi.
Perde il padre quando ha undici anni. Vito Atria viene ucciso a causa di faide legate al narcotraffico e altri affari sporchi. Da qui in poi, il pensiero fisso di Rita Atria è di vendicare il padre. Investiga, raccoglie informazioni, da suo fratello – anch’egli coinvolto nel traffico di stupefacenti – ottiene i nomi degli assassini del padre, mentre dal fidanzato – anche lui colluso con la cosca -, negli anni seguenti ricava altre informazioni.
L’incontro con Borsellino. Nel 1991 fallisce il tentativo di vendicare Vito Atria. Muore, in quell’occasione, il figlio Nicola. Adesso Rita non ha più neanche il fratello e la sua sete di vendetta aumenta. Spinta da questa, finisce nell’ufficio del celebre giudice antimafia Paolo Borsellino, al quale rivela tutte le informazioni in suo possesso relative agli assassini dei suoi parenti. Scatta per lei il programma di protezione dei testimoni, e soprattutto avviene in lei una crescita interiore che la porta a riconsiderare la realtà come l’aveva percepita fino a quel momento. Accolta dalle istituzioni oneste, ripudiata dai suoi concittadini – in primis da sua madre, che la disconosce -, che la additano come “infame”, capisce che il nemico non è lo Stato, ma la mafia e chi la sostiene, che c’è gente giusta e buona, che la legalità è un valore.
La nuova vita – e la morte – a Roma. La ragazza passa i suoi ultimi mesi, sotto falsa identità, a Roma. La sua serenità dura poco, però: in breve tempo assiste impotente alla notizia della morte del giudice Giovanni Falcone, prima, e di Paolo Borsellino, poi. Si sente braccata, teme che la prossima vittima sarà lei, così decide di togliersi la vita. Il 26 luglio 1992, Rita Atri si lancia dalla finestra e muore. Praticamente nessuno celebrerà il suo funerale a Partanna. Addirittura, alcuni mesi dopo, sua madre vandalizzerà la lapide di quella figlia odiata, con un martello.
L’eredità di Rita. Nonostante la sua breve esistenza, Rita ci ha lasciato un’eredità importante. Le sue testimonianze, unitamente a quelle di sua cognata, hanno permesso di contrastare duramente il potere delle cosche partennesi. La sua storia ha scosso coscienze, ha ispirato persone. C’è l’Associazione Antimafia “Rita Atria”, che promuovere la diffusione della cultura della legalità e di una coscienza antimafiosa e antifascista. L’associazione ha condotto tante battaglie, consentendo alla giustizia di fare il suo corso, sostenendo le vittime delle mafie, informando i più giovani. Per conoscere più in dettaglio le attività dell’associazione, vi rimandiamo all’intervista che il Consigliere del Direttivo Nazionale dell’Associazione Antimafia “Rita Atria”, Jhonathan Nardella, ha rilasciato a Radio FinestrAperta, durante la trasmissione Roba da Servizio Civile:
La petizione. La scorsa estate, nel venticinquesimo anniversario della morte di Rita, l’associazione ha lanciato una proposta alla sindaca di Roma Virginia Raggi, tramite una petizione. All’amministrazione capitolina viene chiesto di concedere a Rita Atria la cittadinanza onoraria. Dopotutto Roma è la città, sì, che l’ha vista morire, ma che l’ha anche accolta quando il suo paese natale l’aveva ripudiata. Un gesto simbolico ma di forte valenza, per onorare una figura poco conosciuta della lotta alla mafia.
Articolo di Manuel Tartaglia