Da superficiale a icona inclusiva, la bambola più famosa del mondo ha ora la sindrome di Down
Occhi a mandorla, un viso più tondo, il ciondolo che rappresenta il terzo cromosoma 21 e una statura leggermente più bassa. La casa di produzione delle bambole più famose del mondo ha creato all’interno della sua linea “Fashionistas” la prima Barbie con sindrome di Down.
Sono passati più di vent’anni da quando il gruppo musicale Aqua cantava della vita plasticamente perfetta, ma vacua e dal sapore vagamente sessista, delle Barbie.
Adesso la Barbie non è solo un’instancabile lavoratrice e donna amorevole, che però continuava a mantenere un fisico impeccabile sul suo tacco dodici, prestante e irraggiungibile, ma è anche una persona normale, come noi.
Questa mossa di marketing, che ha avvicinato la sua figura alle bambine e ai bambini di oggi, è frutto di una grave crisi in cui la Mattel versava a inizio anni Duemila. Tacciata di essere superficiale, stantia, una versione di donna che semplicemente non sapeva più di quotidiano, aveva bisogno di un cambiamento radicale; non bastava più che Barbie fosse perfetta in ogni cosa in cui si cimentasse, che fosse anche quel lavoro considerato da sempre più maschile che femminile. Barbie doveva essere più vera: ecco quindi che una decina di anni fa spuntò sugli scaffali la prima sedia a ruote, la vitiligine, un corpo normale, meno formoso, meno magro e meno slanciato, magari senza il famoso “vitino di vespa”.
L’ultima novità in casa Mattel è la Barbie con sindrome di Down, trascinata da una serie di spot al grido di “è come me”.
Nonostante il sospetto di “furbizia” dietro queste iniziative commerciali, non si può negare che Barbie non sia finalmente realistica come le bambine che ci giocano. Un senso di accettazione del proprio corpo e delle condizioni sicuramente sano e adeguato a quella delicata fase di crescita. A patto, però, che i bambini non continuino a comprare esclusivamente le Barbie perfette.
Sì, perché nonostante il nobile intento, la Barbie con la sindrome di Down veicola il giusto messaggio d’inclusione ed accettazione? Le prime bambole con questa condizione sono in vendita in realtà dal 2007, da Onil, una piccola realtà spagnola e i dati di vendita hanno mostrato come le bambole non venissero comprate da persone senza la sindrome di Down in famiglia. la Mattel con la linea Fashionistas – di cui fanno parte le bambole nella loro diversità, ha avuto invece un successo clamoroso: l’inclusività, soprattutto se fatta da loro, vende. Ma è così un male andare verso certi concetti se richiesti da compratori sensibilizzati a più tematiche? La Mattel non è piccola come la Onil, la prima vende milioni di bambole all’anno ed è presente nelle giocherie di 150 paesi. La vera inclusività è finalmente sotto gli occhi di tutti, ogni bambino può adesso venire a conoscenza di qualcosa lontano da loro semplicemente alzando gli occhi sugli scaffali, anche se ne dovesse scegliere un modello a sé più vicino.
Questa bambola quindi rivoluzionerà il mondo come in molti stanno auspicando? Probabilmente no. È un minuscolo segno di una società che sta andando in una direzione sempre più aperta? Probabilmente sì.
(Angelica Irene Giordano)