Come ci scrive Alessandro, una passione potrebbe diventare un mestiere, se solo le istituzioni favorissero l’occupazione di chi si muove in carrozzina
Quando a marzo la pandemia ci ha costretto a rimanere chiusi a casa, la mia vita ha subito un drastico stop. Stando a casa le mie attività si sono annullate: niente vita associativa, niente passeggiate, niente uscite. Allora che fare? Inizialmente mi sono dedicato al gaming, qualche telefonata, serie TV, film e libri, ma poi mi sono domandato:
Che mangio oggi?”.
Da questa esigenza primaria è nata in me l’idea, visto che di tempo ne avevo tantissimo, di sperimentare nuove ricette.
Recentemente ho scoperto sul web uno chef di nome Hiroiko Shoda, un giapponese che lavora in Italia da un po’ di anni; Hiro ha postato una ricetta al giorno durante il periodo di lockdown e così ha fatto nascere in me la voglia di cucinare tutti i giorni ricette nuove, sia italiane che orientali. La cucina mi è sempre piaciuta, ma mi ci dedicavo solo sporadicamente, impegnandomi per lo più con le ricette nostrane. Così, un po’ per gioco, un po’ per distrazione, ho cominciato a seguire le ricette di Hiro e devo dire che sono rimasto estremamente soddisfatto da questa esperienza, tanto che in me è sorta una domanda:
Perchè non trasformare questa passione in una professione?”.
La cucina in effetti mi ha offerto la possibilità di impiegare il tempo in maniera creativa e fruttuosa; mi sono dovuto cimentare con tutta una serie di calcoli (ingredienti, dosi, tempi e modalità di cottura), lavori manuali (impasti, tagli particolari eccetera) e sperimentazione. La cucina è veramente un arte come dicono: offre grandi emozioni e non solo per il palato. È l’arte dell’incontro fra elementi diversi che, unendosi, creano qualcosa di nuovo e magiche armonie.
Da questa esperienza ho riflettuto sulla possibilità di trasformare questa attitudine in una professione; se le cucine sono adeguate alle persone con disabilità, noi non abbiamo nessun limite e possiamo dedicarci a questo lavoro come gli altri. Certo, per diventare chef necessitiamo di corsi professionali finalizzati a renderci precisi e veloci.
Questa possibilità lavorativa potrà vedere la luce grazie ad un interessamento delle istituzioni: i corsi hanno dei costi, le cucine devono essere adatte alle esigenze, gli attestati devono essere riconosciuti a livello nazionale. Un problema che abbiamo rilevato sulla nostra pelle è quel gap incolmabile tra i corsi professionali ed il reale inserimento nel mercato del lavoro; questo è vero per tutti, ma le persone con disabilità vale di più.
A Roma c’è una pizzeria, la Locanda dei Girasoli, in cui sono impiegati ragazzi e ragazze con sindrome di Down, che rappresenta una vera oasi nel deserto. Loro sono la dimostrazione di quanto possa essere bello e possibile lavorare nella ristorazione; da quella esperienza ne dovrebbero nascere delle altre e possibilmente inclusive, lavorando gomito a gomito con gli altri senza distinzioni o barriere di alcun genere.
Prima di ritornare ai fornelli e per salutare, condivido qui la ricetta, da me eseguita, che ha ricevuto maggiori consensi a casa: l’orata in crosta di sale.
Ingredienti per due persone
- 1 orata
- 500 gr di sale grosso
- 150 gr di sale fino
- 1 albume
- q.b. scorza di limone
- 10 gr foglie di prezzemolo
- 2 fette di limone
Per la salsa
- 30 gr di succo di limone
- 30 gr di olio extravergine di oliva
- q.b. sale
- q.b. origano
Sale grosso e sale fino li mischiamo insieme e aggiungiamo il prezzemolo con l’albume e la scorza di limone. Mischiamo tutto in una ciotola e mescoliamo bene. Prendiamo l’orata già pulita delle interiora, prendiamo le due fette di limone e le inseriamo all’interno del pesce. Ricopriamo tutto con il composto a base di sale, mettiamo in forno a 180 gradi per 30 minuti. Una volta cotta l’orata, rompere la crosta di sale e pulire il pesce per servirlo.
Buon appetito.
(Alessandro Fontanazza)