Manca meno di un mese alla celebrazione della manifestazione mondiale dedicata alle persone disabili. Ogni anno si sceglie un tema su cui puntare, e quest’anno tocca alla “società sostenibile e resiliente per tutti”. Ma a che punto siamo in Italia?
“Trasformazione verso una società sostenibile e resiliente per tutti”: è il focus scelto dalle Nazioni Unite per la Giornata internazionale delle persone con disabilità, prevista per il 3 dicembre 2017. “L’Agenda 2030 impegna a non lasciare nessuno indietro – scrive l’Onu in un comunicato stampa -. Le persone con disabilità possono tracciare velocemente il processo verso uno sviluppo inclusivo e sostenibile e promuovere una società resiliente per tutti, includendo in questo processo anche la riduzione del rischio di disastro, l’azione umanitaria e lo sviluppo urbano”.
Parole di grande conforto e lucida speranza, per un rilancio sociale auspicato non solo dalle Nazioni Unite. Il 1° dicembre, nel quartier generale di New York, si darà il via all’organizzazione della manifestazione globale, con le diverse iniziative volte a promuovere la Giornata a cura del dipartimento per gli Affari economici e sociali (Desa), in collaborazione con gli Stati membri, le università, il settore privato e le organizzazioni delle persone con disabilità. Ma – ci tiene a precisa l’Onu – chiunque preparerà singole iniziative, le potrà riportare direttamente all’indirizzo mail enable@un.org.
Come ci arriva l’Italia, al 3 Dicembre? La veste non è perfetta, ancora ci sono macchie abbastanza scomode che hanno condizionato un 2017 ricco di rinnovamenti, ma anche di casi abbastanza eclatanti.
SANITÀ. Nella prima metà dell’anno, l’occhio del ciclone è stato puntato sulle cure palliative e sull’eutanasia nella normativa italiana, ma a conti fatti vi sono ancora molte perplessità. A marzo si è dato spazio al testamento biologico, che però non ha convinto le varie parti chiamate in causa, che ancora mostrano segni di impazienza, ricorrendo a misure estreme pur di vedere il loro desiderio realizzarsi. Un abbandono politico e sociale che si riversa anche in un’emarginazione circoscritta nei luoghi sanitari. L’allarme è stato lanciato a giungo dalla “Conferenza di Consenso sulla segregazione delle persone con disabilità”, dossier promosso dalla Fish: secondo i dati diffusi, sono 273.316 le persone con disabilità che sono ospitate dai presidi residenziali socio-assistenziali e socio-sanitari e, tra questi, nel 2016 l’Arma dei Carabinieri rileva 114 casi di maltrattamenti, 68 di abbandono d’incapace, 16 di lesioni personali e altrettanti di sequestro di persona. Se invece osservassimo un periodo più ampio (2014-2016), abbiamo 6.187 controlli effettuati dai Nas nelle strutture sanitarie, socio-assistenziali e in centri di riabilitazione neuro-psicomotoria che raggruppano i seguenti dati: 1.877 le situazioni non conformi, 68 arresti conseguenti, 1.397 persone segnalate all’Autorità Giudiziaria, 3.177 sanzioni penali, 2.167 sanzioni amministrative per 1,2 milioni di euro e 176 strutture sottoposte a sequestro o chiusura. Un’inclusione sanitaria ben lontana dal definirsi tale.
LAVORO. Qualche giorno fa, abbiamo snocciolato qualche dato in merito a un aggiornamento abbastanza significativo: dal 1° gennaio 2018, per effetto del Decreto legge n. 244/2016, detto “Milleproroghe”, le aziende dovranno rispettare una nuova modalità d’assunzione del personale con disabilità. Un richiamo abbastanza forte da parte della società, visto che attualmente solo il 3,5% dei disabili italiani può permettersi di definirsi un lavoratore, e solo lo 0,9% lo sta cercando. Una forte discriminazione sociale evidente anche nella distinzione di genere: il tasso di occupazione degli uomini è maggiore rispetto a quello delle donne (il 6,82% contro l’1,82%). La conseguenza maggiore? La pensione di invalidità resta la fonte di reddito principale (85%). Al momento non possiamo tirare le somme, ma nel prossimo anno si potrà capire se tale innovazione avrà gli effetti sperati.
SCUOLA. Altro tasto dolente per il Bel paese. In aprile, l’Istat ha pubblicato brevi dati in merito: con riferimento all’anno scolastico 2015-16, gli alunni con disabilità nella scuola primaria sono 88.281 (pari al 3% del totale degli alunni), mentre sono 67.690 nella scuola secondaria (4% del totale). “Nella scuola primaria si stima che l’8% degli alunni con disabilità non sia autonomo in nessuna delle seguenti attività: spostarsi, mangiare o andare in bagno” – si legge nella nota Istat -. “Nella scuola secondaria di primo grado tale quota è pari al 6%. La disabilità intellettiva, i disturbi dell’apprendimento e quelli dello sviluppo rappresentano i problemi più frequenti negli alunni con disabilità in entrambi gli ordini scolastici considerati. Gli insegnanti di sostegno rilevati dal MIUR sono più di 82 mila, 1 ogni 2 alunni con disabilità. Nelle regioni del Mezzogiorno si registra il maggior numero di ore medie di sostegno settimanali assegnate. Circa l’8% delle famiglie di alunni della scuola primaria e il 5% della secondaria ha presentato negli anni un ricorso per ottenere l’aumento delle ore di sostegno”. Statistiche, poi, che emergono a quarant’anni di distanza dall’approvazione della legge n. 157 del 1977, quando l’Italia concedeva anche gli alunni con disabilità di entrare nelle scuole di tutti. Urge un intervento sistematico e immediato.
POLITICA. Nel bene e nel male, tutto ha un comun denominatore: nel nostro caso, la politica. Per esempio, abbiamo avuto la legge “Dopo di noi”, l’assistenza in favore delle persone con disabilità grave prive del sostegno familiare. Per la prima volta, nella società si sono scoperte le preoccupazioni di tantissime famiglie che hanno una persona non autosufficiente e che si chiedono chi si prenderà cura del proprio caro quando non saranno più in grado di farlo loro. Se invece vediamo ai temi recenti, ecco spuntare l’approvazione del Disegno di Legge di Bilancio, non ben accolta dal settore. “Basta con un welfare assolutamente prestazionistico, standardizzato e meramente assistenzialistico, neppure adeguatamente supportato con questo Disegno di Legge. Vogliamo un welfare che guardi alla persona con disabilità, così come con altre fragilità e costruisca insieme alla stessa un percorso di inclusione vera e di giusti supporti per il miglioramento della sua qualità di vita in ottica assolutamente propulsiva, potenziando le esperienze di vita indipendente, di percorsi per il ‘Dopo di Noi’, di supporto ai sostegni formali; diversamente la spesa pubblica continuerà ad essere sterile”. Parole di Roberto Speziale, presidente nazionale dell’Anffas (Associazione Nazionale Famiglie di Persone con Disabilità Intellettiva e/o Razionale), a fronte dell’approvazione del Disegno di Legge AS 2960, riguardante la Legge di Bilancio 218 e il Bilancio Pluriennale per il triennio 2018-2020. Tra i vari punti criticati, vi è soprattutto quello dei caregiver, in cui si denuncia “l’assoluta mancanza di misure a sostegno dei caregiver familiari, proprio in un momento storico in cui nella Nazione e in Parlamento alta è l’attenzione sul tema”. Basti ricordare che, attualmente, non esiste una legge che regoli tale posizione lavorativa, e che non permette a circa 3 milioni e 300 mila persone (cifra che potrebbe essere superiore, visto l’inesistenza di un registro in merito) che si prendono cura del proprio familiare con disabilità di essere tutelate.
Nel film V per Vendetta, c’è una frase ricorrente in merito ai fatti descritti dalla pellicola: “Ricorda il 5 Novembre”. Noi vogliamo parafrasare: “Ricorda il 3 Dicembre”. Perché il cambiamento dell’inclusione delle persone con disabilità passa anche da qui.
Articolo di Angelo Andrea Vegliante