Non si placano le proteste in America e nel resto del mondo dopo l’insediamento alla Casa Bianca di Donald J. Trump, il neo presidente degli Stati Uniti, in una sola settimana al comando del paese a stelle e strisce, sembra aver spazzato via con un colpo di spugna l’operato di Obama degli ultimi anni: fanno discutere non poco le posizioni prese in merito ad ambiente ed immigrazione. Trump sta, paradossalmente, mantenendo ciò che aveva promesso in campagna elettorale e lo sta facendo persino in tempi piuttosto brevi. Infatti, ha diramato un ordine esecutivo con cui per tre mesi – di fatto – si congelano gli arrivi dei migranti da sette paesi a maggioranza islamica. Attualmente, nella black list sono presenti: Siria, Libia, Iran, Iraq, Somalia, Sudan e Yemen. Un brusco stop alle ondate migratorie in terra statunitense che ha preso in contropiede in moltissimi, il Nyt è sceso subito in campo sostenendo che il provvedimento è “illegale” perché viola la legge Usa che dal 1965 vieta qualsiasi discriminazione contro gli immigranti basata sull’origine nazionale.
Quando si parla di immigrazione e, quindi, di accoglienza, il dibattito è sempre acceso non solo negli Usa. In special modo ultimamente, dato che lo spauracchio del terrorismo di matrice islamica è sempre in agguato. L’equazione immigrato = terrorista sta in piedi grazie alla paura collettiva dopo i recenti accadimenti europei che hanno terrorizzato il mondo ed è per questo che, volendo trovare un capro espiatorio, lo straniero in sé per sé vien visto come qualcosa da cui fuggire. Se, però, l’America esprime la propria intransigenza in maniera netta, In Italia le cose (per fortuna) stanno diversamente: secondo i dati Istat relativi al bilancio demografico nazionale, alla data del 1° gennaio 2017, nel nostro Paese risultavano regolarmente residenti 5.026.153 cittadini stranieri, pari all’8,3% della popolazione residente totale (60.665.551 individui), praticamente invariati rispetto all’anno precedente (+0,23%, pari a 11.716 individui). Numeri incoraggianti che classificano lo Stivale come il quinto paese dell’Unione Europea per accoglienza immigrata, cioè di persone nate all’estero. Statistiche capaci di attestare un risultato, per alcuni un traguardo, per altri una pecca da fronteggiare. Infatti, in Italia molti esponenti politici dipingono la questione come una debacle. Il problema dell’immigrazione farebbe assorbire interamente le risorse del welfare, una sentenza scandita a gran voce da un pulpito elettorale tra un “aiutatiamoli a casa loro” e “prima gli italiani”. Tito Boeri, Presidente dell’Inps, precisa: “Il timore che i migranti possano assorbire tutte le risorse del welfare è una visione inesatta. Loro versano, ogni anno, otto miliardi alle casse del sistema di sicurezza sociale e ne prelevano sotto forma di pensioni e prestazioni sociali circa tre, con un saldo attivo di cinque miliardi di euro”.
Gli immigrati che lavorano in Italia sono come un dono per le casse disastrate del nostro Paese, secondo Boeri, che vale quasi un punto di Pil. Così come gli emigrati italiani contribuirono (e contribuiscono) con il loro lavoro al benessere dei paesi di insediamento, così gli immigrati in Italia contribuiscono al benessere economico e sociale nel nostro Paese, anche se non mancano certamente delle discriminazioni esplicite – o implicite – nei confronti dei lavoratori immigrati. Per questo, occorre sicuramente far qualcosa in più dal punto di vista del controllo per garantire la piena (o quantomeno massima) legalità, ma non consentire l’accoglienza e l’inserimento agli stranieri sarebbe un errore. Allora ecco “Revalue”: un nuovo progetto europeo per la promozione e la facilitazione dell’accesso ai lavori qualificati dei rifugiati, che prevede un mix di attività, dalla creazione di strumenti per la valutazione delle competenze, alla realizzazione di corsi di formazione professionali per sviluppare abilità chiave e trasversali in ambito linguistico e imprenditoriale.
Le organizzazioni coinvolte, Erifo e Programma Integra per quanto concerne l’Italia, stanno ultimando la realizzazione di un toolkit che valuterà le competenze dei rifugiati. Terminata la prima fase sperimentale, che coinvolgerà 50 rifugiati per ogni paese partecipante (oltre all’Italia vi prendono parte anche Francia, Ungheria, Regno Unito e Germania), il kit sarà messo a disposizione dei servizi di orientamento al lavoro rivolti a migranti e rifugiati. Sarà fatta una ricerca sui profili professionali dei rifugiati che arrivano nell’Unione Europea, si terrà un corso specifico per migliorare competenze linguistiche e capacità imprenditoriali di ognuno ed un ulteriore corso di formazione on the job. Il lavoro nobilita l’uomo, “Revalue” è una proposta innovativa per ricordarlo.
Articolo di Andrea Desideri