Come è noto oramai da qualche tempo, prima delle festività natalizie, all’inizio del mese di Dicembre, gli italiani saranno chiamati alle urne per esprimersi su eventuali modifiche alla Costituzione Italiana. Il Referendum Costituzionale – voluto dal Consiglio dei Ministri – metterà i cittadini di fronte ad una scelta semplice, ma affatto banale: sì o no. Una risposta secca ad una domanda ardita e complessa, attraverso cui, per certi versi, può cambiare la storia del nostro Paese in un senso o nell’altro. Modificare la Costituzione vuol dire mettere mano alle fondamenta legislative di uno Stato, fino a cambiarne gli aspetti più preponderanti. Siccome siamo una Repubblica e l’ultima parola spetta al popolo, prima di pronunciarsi alle urne, è bene informarsi per evitare fraintendimenti. Ecco perché, da alcuni mesi, si sono attivate le varie rappresentanze politiche – in favore del Sì o del No – tramite comitati e campagne elettorali, per diffondere ragioni e informazioni sul tema. Noi, come mezzo d’informazione, non vogliamo insistere su un versante piuttosto che un altro, bensì intendiamo fornire delucidazioni chiare e semplici (per quanto possibile) sulla questione. Così da restituire ai nostri lettori un quadro ben definito, al fine di scacciare ogni dubbio o perplessità sull’evento.
MODALITA’ DI VOTO. Domenica 4 Dicembre, dalle 7 alle 23, gli italiani possono andare a votare. Lo ha deciso il Consiglio dei Ministri il 26 settembre di quest’anno, in seguito la data è stata ratificata da un decreto presidenziale firmato dal capo dello Stato. Alle urne sono chiamati 51 milioni di italiani, di cui 3.5 milioni all’estero. I residenti esteri riceveranno il plico elettorale a casa, come avviene per ogni tornata elettorale. Nel caso di mancata ricezione, è possibile richiedere un duplicato all’ufficio consolare di riferimento. Inoltre, viene specificato che: “E’ un dovere del cittadino informare l’ufficio consolare su eventuali cambi di residenza”. Per gli elettori che, invece, si trovano fuori dall’Italia solo temporaneamente, è prevista la partecipazione al voto per corrispondenza. Entro l’8 Ottobre si dovrà inviare al comune d’iscrizione nelle liste elettorali, l’opzione su carta libera, allegata ad un documento d’identità, che deve contenere l’indirizzo postale estero a cui deve essere inviato il plico elettorale, l’indicazione consolare dell’ufficio competente per territorio e una dichiarazione che attesti il possesso dei requisiti al voto per corrispondenza (specificando di essere fuori per motivi di lavoro, studio o per cure mediche). Le persone con disabilità, poi, hanno la possibilità di votare in base alle loro esigenze ed autonomia: c’è il voto assistito, che prevede alcuni requisiti specifici. Il referendum è valido anche in caso di bassa affluenza alle urne? Sì, trattandosi di un referendum confermativo di una legge costituzionale con una maggioranza inferiore ai due terzi del Parlamento, il quorum di validità (50% più uno degli aventi diritto) è richiesto solo in caso di referendum abrogativo.
IL QUESITO. La riforma costituzionale è una proposta governativa, generata da un lungo iter parlamentare (4 letture conformi) che si è concluso il 15 Aprile 2016. Il titolo della legge – scritto a Palazzo Chigi – non è stato modificato dal Parlamento. E’ bene sottolinearlo, visto che si sono sollevate non poche polemiche, seguite da un ricorso al Tar presentato da alcune forze politiche (M5S e Sinistra Italiana), circa la faziosità con cui sarebbe stata posta la domanda sulle schede (riportiamo l’immagine): “Il quesito così formulato e semplificato è ingannevole e, dunque, strizza l’occhio alla campagna favorevole al Sì. Senza contare che viola l’articolo 16 della legge 352 del 1970 che stabilisce, solo per le leggi di revisione costituzionale, di elencare nel quesito pubblicato sulla scheda tutti gli articoli della carta oggetto di modifica”. Gli articoli della Costituzione che subiranno, in tal caso, un eventuale cambiamento sono 47. Il PD – promotore della riforma – sostiene che nessuno alla Camera e al Senato ha proposto di modificare il titolo nel disegno di legge Renzi-Boschi, da cui è scaturito il quesito referendario che poi è stato avallato dall’ufficio centrale per il referendum della Corte di Cassazione. Chi fa ricorso, invece, afferma che gli emendamenti per apporre modifiche nel titolo furono bocciati in toto dalla maggioranza. Gli organi competenti sono alla ricerca negli archivi per sbrogliare questa matassa burocratica, il Tar si esprimerà in merito all’annosa questione il 17 Ottobre. Nel caso in cui il ricorso venisse accolto, si voterebbe comunque il 4 Dicembre, dovranno però essere stampati sulle schede del referendum i 47 articoli soggetti a modifiche (oltre al titolo della legge).
ELEMENTI ESSENZIALI DELLA RIFORMA. I 47 articoli presi in esame vanno a toccare quattro punti specifici.
- Superamento del bicameralismo perfettamente paritario: cioè Camera e Senato non avrebbero più pari poteri. Infatti, solo la Camera potrebbe conferire o revocare la fiducia al Governo. Inoltre, diverrebbe protagonista dell’intero processo legislativo, salvo limitati casi in cui la funzione legislativa è bicamerale. Nell’iter legislativo, il Senato dovrà raccordare il legislatore statale con i legislatori regionali. I suoi compiti saranno: rappresentare le istituzioni territoriali e collegare lo Stato agli altri enti costitutivi della Repubblica, valutare le politiche pubbliche e le attività delle amministrazioni pubbliche, partecipare all’attuazione delle norme volute dall’Unione Europea sui territori e verificarne l’impatto, esprimere pareri sulle nomine di competenza del Governo. Il Senato sarà composto al massimo da 100 membri: 95 eletti con metodo proporzionale dai Consigli tra i propri membri e, uno per Regione, tra i sindaci (74 membri consiglieri regionali e 21 membri sindaci) nel rispetto delle scelte degli elettori; fino a 5 senatori potranno essere nominati dal Presidente della Repubblica per un mandato di sette anni non rinnovabile. La durata del mandato dei senatori coinciderà con quella dei Consigli Regionali dai quali sono stati eletti; ai senatori non spetterà alcuna indennità per l’esercizio del mandato ed hanno le stesse prerogative dei deputati. L’iter legislativo prevederà i seguenti passaggi: la Camera esamina e approva i disegni di legge e li trasmette al Senato che, se deciderà di esaminarli, potrà proporre modifiche al testo e allora la Camera dovrà decidere se accoglierle o no. Le proposte di modifica riferite a progetti di legge che legiferano in materie che non sono di competenza dello Stato, nell’esercizio della “clausola di supremazia”, se adottate dal Senato a maggioranza assoluta, saranno superabili dalla Camera solo a maggioranza assoluta. Il Senato dovrà obbligatoriamente esaminare i disegni di legge in materia di bilancio e quelli con cui è prevista la “clausola di supremazia”, ma i tempi del procedimento saranno ridotti.
Camera e Senato eserciterebbero la funzione legislativa paritaria con procedimento bicamerale solo in alcune materie come: leggi di revisione costituzionale e altre leggi costituzionali, attuazione della Costituzione in materia di tutela delle minoranze linguistiche e di referendum, sistema elettorale del Senato; ordinamento, funzioni e legislazione elettorale di comuni e città metropolitane, attribuzione alle Regioni di autonomia ulteriore rispetto a quella ordinaria. Verranno introdotti i seguenti criteri per avere tempi certi di approvazione delle leggi: specifici termini per le singole fasi di procedimento, anche per la conversione di decreti legge; se il Presidente della Repubblica chiede una nuova deliberazione alle Camere di un ddl di conversione di un decreto-legge, il termine per la conversione in legge è differito di ulteriori 30 giorni (60 + 30). Infine, il Governo potrà chiedere un “voto a data certa” per far votare, in massimo entro 70 giorni, disegni di legge essenziali per l’attuazione del suo programma.
- Revisione del reparto delle competenze tra Stato e Regioni: le competenze concorrenti tra Stato e Regioni verrebbero eliminate e lo Stato diverrebbe responsabile esclusivo di materie strategiche come: il coordinamento della finanza pubblica, le politiche attive del lavoro, le infrastrutture, le politiche energetiche e l’ambiente. La legge potrà intervenire in materie non attribuite dalla Costituzione alla competenza esclusiva dello Stato, su proposta del Governo, al fine di tutelare l’unità giuridica ed economica del Paese o l’interesse nazionale. Ci saranno, inoltre, ulteriori forme e condizioni di autonomia alle Regioni con legge bicamerale: non servirà la maggioranza assoluta per l’approvazione della legge, ma sarà sufficiente l’equilibrio di bilancio delle Regioni interessate. Verranno introdotti indicatori di costi e fabbisogni standard per promuovere condizioni di efficienza per le funzioni pubbliche dei Comuni, delle Città Metropolitane e delle Regioni; sarà prevista l’esclusione all’esercizio delle funzioni per gli amministratori regionali e locali in caso di accertato stato di dissesto degli enti territoriali e verrà stabilito un limite agli emolumenti – cioè i compensi occasionali aggiunti allo stipendio – dei titolari degli organi regionali, non superiori a quelli dei sindaci dei capoluoghi di Regione.
- Eliminazione delle Province e soppressione del CNEL: Il CNEL è il Consiglio Nazionale dell’Economia e del Lavoro, un organo di profilo costituzionale previsto dall’articolo 99 della Carta e introdotto ufficialmente con la legge numero 33 del 1957. E’, perciò, un apparato in vita da quasi 60 anni. Le sue materie di competenza sono temi legislativo-economici e sociali, mentre le sue funzioni prevedono l’espressione di pareri – non vincolanti – sulle questioni di competenza legislativa e la promozione di iniziative solo su richiesta dell’Esecutivo, della Camera o delle Regioni. Quindi, con questa riforma, si andrà verso la semplificazione del Paese eliminando le Province ed anche quest’organo consultivo.
- Riduzione dei costi: particolare rilevanza ai tagli della politica, il numero dei senatori passerà dagli attuali 315 a 100; il loro mandato sarà di natura gratuita, contrariamente a quanto avviene ora. Inoltre, gli emolumenti (che, come specificato precedentemente, sono i compensi occasionali aggiunti allo stipendio) dei consiglieri regionali verranno equiparati a quello del sindaco del comune capoluogo di regione. Verrà, poi, introdotto il divieto di rimborsi o altri trasferimenti monetari con oneri a carico della finanza pubblica per i gruppi politici presenti nei Consigli Regionali. Aumenterà il quorum per l’elezione del Capo dello Stato, che verrà eletto dal Parlamento in seduta comune a maggioranza dei due terzi. Dal quarto scrutinio è sufficiente la maggioranza dei tre quinti e dal settimo scrutinio quella dei tre quinti dei votanti. Gli istituti di Democrazia diretta subiranno qualche modifica: serviranno 150.000 firme per la presentazione di un progetto su iniziativa popolare; si introdurranno garanzie procedurali per assicurarne il successivo esame e l’effettiva decisione parlamentare; il quorum per la validità del referendum abrogativo sarà abbassato: se richiesto da almeno 800.000 firmatari, è fissato alla maggioranza dei votanti alle elezioni politiche precedenti; si procederà all’introduzione di un istituto del referendum propositivo e di indirizzo. La Corte Costituzionale potrà esaminare le leggi elettorali prima della promulgazione: è richiesto il ricorso di almeno un quarto dei componenti della Camera o di almeno un terzo dei componenti del Senato. Le quote rosa avranno maggiore spazio e potere nelle attività politiche: verrà rafforzato il principio della parità di accesso alle cariche elettive, le leggi elettorali delle Camere e degli enti locali dovranno promuovere l’equilibrio tra donne e uomini nella rappresentanza. La Camera potrà deliberare lo Stato di guerra solo a maggioranza assoluta, mentre, invece, il Parlamento provvederà all’elezione di 5 membri della Corte Costituzionale: 3 scelti dalla Camera e 2 dal Senato.
Il corpus della riforma costituzionale si snoda attraverso questi quattro passaggi che, una volta spiegati ed elencati, possiamo anche trovare integralmente sulla Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana – presente sul sito del Consiglio dei Ministri (www.governo.it) – dove è possibile leggere l’intero testo della riforma suddiviso in capitoli (41 pagine). La legge costituzionale, che dovrà essere approvata o respinta dal referendum, quindi, è sotto gli occhi di tutti e – come ogni testo che si rispetti – soggetta a diverse interpretazioni: positive e negative. L’ermeneutica di queste pagine la fanno i politici e i loro partiti che, data la vastità e l’importanza della questione, si sono suddivisi in due macro aree: il fronte del Sì e il fronte del No. Vale a dire, chi pensa che questa riforma sia un toccasana per la giurisprudenza del nostro Paese e chi, invece, ritiene che dovremmo ancora fare affidamento su quei principi scritti da Parri e Calamandrei non lasciando il passo a Renzi e Boschi. Per orientare i votanti ancora meglio su un parere specifico, i due fronti sbarcano sui profili: social e web, attraverso siti e pagine di riferimento, che ripropongono nelle piazze a colpi di hashtag (sarebbe quel cancelletto che vediamo ovunque prima di ogni parola in rete). #BastaunSì contro #IovotoNo, rispettivamente hanno formato comitati, aperto dibattiti e arruolato rappresentanti illustri, ognuno rivendicando le proprie ragioni che proviamo a riassumere così:
#BastaunSì. Questo comitato nazionale ritiene che il superamento del cosiddetto bicameralismo paritario servirà a ridurre il costo degli apparati politici, oltre a rendere l’attività del Parlamento più rapida ed efficace. “Se vincerà il Sì, finalmente le proposte di legge non dovranno più pendolare tra Camera e Senato, nella speranza che prima o poi si arrivi ad un testo condiviso fino alle virgole. Tranne che per alcune limitate materie, di norma la Camera approverà le leggi e il Senato avrà al massimo 40 giorni per discutere e proporre modifiche, su cui poi la Camera esprimerà la decisione finale. Più velocità non significa ‘più leggi’, ma risposte più tempestive da un Parlamento più credibile”. I rappresentanti pongono anche l’accento su una maggiore partecipazione dei cittadini all’attività politica: “La Democrazia non si riduce solo al momento del voto, ma è un insieme di strumenti nelle mani dei cittadini per esprimere idee, proposte e bisogni. Con la riforma, la Democrazia italiana diverrà autenticamente partecipativa: il Parlamento avrà l’obbligo di discutere e deliberare sui disegni di legge di iniziativa popolare proposti da 150mila elettori; saranno introdotti i referendum propositivi e d’indirizzo; si abbassa il quorum per la validità dei referendum abrogativi (se richiesti da ottocentomila elettori, non sarà più necessario il voto del 50 per cento degli aventi diritto, ma sarà sufficiente la metà più uno dei votanti alle precedenti elezioni politiche)”.
#IovotoNo. Questo comitato nazionale ritiene che la riforma non riduca i costi della politica, né migliori la qualità dell’iter legislativo, bensì tolga dalle mani del popolo la sovranità. Si sottraggono poteri ai cittadini, mortificando il Parlamento. Questa, secondo il comitato, è una legge oltraggio che, calpestando la volontà del corpo elettorale, instaura un regime politico fondato sul Governo del partito unico. La riforma conserva e rafforza il potere centrale a danno delle autonomie, private di mezzi finanziari. I rappresentanti si identificano nel motto: “Salvaguardare la Democrazia oggi, è garantire la propria libera voce domani!”.
Articolo di Andrea Desideri