L’alcol miete vittime quotidianamente, grava sulle casse dello Stato, distrugge relazioni, uccide e peggiora la salute di migliaia di persone. Ma gli interessi in ballo sono così forti da azzerare la percezione comune di questo fenomeno. Facciamo chiarezza sui tanti luoghi comuni legati al bere
Una questione culturale (nonché economica)
C’è un’usanza nata in Inghilterra e che sta facendo capolino anche da noi, chiamata “Dry January” (“Gennaio Asciutto”, in inglese), consiste nel passare il primo mese dell’anno senza toccare una goccia d’alcol: un’occasione per depurarsi, soprattutto dopo i bagordi delle feste di dicembre, a cui ho voluto aderire anch’io.
Durante questo periodo sono state diverse le occasioni conviviali in cui ho declinato l’invito a farmi riempire il bicchiere, ottenendo puntualmente da amici, conoscenti o parenti reazioni di disapprovazione: dalla presa in giro bonaria allo sfottò più piccato, dalla delusione al fastidio, dalle accuse di esagerare alle disquisizioni su quanto moralismo ci sarebbe su questo tema.
Appare evidente come quella dell’alcol sia, ancor prima che sanitaria, economica o sociale, una questione culturale. Siamo abituati a vedere persone consumare con disinvoltura alcolici in televisione, al cinema, nelle pubblicità, senza dimenticare l’alone di romanticismo attorno alla produzione del vino, un’eccellenza tutta italiana che genera introiti enormi anche a livello mondiale (gli ultimi studi ci parlano di oltre 2.300 imprese, 21,5 miliardi di euro di fatturato, 10 miliardi di esportazioni e più di 81mila occupati). E visto che nessuno ammazzerebbe la gallina dalle uova d’oro, disinformazione e credenze popolari giocano un ruolo fondamentale, facendo il gioco di chi guadagna dalla produzione e dalla vendita di alcolici.
Disinformazione, luoghi comuni e miti da sfatare
Ho voluto approfondire questo tema con un’autorità indiscussa, il professor Emanuele Scafato, gastroenterologo, epidemiologo, direttore dell’Osservatorio Nazionale Alcol dell’Istituto Superiore di Sanità, nonché del Centro dell’Organizzazione Mondiale della Sanità per la ricerca, la prevenzione e la formazione in materia di alcol e problematiche alcol-correlate. Con lui ho voluto fare chiarezza sui tanti luoghi comuni legati al consumo di alcol, scoprendo che i miti da sfatare sono davvero tanti.
Una droga legale (e letale)
Cominciamo con le definizioni. Il professor Scafato spiega: “L’alcol è una sostanza psicotropa che agisce direttamente sul cervello, classificata ovunque come droga in quanto dà dipendenza. Una droga socialmente più dannosa delle altre perché, essendo legale, si trova dappertutto, non ha limitazioni se non quella del divieto di vendita ai minorenni, anche se sappiamo benissimo che queste leggi sono disapplicate in Italia. È una sostanza che dà dipendenza, calorica (un bicchiere contiene 100 calorie) e cancerogena. È proprio di questi giorni un report che ci dice come i tumori stiano aumentando nella popolazione giovanile in funzione di una serie di problematiche legate allo stile di vita: fumo, carenza di attività fisica, cattiva nutrizione e naturalmente alcol.
In crescita è il ‘binge drinking’, ovvero il bere per ubriacarsi nel fine settimana, che porta nei pronto soccorso oltre 32mila persone l’anno, di cui circa il 10% ha meno di quattordici anni di età. 1,2 milioni di giovani sono a rischio. In Italia abbiamo 800mila consumatori dannosi, cioè già con un danno d’organo, che non vengono neanche curati perché nei SerD (Servizi per le Dipendenze) riusciamo ad accoglierne solo 65mila”.
Buon vino fa buon sangue?
Appreso di cosa stiamo parlando, cominciamo a snocciolare una serie di luoghi comuni legati al bere, a partire da quello secondo il quale un bicchiere di rosso a tavola farebbe bene al cuore: “No – risponde secco Scafato -. La Federazione Mondiale dei Cardiologi ha smentito questa diceria con un report internazionale che dice: il rischio parte dalla prima goccia. Qual è la quantità che fa bene al cuore? Nessuna”.
L’alcol aiuta a scaldarsi quanto fa freddo?
“Certo, però è un frutto della vasodilatazione. Ma se per esempio stiamo sciando e ci facciamo un bombardino, ci esponiamo al freddo perché vasodilatati e rischiamo un assideramento, tant’è che ormai i cani San Bernardo che prestano soccorso in montagna non hanno più la botticella sotto al collo perché rischiavano di far morire chi era già assiderato”.
Bere aiuta a dormire meglio?
“Ci aiuta forse ad addormentarci in fretta, ma dopo un’ora ci risvegliamo. Quello non è sonno fisiologico, ma l’effetto intossicante dell’alcol sul cervello, che induce una generale sensazione di sonnolenza”.
Bere per tirare su il morale. Alcol come antidepressivo?
Il direttore si fa serio: “Molto spesso la depressione e l’alcoldipendenza vengono confuse tra di loro. L’alcol può essere la causa o l’effetto della depressione. Bisogna fare molta attenzione perché attraverso il consumo di alcol come escamotage per sfuggire ai motivi che causano la depressione, si possono peggiorare le cose arrivando addirittura a intenzioni suicidarie. L’alcoldipendenza è classificata come malattia mentale, nonostante sia la patologia meno trattata al mondo. Alcol e salute mentale non vanno assolutamente d’accordo”.
Fragole e Champagne. Esiste una correlazione tra alcol e sesso?
“C’è una bellissima pubblicità svizzera che diceva che bere porta ad una notte in bianco, il che rende molto l’idea. L’alcol nell’uomo pregiudica la prestazione, agendo direttamente sul sistema sessuale, oltretutto ne pregiudica la fertilità. Inoltre una donna sotto l’effetto dell’alcol può andare incontro a situazioni di violenza a causa di un rapporto non consenziente”.
Al volante dopo aver bevuto
I dati raccolti dai Carabinieri nel 2021 parlano di 3.542 incidenti stradali con lesioni a persone per i quali almeno uno dei conducenti coinvolti era in stato di ebbrezza.
Esiste un margine di sicurezza al di sotto del quale si può guidare tranquillamente? Il professor Scafato spiega: ”È una convenzione, tant’è che le norme cambiano da nazione a nazione in funzione della loro cultura. Da noi è 0,5, prima 0,8, abbiamo introdotto l’alcol zero per i nuovi patentati, i minori di ventun anni e i guidatori professionisti.
L’alcol alla guida: no, non esiste. Il fatto che ci sia un’indicazione di 0,5 è un compromesso banale legato ad una legge che può essere modificata da un momento all’altro, come avviene in altre nazioni. In America ‘over zero under arrest’, cioè se ti metti alla guida dopo aver bevuto anche un goccio d’alcol vieni arrestato. Ed è giusto così perché anche in piccole quantità pregiudica l’idoneità psicofisica e quindi la capacità di controllo e la capacità di reazione”.
E se stiamo a stomaco pieno?
“Se devo sorseggiare un bicchiere durante un pasto, questo non solo può essere piacevole, ma dimezza l’alcolemia, nel senso che se bevo due bicchieri è come se ne avessi bevuto uno, quindi minore è l’alcol in circolo e minori sono i danni che fa. Il rischio è minore, ma non dimentichiamoci che c’è sempre”.
Una birretta non è la stessa cosa che una grappa
Inutile illudersi, non c’è differenza tra i vari tipi di bevande alcoliche e non c’è differenza tra uso e abuso: l’alcol è dannoso sempre.
Quando dobbiamo preoccuparci?
“Nel momento in cui una persona comincia a manifestare una ricerca spasmodica di alcol, si sottrae ai suoi amici e alle sue passioni e tende ad isolarsi, quello è il momento in cui ha chiaramente bisogno di aiuto. Se chiedessimo a questa persona di diminuire il consumo di alcolici e ci rispondesse ‘smetto quando voglio’, vorrebbe dire che siamo di fronte ad un’alcoldipendente”.
Bere con moderazione
Quello della moderazione è l’ennesimo falso mito: “Non esiste una quantità sicura di alcol – spiega Scafato -, basti pensare che una donna al suo secondo bicchiere di bevanda alcolica incrementa del 27% la possibilità di contrarre il cancro al seno. È giusto limitare, ma se si vuole davvero fare prevenzione, astenersi è la scelta migliore per la salute”.
Il fegato metabolizza 6 grammi di alcol all’ora. Questo significa che per smaltire un bicchiere di bevanda alcolica (non importa quale) ci vorrebbe un’ora e mezza-due ore, ma questa è in realtà un’indicazione approssimativa perché cambia a seconda della persona, della sua età, del suo peso, del sesso e di tante altre variabili. Per questo motivo nessun governo è in grado di raccomandare una quantità di alcol ideale, non è possibile raccomandare l’alcol, al massimo esistono delle linee guida per limitare i danni. Se proprio non si riesce a fare a meno di bere, l’indicazione più diffusa è quella di non superare un bicchiere al giorno“.
Qual è la linea che separa il bevitore occasionale dall’alcolista?
“La terminologia internazionale, oggi come oggi, non parla neanche di alcolismo, ma di disturbi da uso di alcol, uno spettro molto ampio in cui esistono dei limiti talmente sfumati che non è facile identificarli. Diciamo che al di sotto di due bicchieri di bevanda alcolica al giorno per l’uomo e uno per la donna parliamo di consumo a minor rischio. Superati questi limiti il rischio è maggiore, ma questo non vuol dire che al di sotto il rischio non ci sia. Questo vale soprattutto per le persone più vulnerabili: gli anziani, che perdono l’alcol deidrogenasi, così come i giovani adulti, che non dovrebbero mai consumare più di un bicchiere di bevanda alcolica al giorno; per gli adolescenti e in generale i minori il limite è zero perché non hanno l’alcol deidrogenasi e quindi tutto l’alcol che assumono li espone a rischi.
Poi esistono i gradi di consumo che espongono a problemi più gravi, danni agli organi o a livello psichiatrico: 40 grammi per la donna e 60 per l’uomo, che corrispondono a due-quattro bicchieri al giorno. In questi casi si può verificare un danno epatico o uno dei sei tipi di tumori causati dall’alcol. Superate queste quantità, il consumo dannoso è già sinonimo di alcol dipendenza, tanto è vero che secondo le classificazioni internazionali, chi ha un consumo dannoso è assimilato ad un alcol dipendente e va curato come tale, quindi anche se non ha una manifestazione evidente di alcol dipendenza, probabilmente la svilupperà”.
Cosa fa lo Stato
Se le istituzioni si impegnassero nella prevenzione quanto nella cura, l’impatto dell’abuso di alcol sarebbe drasticamente ridotto: “Il nostro è un Servizio Sanitario Nazionale iniquo perché non riesce a garantire una qualche forma di intervento verso chi si trova in necessità di trattamento. L’identificazione precoce dei consumatori andrebbe fatta, così da limitare anche gli effetti e i costi legati al consumo dell’alcol. Ogni anno l’Italia spende 25 miliardi di euro per i danni sociali e sanitari legati all’alcol; l’ultima manovra finanziaria è di 24 miliardi.
I governi di tutto il mondo dovrebbero impegnarsi di più, anche se in Italia il problema è maggiormente sentito perché ci sono forti pressioni soprattutto da parte dell’industria vitivinicola a contrastare quelle che sono le evidenze scientifiche”.
Che fare se si capisce di essere in difficoltà?
Il dovere di agire spetta a chi ha a cuore la persona che vive il problema. Chi ha una dipendenza, infatti, tende sempre a negarlo. Ne sa qualcosa il direttore dell’Osservatorio Nazionale Alcol: “È molto difficile che l’alcolista, così come il depresso, riesca a riconoscere di avere un problema e quindi a chiedere aiuto. Di solito sono i familiari o il partner a rivolgersi ai centri che si occupano di dipendenze. I centri trattano questo tipo di dipendenza in modo diverso dalle altre, qui non esiste una terapia sostitutiva come nel caso di altre droghe, ma si parla soprattutto di consulenza psicologica e valutazione multidisciplinare per vedere se ci sono patologie concomitanti. Poi si può parlare di psicoterapia, intervento motivazionale, gruppi di auto mutuo aiuto, eventualmente con l’ausilio di farmaci che possano favorire il blocco della compulsività, ovvero la ricerca ossessiva dell’alcol”.
Il primo passo per uscire dal tunnel può essere una telefonata al Telefono Verde Alcol: 800 632000.
(Manuel Tartaglia)
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