Le intelligenze artificiali possono davvero aiutarci a vivere meglio? Sicuramente sì, ma forse sarebbe bene non abusare, come suggerisce questa riflessione giunta in redazione
Qualche tempo fa ho ricevuto una serie di messaggi ricchi di parole affettuose e di elogi da parte di mio fratello. Usava termini che non gli avevo mai sentito pronunciare. In genere le nostre comunicazioni sono sempre per lo più ironiche o “di servizio”. Quindi, questa sviolinata di complimenti, mi è sembrata decisamente bizzarra. Dopo qualche giorno mi ha confessato di aver usato l’intelligenza artificiale per scrivere quei testi. Gli è bastato inserire qualche dettaglio caratteriale o fisico riguardante il ricevente e il gioco era fatto!
Inutile dire che mi sono sentita presa in giro! “E tu cosa scriveresti di tuo pugno, cosa ti detta il cuore?”. A distanza di mesi sto ancora aspettando una risposta.
Sono, ahimè, piuttosto refrattaria a argomenti troppo moderni, che hanno come contenuto la tecnologia (per me) avanzata. Faccio parte di una passata generazione, quella che ha studiato sulle care, vecchie e mastodontiche enciclopedie. Quelle che oggi, purtroppo spesso, la gente va a “buttare” nei book crossing perché ingombrano spazio e accumulano polvere sulle mensole della libreria del salone e quelle che, di tanto in tanto, mi viene lo schiribizzo di sfogliare quando vado a casa dei miei. Oltre alla classica, formata da più di venti volumi (più i vari aggiornamenti), Rizzoli Larousse, acquistata con non pochi sacrifici da mamma e papà quand’ero all’inizio delle superiori, ce n’è una molto più antica, ingiallita, consumata e rosicchiata dai topi e dal tempo: quella su cui oltre sessant’anni fa studiò mio padre. Ecco, quella per me ha un fascino particolare. Oltre che un odore che mi ricorda la soffitta di mio nonno.
Le nuove generazioni probabilmente non sanno nemmeno cosa siano perché i moderni mezzi di comunicazione ci offrono informazioni di vario tipo: scientifico, medico, culinario, sportivo e così via. Ormai lo smartphone riesce a soddisfare la nostra sete di sapere su tutti i fronti: lui è in grado di darci, mentre ce ne stiamo comodamente ovunque nel mondo, tutte le risposte! Inoltre il suo peso è molto più leggero di un volume da mille pagine con copertina in robusto cartone finemente rivestito.
A distanza di oltre trent’anni mi ritrovo a essere studentessa universitaria e a fare ricerche su Google e sui vari motori di ricerca, ben lontani da quei pesanti mattoni di carta. Durante una delle prime lezioni di psicologia della comunicazione è stato introdotto l’argomento “intelligenza artificiale” e sono stati dati interessanti cenni storici. Ebbene, fornendo più informazioni e dettagli possibili, l’intelligenza artificiale è in grado di rispondere correttamente a un gran numero di richieste: una figata pazzesca!
Qualche lezione dopo l’assistente universitario porta avanti il discorso e ci dice come l’utilizzo di questa tecnologia abbia cambiato il suo modo di lavorare: è in grado reperire informazioni senza chiedere aiuto ai colleghi, evitando così di perdere tempo e di disturbare; ci comunica inoltre che, molto presto, le intelligenze artificiali saranno in grado di riconoscere le emozioni dalle espressioni facciali: piega degli occhi, bocca, sopracciglia… Insomma, un vero e proprio specchio dell’anima.
Durante la lezione comincio a pensare che negli ultimi anni, dalla pandemia in poi, di modi per socializzare ce ne sono stati dati molto pochi, così interrompo l’assistente e dico: “Ma perché non posso disturbare i colleghi per avere informazioni? Disturbo veramente o creo un’occasione per comunicare, per avere uno scambio oltre che di informazioni, di emozioni, intellettuale e via discorrendo?”.
Resto perplessa io stessa da questa mia interruzione. Trent’anni fa non avrei sicuramente preso parola per contraddire un assistente universitario. Rimango, ancora una volta, senza risposte. E se prima di lavorare sull’intelligenza artificiale facessimo qualcosa per quella naturale? E se prima di andare a buttare quelle pesanti e vecchie enciclopedie ci venisse la curiosità di dargli un’ultima sfogliata, anche solo per annusare l’odore di carta e di tipografia?
(Tiziana Rinaldi)