Emozioni, prima di tutto. Le recenti Olimpiadi di Rio de Janeiro – terminate alla fine di agosto -, hanno confermato l’ennesimo appuntamento ricco di gioie e delusioni. Tra i tanti protagonisti emersi per le loro doti sportive, in questa trentunesima edizione dei Giochi hanno trovato spazio storie eccezionali (nel bene e nel male) di alcune portabandiere, che nella notte del Maracanà hanno sfilato in rappresentanza del proprio paese.
L’ARCO DI TRIONFO – Zahra Nemati, 31 anni, era una promessa iraniana del taekwondo. Il terremoto del 26 dicembre 2003 che colpì Bam (città dell’Iran in cui si era trasferita) spense in pochi attimi ogni sogno di gloria. Rimasta coinvolta nel cataclisma, gli fu diagnosticata una frattura alla spina dorsale: ora si trova su una carrozzina. Se per alcuni però un evento di tale portata può significare la fine della propria vita, per Zahra si è trattato di un nuovo guanto di sfida, che nel corso del tempo l’ha portata a vincere, sotto diversi punti di vista. Dopo 10 anni dalla scoperta della disciplina sportiva del tiro con l’arco, celebrata con la conquista dell’oro nell’individuale a Londra 2012, l’atleta iraniana è arrivata non solo a partecipare alle Paralimipiadi brasiliane, ma anche a gareggiare con i normodotati nelle Olimpiadi, piazzandosi in 33esima posizione.
I RIFUGIATI – Prendendo in prestito il nome (tradotto) della squadra di calcio raccontata in un libro di Warren St. John, a Rio, per la prima volta nelle storie delle Olimpiadi, è scesa in campo una squadra composta unicamente da rifugiati. La siriana Ysra Mardini, 18 anni, è stata la prima portabandiera di questa delegazione (bandiera di tela bianca con sopra i caratteristici cinque anelli delle manifestazioni). Lei, nuotatrice, è divenuta famosa un anno fa per aver salvato dalla tempesta delle acque del Mar Egeo altre persone che, come lei, cercavano riparo dalle mostruosità della guerra. Insieme alla sorella, altra nuotatrice, ha salvato quelle vite, come riportato da Sportweek: “Ci siamo tuffate in acqua per far riprendere galleggiabilità al nostro gommone: oltre a noi due c’erano altri tre nuotatori. Il problema era aiutare altre venti persone: in Siria ho insegnato a nuotare a tanta gente, non avrei potuto accettare di vedere annegare qualcuno. Siamo rimasti tre ore aggrappati alle corde fino a quando abbiamo toccato l’isola di Lesbo. Quel giorno ho odiato il mare”. In Brasile ha portato in alto la bandiera dei rifugiati, la cui realtà evoca un argomento attualissimo: prima di ogni differenza geopolitica, siamo tutti esseri umani.
L’ORCO DEL PASSATO – La maratoneta Érika Olivera ha 40 anni, a Rio ha partecipato alla sua quinta Olimpiade, quest’anno da portabandiera del Cile. Recentemente, alla rivista Sàbado, ha rotto un tabù tanto delicato quanto imponente, raccontando la sua infanzia piena di ombre e maltrattamenti: l’atleta, infatti, ha svelato di aver subito violenze sessuali dal patrigno, un pastore evangelico, per oltre 12 anni. “Avevo 5 anni quando lui abusò di me per la prima volta – racconta -. Ha iniziato mostrandomi la cosa come un gioco, con carezze, non mi rendevo conto di quello che stava succedendo”. A 18 anni, però, Érika trovò la forza ed il coraggio di dare una svolta alla sua vita: “Tentò di picchiarmi, opposi resistenza e gli dissi che non mi avrebbe fatto più del male. Fu l’ultima volta”. Sulla vicenda però vige la mannaia della prescrizione: “Non posso fare giustizia con le mie mani e neanche in tribunale. L’unica cosa che posso fare è raccontare la verità”.
INSIEME – Fino a questo punto, le storie riportate partono da un passato tormentato. È giusto però chiudere con un sorriso ed il pensiero rivolto all’amore. Non sono state portabandiere, ma il loro caso va adeguatamente menzionato. Alle Olimpiadi di Rio de Janeiro ha partecipato la prima coppia omosessuale legalmente riconosciuta. Helen Richardson e Kate Walsh si conoscono da vent’anni, si frequentano dai tempi dei Giochi di Pechino e sono sposate dal 2013. Entrambe britanniche, praticano la disciplina dell’hockey su erba. Sotto gli occhi di chi, ancora oggi, si sta facendo domande sulla loro naturalità. Sotto gli occhi di chi, ancora oggi, si ferma soltanto all’etichetta della bottiglia, e non guarda il suo contenuto. Sotto gli occhi di chi, ancora oggi, non riesce ad aprire la mente.
Articolo di Angelo Andrea Vegliante