Il Parlamento Europeo aumenta i giorni retribuiti per gli uomini che vogliano assentarsi dal lavoro per accudire i propri bambini. E il desiderio di far figli cala
Per congedo di paternità s’intende l’astensione dal lavoro del padre lavoratore per tutta o per parte della durata del congedo di maternità. Per favorire una cultura di condivisione dei compiti di cura dei figli nella coppia, nel 2012 la riforma Fornero previde che i lavoratori padri avessero diritto a richiedere quattro giorni consecutivi di assenza dal lavoro senza decurtazione dello stipendio, giorni che la Legge di Stabilità nel 2018 ha esteso a cinque. Finora solo il 40% dei neopadri ha usufruito del congedo, principalmente perché esso avrebbe comportato una decurtazione dello stipendio.
Il 4 aprile scorso il Parlamento Europeo ha adottato una direttiva sull’equilibrio tra famiglia e lavoro, che ha introdotto un’importante novità per i neogenitori, stabilendo prescrizioni minime per il congedo di paternità, il congedo parentale e il congedo per i prestatori di assistenza. La direttiva stabilisce anche nuove modalità di lavoro flessibili per i genitori lavoratori o prestatori di assistenza.
La norma, portata avanti più dalle donne che dai diretti interessati uomini, stabilisce che entro tre anni gli stati membri dell’Unione dovranno portare il congedo di paternità ad almeno dieci giorni e retribuirlo come quello per malattia.
Quali potrebbero essere gli effetti sociali, culturali, economici e demografici dell’estensione del periodo di congedo di paternità nel nostro paese? Per rispondere a questa domanda potremmo osservare gli effetti che l’allungamento del congedo di paternità ha avuto in Spagna, dove un paio d’anni fa il diritto all’astensione del lavoro per i neopadri è stato esteso da due a cinque settimane. Ad occuparsi dell’impatto sulla società di questa legge, in vigore dal 2007, sono state le due economiste del comportamento e della personalità Lídia Farré e Libertad González. La ricerca delle due economiste ha rilevato che, da quando in Spagna esiste il congedo di paternità, le probabilità che gli uomini che ne hanno usufruito desiderino altri figli sono inferiori tra il 7 e il 15% rispetto agli uomini che non sono mai andati in paternità. In pratica, dover sacrificare la carriera e condividere con la madre l’impegnativo lavoro di cura e di accudimento della prole ha fatto sì che gli uomini spagnoli desiderino avere figli meno di quanto lo desiderassero prima.
Se da una parte non è detto che sia stata solo la maggiore fruizione del congedo di paternità a determinare un più refrattario atteggiamento dei padri spagnoli riguardo la pianificazione familiare, essendo intervenuti nel decennio di osservazione altri importanti cambiamenti sociali, è da riportare anche quale sia stata la risposta delle madri al maggiore ruolo del proprio compagno nell’accudimento dei figli. La ricerca di González e Farré ha rilevato una tendenza diametralmente opposta nelle mamme: per loro, evidentemente incoraggiate da una divisione più equa del lavoro a casa, è aumentato il desiderio di fare più figli.
Mentre la direttiva europea ha come obiettivo quello di una migliore conciliazione di vita professionale e vita privata, sia per le donne che per gli ancora recalcitranti uomini, il rapporto della Commissione Federale Svizzera pubblicato lo scorso anno aveva già sottolineato come un maggiore coinvolgimento della figura paterna nella crescita del bambino abbia anche vantaggi economici, in quanto in grado di aumentare tanto la forza lavoro disponibile quanto le entrate fiscali, migliorando il benessere della società. C’è da augurarsi e pretendere che, non solo per questo motivo, aumentino le iniziative a favore della parità di genere, ad oggi ancora lontana.
Articolo di Irene Tartaglia