Se c’è una cosa eterogenea e paritaria, quella è proprio la musica. Può sembrare strano o banale perché è stato ripetuto fino allo sfinimento, ma non esiste musica di serie A e musica di serie B; esistono suoni che colpiscono e testi che emozionano. Ogni qualvolta accade questo, vuol dire che siamo di fronte ad un’opera d’arte. Dove non arriva la tecnica, possono le emozioni. Spesso il mondo è stato cambiato sulla scia di tre accordi messi lì, attraverso un arpeggio sbagliato, che poi si è rivelato necessario. Opportuno. Non ci sono regole, la musica possono farla tutti.
Infatti, sull’onda di questo assunto, oggi chiunque è in vetrina. Talent show, casting e concorsi permettono ad ogni persona di avere una chance. Un’occasione. Certo, il business e i cambiamenti dell’economia, col tempo, hanno fatto sì che ci fosse sempre qualcuno pronto a puntare il dito e a dire “per me è no, non sei pronto”, oppure “sì, hai qualcosa di nuovo da offrire”, come se fossimo in un grande mercato dove le etichette e le sovrastrutture contano più di ogni altro valore. Non scordiamoci, però, che la musica – proprio per la sua vastità e immediatezza – può essere veicolo di ideali e canale di nuove culture. C’era un tempo in cui con la musica si abbattevano le barriere del pregiudizio e si cambiava il pensiero collettivo, almeno questo era l’intento, un mondo migliore ed aperto a nuove frontiere. Questo era l’auspicio che le note rappresentavano su un pentagramma.
Avete mai visto una partitura di Mozart? Agli occhi di un profano, di qualcuno che ascolta la musica semplicemente per diletto, sembra un foglio con una serie di scarabocchi quasi fosse la ricetta del medico curante. Eppure quell’architettura di note e composizioni ha rivoluzionato il modo di concepire un concerto, un’esibizione. Il pathos dell’artista, che si evince anche nella scrittura del pentagramma, comunica pienamente quanto quei segni avessero un’intensità intrinseca. Quasi come se qualcuno dall’alto (chi ci crede pensa fosse Dio) avesse messo nelle mani di un sol uomo il potere di cambiare le cose. Mozart rinnova il genere musicale del concerto: il discorso musicale si svolge come dialogo paritario fra due soggetti di uguale importanza, il solista e l’orchestra. Ecco che torna il concetto di parità: mettere due cose sullo stesso piano. In musica, come nella società. Pari diritti per tutti.
Questo mantra è andato avanti, si è evoluto col passare delle stagioni, col modificarsi dei tempi. Probabilmente ancora oggi, nonostante stiamo assistendo ad una mistificazione musicale, c’è chi ritiene che quest’arte possa svegliare le coscienze dal torpore collettivo che, necessariamente, attraversa ogni era. Viviamo tutti sugli influssi di Woodstock, che era stato ideato come un festival di provincia (e come “An Aquarian Exposition”, il nome, dal tono modesto, con cui era pubblicizzato), ma accolse inaspettatamente più di 400mila giovani (secondo fonti non certe, addirittura un milione di persone); trentadue musicisti e gruppi, fra i più noti di allora, si alternarono sul palco con il fine ultimo di diffondere la cultura hippie (che predicava l’uguaglianza e la giustizia sociale, a dispetto di ogni distinzione razziale) attraverso Three Days of Peace & Rock Music.
Nel corso della storia, la ghettizzazione socio culturale non ha mai smesso d’esistere ed anche quando sembra di vivere in un paese tollerante, aperto a tutti, ecco che la diversità può diventare un capro espiatorio ideale. Prendersela con chi viene da fuori, ha un altro colore in viso, o semplicemente è distante da noi e dalle nostre consuetudini è un modo più semplice ed immediato per sfogare frustrazione nei momenti di crisi: siano essi di matrice economica o politica. Proprio per questo, ci troviamo ad assistere ad assurde campagne mediatiche che dispongono l’allontanamento dello straniero come soluzione primaria. Tutto ciò genera odio, che porta ad altro odio, così passa il tempo. Finchè qualcuno non prova a ribellarsi, e chi può farlo se non i musicisti con i loro motivetti che ti entrano in testa tanto da riempire stadi o palazzetti? Così finisce che Tommaso Zanello (meglio conosciuto come Piotta) diventa il principale oppositore di Salvini. Dove non arriva la politica, arriva un dissing. Lo seguono in molti: da Fedez ad Alessandro Aleotti (J-Ax) e gran parte della scena Hip Hop italiana.
Pensieri messi in musica e non solo, concetti molto cari e descritti magistralmente nel libro di Syd Shelton “Rock Against Racism” uscito il primo ottobre. In quest’opera si racconta come a Londra, nel 1977, la recessione aveva gravato sugli standard di vita della classe operaia, durante il governo Callaghan. “Ogni volta che succede, c’è sempre un improvviso incremento di adesioni al National Front, il partito inglese di estrema destra per eccellenza”. Syd sentiva il profondo bisogno di ostacolare questo processo, e la sua vita è cambiata da quando ha avuto modo di conoscere uno dei fondatori della campagna Rock Against Racism (Rar), Red Saunders. Di lì a poco è diventato fotografo e designer ufficiale dell’iniziativa, e le sue foto venivano pubblicate nella rivista/zine Temporary Hoarding. Il prossimo mese a Londra inaugurerà la mostra dei suoi lavori a Rivington Place (fonte: Noisey).
L’intrecciarsi di diverse culture che, nel tempo, lottano per ottenere qualcosa – in barba alle istituzioni – usando metodi non violenti e servendosi esclusivamente del potere persuasivo e aggregante del suono è la dimostrazione che non tutto è perduto: quando la musica che stai ascoltando non ti rispecchia più, la cambi. Cerchi nuovi stimoli, nuovi generi. L’importante è non restare mai in silenzio. Su un palco, in camera, nella vita.