Il ruolo dell’assistente sociale all’interno di una casa di cura è noto alla letteratura di settore ma molto complesso. Tale complessità è propria della relazione d’aiuto che si instaura tra assistente sociale e utente ricoverato in una casa di cura per malati psichiatrici. Ciò perchè l’assistente sociale in tale struttura deve riuscire ad influire in senso evolutivo sulle condizioni di vita dei degenti ricoverati interconnettendo tra di loro i differenti fattori, come quelli personali, familiari, economici, sanitari eccetera, che possono influenzare l’utente stesso. Inoltre, in forza delle patologie da cui è affetto l’utente, l’operatore deve essere sempre pronto a rimodulare continuamente la linea d’intervento in base ai feedback che provengono dall’utente.
La necessità di tener vigile l’attenzione in un contesto mutevole diventa, quindi, prerogativa imprescindibile nell’assistente sociale inserito in una struttura. Tale strategia, tuttavia, può generare nello stesso operatore dilemmi etici-deontologici e incertezze decisionali. Tali dilemmi etici-deontologici sono ancor più accentuati in strutture socio-sanitarie ove sono presenti differenti figure professionali o dove la carenza di personale o di assistenza è aggravata da eccessivo carico lavorativo. Inoltre, rispetto la definizione deontologica del ruolo e delle funzioni dell’assistente sociale in un struttura socio sanitaria in rapporto alle altre professioni del settore psichiatrico è interessante citare il volume di Paolo Piva La Fatica del Lavoro Sociale. In tale volume l’autore afferma che la mancanza di una sufficiente chiarezza tra i diversi ruoli professionali può essere particolarmente rischiosa in quanto può portare l’operatore a sovrapposizioni e/o conflitti di competenza. Tuttavia, come è ormai noto, gli assistenti sociali ricoprono un ruolo fondamentale in queste strutture in quanto la salute mentale rimane uno dei primi settori in cui il sociale è stato presente.
Quando gli interventi psichiatrici erano incentrati esclusivamente sulla dimensione sanitaria e farmacologica il servizio sociale portò la sua forte presenza all’interno delle politiche sociali rivolgendo l’attenzione non solo verso ciò che accadeva all’interno della struttura ma anche accompagnando l’utente fuori le mura della stessa struttura. Tuttavia, ancor oggi, in molte case di cura la terapia farmacologica assume un ruolo centrale. Tale chiave di lettura finisce per costruire intorno al ruolo dell’assistente sociale un’identità professionale debole. Ad aggravare tale situazione vissuta da molti servizi sociali che operano nelle case di cura è la “strumentalizzazione” che tale servizio subisce da parte delle differenti istituzioni, che tendono a scaricare sulle spalle delle strutture socio sanitarie le loro carenze organizzative, quali fondi inadeguatamente stanziati, impossibilità di incidere su politiche sociali ad hoc eccetera.
Inoltre, in molte case di cura, un’altra implicazione deontologica che l’assistete sociale deve affrontare è l’assenza o l’indisponibilità di mezzi d’intervento operativamente efficaci e adatti a legittimare il ruolo e le funzioni del sociale. Nonostante i differenti dilemmi etici e deontologici vissuti dagli assistenti sociali bisogna ricordare che il servizio sociale ha tracciato e continua a tracciare nelle strutture socio sanitarie un assetto metodologico e teorico che si trasmette nella prassi esperienziale operativa dei servizi.
Ilaria Maugliani