L’argomento è delicato, ciononostante i più famosi talk show italiani hanno dedicato enorme spazio alla vicenda, non senza leggerezza. Molti i politici, gli esperti, gli esponenti di diverse culture intervenuti in queste giornate per commentare gli attacchi terroristici degli ultimi giorni a Parigi.
A mente fredda, è possibile analizzare la gradualità con la quale in Italia il tema è stato affrontato. Tra i vari quotidiani, i diversi talk show e le molte impressioni suscitate dai personaggi dello spettacolo attraverso Facebook e Twitter, l’impatto è stato per lo più generalista. Si è assistito alla nascita di giudizi e attacchi passivi-comunicativi rivolti all’intero Islam, all’intera cultura mussulmana ed araba, ponendo in secondo piano i reali colpevoli, ovvero i terroristi. Addirittura, testate giornalistiche hanno titolato le prime pagine indicando come colpevole l’intera comunità islamica. Nei giorni successivi, invece, questo tono è andato sempre più scemando, è stata circoscritta la responsabilità degli atti ed è addirittura spuntato un hashtag lanciato da molti musulmani su Twitter: #NotInMyName, una presa di distanza dagli atti terribili di Parigi e un invito a non fare di tutta l’erba un fascio.
Indicare come colpevole l’Islam intero, senza andare a fare distinzioni interne, che sono profondamente radicate, ramificate e differenziate, rischia di rafforzare il razzismo. Non dobbiamo dimenticare che oggi chi minaccia “gli infedeli” non è l’Islam, ma organizzazioni terroristiche più o meno note, come per esempio l’Isis, che interpretano in modo radicale e violento le sacre scritture del Corano. Lo stesso, d’altronde, avviene con la Bibbia, che si presta a interpretazioni più o meno letterali a seconda di chi la sta leggendo. Ecco, nel mondo islamico, tra le diverse interpretazioni del Corano vi è anche quella jihadista, che fa della guerra e del terrorismo le sue armi. Definire tutto il mondo islamico colpevole di quanto sta accadendo, dunque, rischia di far cadere in un razzismo non tanto differente da quello che vede gli italiani come tutti mafiosi.
Perché sottolineare questo? Per diversi motivi: divulgare opinioni superficiali di condanna culturale, sociale e razziale nei confronti di un popolo, senza ricordare che i nemici sono una parte di esso (vedi, in questo caso, Isis e Al Quaeda), non fa che aggiungere problemi a problemi. Fanno una certa impressione, in questo senso, autorevoli testate e famosi giornalisti che commentano i fatti di Parigi con titoli lapidari quali come “Questo è l’Islam” .
Esistono, d’altro canto, altre realtà. Come quelle delle persone che hanno partecipato ai #NotInMyName, come Mehdi che, ai microfoni della BBC, ha definito gli attivisti di Isis come “persone pazze, che non rappresentano la comunità musulmana“. Non bisogna generalizzare, non serve alla libertà di pensiero, di cultura e di religione.
Il razzismo è una malattia sociale piuttosto diffusa nel mondo. Secondo uno sondaggio del World Values Survey, sottoposto ad 81 Paesi nel pianeta ai quali si è posta la domanda “volete avere per vicini persone di un’altra razza?“, si nota come questo fenomeno sia concentrato in India, Bangladesh, Giordania e Hong Kong, dove le risposte negative corrispondono rispettivamente al 43,5%, al 71,7%, al 51,4% e al 71,8%. Le due Americhe si attestano invece a livelli più bassi, tra il 5% e il 20 %. In Europa, è la Francia a risultare la più razzista, con il 22,7%, seguita da paesi come Germania, Spagna, Belgio e Bielorussia. L’Italia si attesta al 14,9%, mentre la Gran Bretagna è proclamato il paese più tollerante d’Europa. Sorpresa infine in Asia, in particolare il Pakistan, dove il razzismo si attesta al 6,5%, valore inferiore a molti paesi europei.
Il razzismo esiste. E il terrorismo non fa che innalzare, in molte vittime, muri fatti di stereotipi e pregiudizi. La commentatrice politica della Cnn Sally Kohn su Twitter scrive così: “Se spara un mussulmano: l’intera religione dell’Islam è colpevole”; “Se spara un nero: tutta la razza dei neri è colpevole”; “Se spara un bianco: è un lupo solitario mentalmente instabile“, tipico esempio in cui i media non aiutano a sedare gli animi.
Una civiltà che si definisce tale combatte il terrore con la cultura, la conoscenza, l’integrazione, il rispetto. Il razzismo lasciamolo a chi sa fare della violenza l’unica arma.