Leonardo Tonini, la penna dietro A metà del vivere, la raccolta di poesie edita dalla casa editrice SP – Scrivere Poesia, ci racconta del suo rapporto con questa forma d’arte e di questo suo libro pubblicato ad aprile 2023
In attesa di ascoltarlo ai microfoni della rubrica Tra le Righe di Radio FinestrAperta, gli abbiamo chiesto di parlarci della sua poesia e delle ragioni che lo hanno spinto verso la decisione di condividere i ricavi della vendita della sua opera con l’Anfass.
Come è iniziato il Suo rapporto con la poesia?
“Non si inizia un rapporto con l’arte se non molto presto, all’asilo per esempio. Solo che a quel tempo non la chiamiamo arte, prima la musica, i disegni e solo dopo le parole. All’inizio sono forme di espressione e per qualcuno rimangono forme di espressione per tutta la vita. Diventa arte quando si comincia a riflettere sul mezzo espressivo. Molti sedicenti poeti non arrivano mai a questa seconda fase”.
Cosa significa scrivere poesie per Lei?
“Non lo so, credo che per un artista non sia possibile farne a meno. Il pittore non può fare a meno di dipingere, il musicista di suonare. E questo avviene ogni giorno; si possono saltare dei giorni, ma significa essere in sofferenza”.
La Sua raccolta pubblicata si intitola A metà del vivere, ci può parlare di questo titolo?
“A metà del vivere è il titolo di una poesia di Hölderlin, un poeta tra i più grandi. Morì pazzo dopo aver vissuto trent’anni in una torre. Nonostante la malattia mentale, schizofrenia probabilmente, non smise mai di scrivere poesie di una bellezza straordinaria”.
Quali sono i temi centrali della Sua poesia? Perché ha sentito la necessità di parlarne?
“Lavoro su diversi tavoli, seguo filoni diversi che si creano negli anni. Ho iniziato la serie di A metà del vivere nel 2014, quasi dieci anni fa. Una parte delle poesie contenute nel libro era uscita in Svizzera, a Lugano, grazie a Mauro Valsangiacomo della Chiara Fonte“.
Come definirebbe il Suo stile poetico?
“È stato definito ‘realismo etico’ da Giuseppe Cerbino, mi piace come definizione”.
A quale Onlus ha deciso di devolvere una parte dei ricavi di questo libro?
“Si è deciso insieme a Pietro Fratta di devolvere ad Anffas. Con loro avevo un debito, involontario ma sempre un debito. Molti anni fa scrivevo per La Gazzetta di Mantova, avevo intervistato dei ragazzi che facevano un dopo scuola organizzato da Anffas, che come sappiamo si occupa di persone con disabilità intellettive e dei loro familiari. Avevo promesso loro che l’intervista sarebbe andata sul giornale e anche le foto, perché così mi era stato detto dalla redazione. Il giorno dopo ci fu un cambio di programma e uscì l’intervista a una parlamentare del Movimento Sociale Italiano solo perché era in visita in città. Questo è stato un modo per ripagare quei ragazzi di una promessa non mantenuta”.
Cos’è per Lei il progresso in relazione con la natura e la vita umana?
“Il progresso è puramente tecnologico, la tecnologia è l’unica cosa che è continuamente progredita dalle piramidi a noi. Sul progresso del diritto si discute, altri progressi vengono oggi messi in discussione. Siamo più progrediti noi occidentali che inquiniamo e distruggiamo le risorse naturali o l’indio nella foresta amazzonica che vive in sintonia con la natura? La vita umana è invece un percorso individuale tra la nascita e la morte, ognuno cerca di tirare avanti come può. Pensare che ci sia un modello da seguire significa creare una gerarchia tra chi più si avvicina al modello e chi più si allontana. E da qui ai campi di concentramento il passo è breve”.
Sta già lavorando ad altre poesie?
“La poesia è un continuo dialogo con se stessi. Ogni tanto ci si siede al tavolo e si scrive”.
Ci può parlare del Suo metodo creativo, come ha l’ispirazione, come le vengono in mente le poesie?
“La storia dietro alle poesie di A metà del vivere è semplice. Stavo attraversando un brutto periodo, come ne succedono a tutti gli esseri umani, per distrarmi ho fatto un viaggio in bicicletta per le zone della Bassa Bresciana e nel mentre mi è capitata una cosa curiosa. Ho visto il paesaggio che andavo attraversando come frutto del lavoro e dei desideri della gente che lo abitava, dal Medioevo a oggi. E mi sono chiesto: che cosa ha veramente voluto chi ha trasformato il territorio padano in quello che vediamo oggi? E soprattutto: che cosa vogliamo oggi? I miei genitori, i genitori di chi ha la mia età, cercavano di dare una casa a ogni figlio, di lasciare una eredità, un campo, una azienda, anche una istruzione. Questa è stata una grande spinta che ha dato un significato alle vite dei nostri genitori; oggi però abbiamo il drammatico problema di non avere figli. Quindi quando sento dire: che mondo lasceremo ai nostri figli? Io mi domando: quali figli? Il problema di oggi è molto più grave di quello che si vuole intendere. Nelle mie poesie cerco una luce nel fitto buio”.
Ci sono degli autori, degli artisti che hanno influenzato il suo processo creativo, il suo stile?
“Leggo poeti e leggo riflessioni sulla poesia, come quelle di Benedetto Croce. Oggi si ritiene inutile leggere critica letteraria, ma è un errore perché la critica rende visibile il lavoro che il poeta giustamente nasconde. Una poesia anche quando appare semplice e chiara è frutto di un duro lavoro. Pensiamo a Saba o a Penna, è una semplicità, la loro, conquistata a caro prezzo. Saba si rifaceva ai petrarchisti del Millecinquecento, Penna prende in considerazione la poesia araba e persiana. Senza questo lavoro la poesia può al massimo essere come il tormentone estivo, una poesia di consumo. E il consumo appunto non prevede il futuro. Ed è appunto il futuro ciò che oggi fa più paura”.
Come mai ha deciso di pubblicare con SP – Scrivere Poesia?
“È l’editore che decide cosa pubblicare, bisognerebbe rivolgere la domanda a lui. Con Pietro non siamo sempre sulla stessa linea d’onda, ma è una persona intelligente e generosa, con cui si può parlare francamente. È animato da un grande amore per la poesia e dalla visione che il bene prima o poi ripaghi la fatica. Due forze invincibili”.
(Elisa Marino)