Avrebbero dovuto chiudere i battenti quasi un anno fa ma “ospitano” ancora 164 persone. Questi, dati alla mano, sono gli ultimi numeri legati agli Opg, gli ospedali psichiatrici giudiziari, una categoria di strutture rientranti tra le “case di reclusione”, che hanno sollevato parecchie polemiche sulle modalità di trattamento e sui diritti dei pazienti, e che a metà degli anni Settanta sostituirono i vecchi manicomi. Il 31 Marzo 2015 avrebbe dovuto sancirne la fine definitiva, senza più rinvii ed eccezioni, ma quattro strutture ancora “resistono”, come ha certificato la IV Relazione del Governo sul superamento degli Ospedali Psichiatrici Giudiziari, presentata al Parlamento.
I quattro Opg ancora aperti sono quelli di Reggio Emilia (19 persone all’interno), Montelupo Fiorentino (48 persone), Aversa (41) e Barcellona Pozzo di Gotto (40). È stata una data significativamente confortante ma allo stesso tempo preoccupante per i detenuti-pazienti italiani che vedevano all’orizzonte una nuova fase che, per quanto fatta di cure, sembrava tempestata di incognite e vaghe soluzioni. In base alla legge, per i reclusi si sarebbero aperte due strade: i dimissibili avrebbero dovuto cominciare un percorso di reintegrazione a cura dei dipartimenti di salute mentale di residenza; gli altri, i non dimissibili, ossia quelli considerati pericolosi per sé e per gli altri, invece, sarebbero dovuti andare in carico alle Rems (residenze per l’esecuzione della misura di sicurezza), strutture molto più piccole, da non più di venti letti, in capo alle singole Regioni ed espressamente terapeutiche, con personale solo sanitario.
Le Rems quindi, erano state individuate come soluzioni, e forse avrebbero potuto esserlo se solo ce ne fossero state a sufficienza. Il dato preoccupante, infatti, è che le regioni realmente pronte si contano sulle dita di una mano ed è questo che compromette la possibilità di superare i “vecchi” Opg non garantendo ai pazienti la possibilità di godere di misure terapeutiche valide e funzionali. Il Friuli, (che è un esempio virtuoso) non ha attivato Rems nuove ma ha utilizzato le strutture esistenti; la Lombardia ha trasformato l’Opg di Castiglione dello Stiviere in una Rems; altre regioni come la Liguria e il Piemonte, invece, ci hanno “messo una pezza” mandando a Castiglione i loro pazienti; altre Regioni hanno attivato delle strutture provvisorie che potessero traghettare i pazienti dalla chiusura degli obsoleti istituti all’apertura delle Rems vere e proprie. Una fase di transito che non si sa per quanto ancora si protrarrà. Questi alcuni esempi che danno l’aspro sapore del classico e proverbiale “basta che funzioni”, anche se in realtà nulla è mai andato come doveva in termini di tempi e misure cautelative a favore dei pazienti, i soli a farne le spese.
Dopo quasi un anno di contraddizioni, proroghe, minacce di commissariamento ministeriale, battaglie civili, denunce, interventi di intellettuali, associazioni e artisti, dopo anni in cui gli internati hanno continuato a morire, a soffrire, a perdere la loro dignità di cittadini e di esseri umani sorge spontanea una domanda: in attesa di un assestamento definitivo cosa faranno i pazienti? La norma prevede che alcuni finiscano la pena detentiva in carcere, che altri siano rilasciati e che altri ancora vadano appunto nelle Rems, almeno dove ci sono, ma tutto questo non sarà certo un processo immediato visti i lenti sviluppi e gli scarsi risultati stimati ad un anno dall’entrata in vigore della legge.
La psichiatria è un ramo della medicina che si occupa dello studio sperimentale, della prevenzione, della cura e della riabilitazione dei disturbi mentali e l’obiettivo resta quello di ristabilire le condizioni di equilibrio e di benessere psichico del paziente al di là della terapia farmacologica. Nei casi più impegnativi è necessaria la collaborazione del paziente stesso e della famiglia per l’adesione alla terapia e per rispettare i controlli clinici e di laboratorio programmati. Prima della riforma dell’organizzazione dei servizi psichiatrici legata alla Legge 180/1978, i manicomi erano spesso connotati anche come luoghi di contenimento sociale, e dove l’intervento terapeutico e riabilitativo scontava frequentemente le limitazioni di un’impostazione clinica che si apriva poco ai contributi della psichiatria sociale, delle forme di supporto territoriale, delle potenzialità delle strutture intermedie, e della diffusione della psicoterapia nei servizi pubblici. La Legge 180 è la prima e unica legge quadro che impose la chiusura dei manicomi e regolamentò il trattamento sanitario obbligatorio, istituendo i servizi di igiene mentale pubblici. Ciò ha fatto dell’Italia il primo (e al 2016, finora l’unico) paese al mondo ad abolire gli ospedali psichiatrici, almeno sulla carta.
La psichiatria in Italia, quindi, al pari delle altre realtà europee di rilievo, si pone l’obiettivo di essere strumento di controllo sociale, come conferma il presidente della UILDM LAZIO onlus Marcello Tomassetti: “Il movimento culturale intorno alla psichiatria come strumento di controllo sociale è stato tanto importante perché negli anni Sessanta, con la rivoluzione culturale in Europa e negli Stati Uniti, con questo nuovo modo di approcciarci all’essenza dell’uomo, ha fatto sì da comprendere che la metodologia psichiatrica come era stata applicata fino a quel momento ed il paradigma con cui la psichiatria classica ha approcciato il disturbo compulsivo comportamentale in realtà non funzionava, o funzionava ma come strumento di controllo sociale. Gli anni Sessanta-Settanta sono stati la riaffermazione di alcuni principi: della libertà, dell’autodeterminazione dei soggetti, dei popoli. Conseguentemente il movimento di opinione intorno alla psichiatria, condensatosi poi in movimento anti-psichiatrico è stato molto forte non tanto in Italia, quanto negli Stati Uniti e in Inghilterra perché in queste nazioni la psichiatria ha subito una radicale trasformazione tramite le ricerche sul campo e l’aumento delle conoscenze psicologiche adeguatamente ai disturbi del comportamento. Pertanto, mentre in Italia abbiamo avuto una situazione in cui la psichiatria è stata sempre impermeabile alle ricerche della psicologia clinica, negli altri paesi, particolarmente quelli anglosassoni, questa permeabilità è stata invece molto forte e quindi il cambiamento è stato sicuramente più facile”. Ed è questo il punto dal quale ripartire, ancora una volta, per garantire il cambiamento ed il profondo rinnovamento tanto sperato, così da non incappare in tristi rassegnazioni indotte da un malcostume sanitario ed un imbarazzante immobilismo, che non hanno mai avuto ragione d’esistere.
E lo so che adesso io sarei pazzo per voi solo perché non sto tranquillo come un fottutissimo e immobile vegetale, ma non ha il minimo senso secondo me. Se questo vuol dire essere pazzo, beh, allora io sono un rimbambito, toccato. Sì, tutto quello che volete!” (dal film Qualcuno Volò sul Nido del Cuculo, 1975).
La diversità, benché intesa come differenziazione comportamentale e diversa percezione della realtà circostante, non può essere considerata un limite, ma una prospettiva differente di un mondo pigro e remissivo che accolla comodamente etichette anche quando classificare non è affatto necessario.
Articolo di Fedele Tullo