“La carica dei 104” (il numero ricorda la legge che tutela i diritti delle persone con disabilità). Una rubrica che, mensilmente, intende fornire ritratti di personalità che non si sono abbattute e, superando ogni avversità, hanno raggiunto il successo in ogni campo: arte, cultura, sport, spettacolo. Speriamo che questa raccolta di storie sia di buon auspicio per tanti, giovani e adulti, che non riescono ancora a trovare la forza di emanciparsi. Andrea Desideri, che curerà questo spazio, racconta Oney Tapia (campione paralimpico e vincitore di “Ballando con le stelle” 2017).
Un tempo si aspettava il sabato sera per andare a ballare, oggi – complice la crisi economica e l’auditel – si attende il sabato sera per veder ballare gli altri. Infatti, se i nostri genitori sono cresciuti guardando “Grease” e “Saturday Night Fever” sperando di replicare quei passi sulla pista da ballo con gli amici, noi passiamo le giornate e i week end a guardare personaggi (più o meno famosi) che si dimenano in tivù, credendo di ballare, per poi innescare discussioni da bar e non lasciare spazio al divertimento. O meglio, attualmente, ciò che diverte è proprio stare seduti a guardare persone conosciute che fanno un valzer o un jive, aspettando solamente che parta la discussione animata “messa ai voti” da presunti giudici che, quasi sempre, non sono competenti in materia. Siamo passati da “Cantando sotto la pioggia” a “Ballando con le stelle”, da “Amici miei” ad “Amici” della De Filippi. Progressi e disavventure della tivù generalista che, di volta in volta, animano le serate di molti (troppi) ciondolanti sul divano ad aspettare il colpo di scena piuttosto che il colpo d’anca.
Quindi, siamo tutti esperti di ballo – da casa – che, però, non hanno più il tempo e la voglia di mettersi in gioco e, allora, preferiscono giocare col talento (presunto) degli altri. Perciò non stupisce sapere che, tra Mediaset e Rai, da anni, si gioca il derby del sabato sera a colpi di share sulla pista da ballo che, all’occorrenza, si trasforma in palcoscenico. Non desta clamore neppure la consapevolezza che gli ascolti non li fanno tanto i balletti proposti, infatti sia dalla Carlucci che dalla De Filippi coreografi e preparatori potrebbero anche non esistere, quanto il teatrino successivo. Per questo nessuno (o quasi) si ricorda chi ha vinto una determinata edizione, ma chiunque sa benissimo cosa è successo al personaggio x o y durante una puntata. Si veda il caso Morgan: nato come cantante e artista che ha rivoluzionato la scena electro-pop degli anni Novanta con i Bluvertigo, ma probabilmente verrà ricordato come lo “Scillipoti” del tubo catodico. Colui che sbugiardò la De Filippi in diretta televisiva, attaccando pubblicamente un certo tipo di televisione, per poi andare dalla sua principale competitor – Milly Carlucci – per rifarsi una credibilità. Dinnanzi a tutto ciò, verrebbe da pensare che l’unico talento dei talent è frantumare la dignità umana attingendo agli istinti più bassi in circolazione. Tanto diversi nella forma, così uguali nella sostanza.
Se, però, ci si sforza di andare oltre, concentrandosi solo ed esclusivamente sulle performance artistiche, si potrà notare come – in alcuni casi – il talent serale abbia portato alla ribalta personaggi con disabilità sconosciuti ai più. Giusy Versace, dopo aver partecipato e vinto nel 2014 “Ballando con le stelle”, ha avuto un percorso mediatico in continua ascesa arrivando a condurre persino “La domenica sportiva” al fianco di Alessandro Antinelli l’anno seguente. Programma di sport per una sportiva paralimpica di successo che, però, nonostante medaglie e podi, il massimo consenso di pubblico l’ha avuto quando ha perso la protesi durante un ballo in Rai. Malgrado tutto, ha concluso l’esibizione sotto gli applausi scroscianti del suo coach – Raimondo Todaro – e della giuria visibilmente commossa. Lei, inoltre, da donna scaltra qual è, ha subito smorzato l’atmosfera con una battuta: “Mamma, finalmente ho potuto ballare sui tacchi”. Allora, la televisione passa dall’essere media ad essere mezzo di diffusione, per far conoscere a tutti una carriera fatta di successi e sacrifici che altrimenti cadrebbe nell’oblio. Stessa sorte è toccata ad Oney Tapia che, prima di quest’anno, molti pensavano distribuisse lettini part time al Kursaal di Ostia – data l’imponente fisicità – invece, grazie a Milly Carlucci, abbiamo scoperto essere atletico e atleta, la sua avventura paralimpica colma di successi e la sua scioltezza nel ballo. Occhio che non vede, uomo che stupisce, a partire dalle sue parole: “Dedico la mia vittoria a tutti i ragazzi con disabilità, che possa essere d’esempio per molti”, una frase detta spontaneamente dopo aver conquistato il contest di Raiuno. Sicuramente meno importante rispetto all’argento di Rio 2016, ma fondamentale perché ha permesso a tutti di far conoscere uno sportivo che altrimenti sarebbe rimasto nella nicchia degli appassionati. Tapia è il degno rappresentante di qualcosa che è ancora possibile ritrovare: la bellezza in tivù, merce rara. Ed è per questo che, sotto certi aspetti, essere cieco non è un male. Soprattutto quando ci vedi col cuore.
Articolo di Andrea Desideri