Freak Art. Le opere di Klimt che non piacevano
Chi vede nell’opera di Gustav Klimt l’esaltazione dell’estetismo al massimo grado, l’apoteosi del decorativismo e la sfrenata ricerca del preziosismo dei materiali, non ha torto, ma tralascia di considerare l’aspetto più profondo e oscuro della sua poetica. Le scene progettate per la decorazione dell’aula Magna dell’Università di Vienna sulla Filosofia, la Medicina e la Giurisprudenza, commissionate nel 1987 e mai posizionate in loco, lasciano trasparire il lato oscuro dello spirito che si cela dietro allo sfarzo e alla leggerezza della Belle Époque.
L’obiettivo dell’Università era quello di esaltare la conoscenza nel luogo stesso del suo consolidarsi: il sapere che porta alla felicità e al benessere, secondo il più genuino e fiducioso pensiero positivista. La certezza nelle potenzialità conoscitive dell’essere umano, amplificate attraverso le nuove scienze e la tecnica, aveva contribuito a dissipare quelle oscure nubi di incertezza sul futuro che avevano da sempre offuscato gli animi. Quando Klimt presentò i suoi bozzetti per le allegorie, la reazione degli accademici fu violentissima. La versione definitiva della Filosofia venne presentata in occasione della Esposizione mondiale di Parigi del 1899 e divise l’opinione pubblica: se da una parte alcuni la ritenevano degna di una medaglia d’oro, dall’altra la commissione esaminatrice dell’Università viennese ne rimase profondamente scandalizzata, rifiutando di confermare l’incarico al pittore. August Lederer e Koloman Moser, mecenati ed estimatori di Klimt, acquistarono i bozzetti e grazie a loro venne raccolta una preziosa documentazione fotografica sulle opere, che saranno distrutte durante la Seconda Guerra Mondiale, in occasione dell’incendio del castello di Immerdorf nel 1945.
La ragione di tanto sdegno era insita nelle immagini stesse: il pittore presentava scene e situazioni che mettevano in crisi quella fiducia nella scienza e nella conoscenza umana, presentando una umanità smarrita e ignara delle forze che governano il proprio destino. Era forse una prefigurazione della futura tragedia del primo conflitto mondiale, che infuocò l’Europa dal 1914 al 1918 e che lasciò profonde cicatrici nei corpi e negli animi.
La Filosofia (1899-1907), che Platone considerava come unica degna risorsa per un governo virtuoso dello Stato, viene rappresentata da Klimt come sagoma appena illuminata da una fievole luce nel turbinio di corpi che vengono trascinati senza che abbiano alcun controllo sul proprio destino: non è la ragione, ma l’istinto e il fato a governare le sorti dell’umanità. “A sinistra il gruppo di figure: la nascita, la fecondità, la morte. A destra la sfera terrestre come enigma dell’universo. Sotto, emergente, una figura illuminata: la conoscenza” (G. Klimt).
Per l’allegoria della Medicina (1900-1907), una scienza che stava facendo passi da gigante proprio negli ultimi decenni del XIX secolo, Klimt raffigura Igea, dea greca della Salute, mentre volge le spalle indifferente all’umanità, che si contorce nel dolore fisico e nella sofferenza spirituale. La sfiducia di Klimt verso la medicina è suffragata dalla convinzione della sua impotenza nei confronti delle forze inesorabili del destino. Il pensiero che alimenta le immagini è di stampo irrazionalistico, in netto contrasto col positivismo imperante, ma che preannuncia una sensibilità decadente: se da un lato si affermava il trionfo della scienza, dall’altro l’artista prefigura la vittoria delle tenebre sopra ogni cosa. Per questa opera Klimt viene accusato di “pornografia”, a causa dei dettagli sessuali espliciti, e di “esasperata perversione”, nel rappresentare le sofferenze umane che arrivano a deformare orribilmente i corpi.
A chiudere il cerchio, l’allegoria della Giurisprudenza (1903-1907) non lascia ben sperare nemmeno per quanto riguarda un razionale ordinamento della vita comunitaria: le leggi non sono create per un razionale ordinamento sociale e al fine di garantire le libertà, ma per incasellare gli esseri umani in strutture rigide e oppressive. Solo la forza generatrice, incarnata nella sessualità femminile, è capace di liberare l’uomo dagli inganni delle imposizioni sociali. Questa forza è intrinseca in ogni creatura femminile, per natura. L’involontarietà di tale prerogativa e l’impossibilità che questa sia estesa al mondo maschile, fa della libertà non più un diritto fondamentale, ma un dono elargito in maniera ineguale dalla natura. Così anche le sorti collettive, come quelle individuali, sono dominate dall’incertezza del fato: la Giurisprudenza non ha più ragione di esistere, poiché non esiste la possibilità di intervenire sul destino.
La sfiducia dell’uomo moderno nelle proprie capacità, l’incertezza nei confronti della validità della conoscenza, dell’infallibilità della scienza e della possibilità di vivere in una società organizzata, gettarono una terribile ombra su quei principi positivi che provenivano direttamente dal pensiero illuminista. Adesso appare chiaro come il fermo rifiuto della commissione viennese non riguardasse questioni estetiche o tecniche, piuttosto si cercava di resistere alla deriva irrazionalistica che stava dilagando negli anni a cavallo dei due secoli. Il pensiero di Schopenhauer, di Nietzsche e di Freud era foriero di nuove e insperate inquietudini, che caratterizzeranno gli anni precedenti alla rottura definitiva delle illusioni rappresentata dalla guerra.
Al Museo di Roma, Palazzo Braschi, si tiene la mostra Klimt. La Secessione e l’Italia (fino al 27/03/2022). A partire dall’unica immagine a colori pervenuta dalla documentazione fotografica (la figura di Igea, nell’allegoria della Medicina) attraverso alcune tecniche all’avanguardia (apprendimento automatico e intelligenza artificiale) messe a punto da un gruppo di ricercatori per il progetto digitale su Gustav Klimt di Google Arts & Culture, vengono presentati per la prima volta al pubblico i bozzetti interamente ricolorati delle tre allegorie per l’Aula Magna dell’Università di Vienna. Sicuramente un’occasione da non perdere.
(Manuela Marsili)