Quando parliamo di disabilità, automaticamente pensiamo all’accessibilità e a quanto sia importante la mobilità. Cioè riuscire a muoversi autonomamente, nonostante la patologia, superando e abbattendo ogni ostacolo. E’ vero, esistono diverse forme di disabilità ed ognuna merita un’attenzione specifica. Mobilità vuol dire autonomia, in ogni senso. Vivere autonomamente significa che il lasso di tempo tra il pensare e l’agire per compiere un’azione, un movimento, deve essere minimo. L’immediatezza della realizzazione dei propri intenti resta il principio cardine per una vita migliore, anzi per una vita normale. Per questo, anno dopo anno, si moltiplicano le iniziative, aumentano i progetti per promuovere la ricerca scientifica. Sul territorio, però, cosa si fa? Nella quotidianità di tutti i giorni, un disabile, cioè persona che vive su due ruote, come si muove? Gli ostacoli sono molti, in ogni città sono presenti barriere architettoniche (dallo scalino di troppo, alla strada impervia), in che modo possono essere eliminate? Sicuramente la solidarietà fa molto: una mano tesa per superare quell’ostacolo inaspettato può risolvere più di molti propositi, comunque, però, bisogna tendere alla massima autonomia e libertà di movimento. Ognuno deve potersi muovere nella propria città senza troppi problemi.
Con questa convinzione, l’Associazione Luca Coscioni (che da sempre si occupa di abbattimento barriere) ha messo a punto un’app chiamata “No Barriere”. Questa applicazione disponibile su Android, tra non molto, sarà attiva anche su dispositivi Ios, permette di segnalare la presenza di barriere architettoniche nelle città attraverso uno smartphone. Basta fare una foto, aprendo l’app, segnalare la via dove si trova l’impedimento e ogni segnalazione arriverà immediatamente al comune di residenza che (si spera) provvederà quanto prima ad eliminare l’intralcio. Abbiamo incontrato Rocco Berardo e Vittorio Ceradini, entrambi membri di giunta dell’Associazione Luca Coscioni che, dopo averci fatto provare l’app, hanno rilasciato un’intervista ai nostri microfoni per parlare di questa novità tecnologica:
- Come nasce il progetto dell’applicazione “No Barriere”?
“L’applicazione ‘No Barriere’ è stata pensata perché l’Associazione Luca Coscioni riceveva tantissime richieste di aiuto dalle persone con disabilità che si trovavano di fronte a barriere architettoniche intollerabili nei loro comuni. Per questo, quando abbiamo visto che il numero di richieste e di spiegazioni sulla materia delle barriere architettoniche, sui diritti delle persone con disabilità, sulle richieste che si potevano fare al comune era elevatissimo, abbiamo pensato di catalogare le barriere all’interno di una mappa per vedere anche come si evolveva la storia di quella barriera architettonica e poi, man mano, abbiamo dato degli strumenti in più a tutti coloro che hanno inserito la fotografia di questa barriera dandogli la possibilità di condividerla sui social network e al tempo stesso avere dei contatti a cui recapitare segnalazioni: una mail diretta all’amministratore, che si genera attraverso quest’app e che può essere spedita direttamente dall’utente che la utilizza”.
- Abbiamo partecipato alla prova pratica dell’app, oltre alla segnalazione di eventuali barriere, avete pensato ad un numero di assistenza come ulteriore aiuto?
“Esistono casi limite in cui è possibile un intervento immediato, possiamo avere modo di dare informazioni generali, qualora venissimo contattati, proprio a chi non sa a chi rivolgersi. C’è un numero da parte nostra che risponde ad un’eventuale chiamata d’emergenza, ma ovviamente non possiamo far altro che limitarci ad informare. Anche la questione non è risolvere soltanto l’emergenza, ma evitare alla base ogni impedimento. Di solito preveniamo ogni situazione, andando a scovare sempre strade alternative”.
- Quest’app com’è stata finanziata?
“Quest’app è un costo in divenire, non abbiamo un costo preciso che è stato totalmente coperto, perché come avrete visto ci sono degli aggiornamenti da fare costantemente. Un anno fa già c’era quest’applicazione e non aveva gli stessi strumenti, quindi, l’aggiornamento ha un costo ulteriore. Siamo riusciti a coinvolgere l’Assimpredil (Associazione dell’Impresa edile di Milano, Lodi, Monza e Brianza), che è un’organizzazione di imprenditori lombardi che ha voluto devolvere una parte della cifra che ci ha consentito un ulteriore sviluppo dell’applicazione su Android, una parte – quella iniziale, di sviluppo sul Web, tra ideazione e creazione – è stata totalmente donata dalla società Redevol (è un partner di Google in Italia) che ha dato il via all’iniziativa. Poi, ovviamente, altri sviluppi ci sono stati grazie alle donazioni delle persone che hanno voluto devolvere i loro contributi all’associazione, indirizzandoli specificatamente per l’iniziativa sulle barriere architettoniche”.
- Creare un’applicazione per persone disabili attraverso persone che non vivono la disabilità giorno dopo giorno, quanto incide sul risultato finale e l’efficacia del prodotto?
“In realtà l’applicazione è stata provata inizialmente dalle persone con disabilità, è stata immaginata e concepita proprio per fare il minor numero di step possibili, perché a volte non c’è solo una disabilità motoria – cioè dover andare in carrozzina – ma anche una difficoltà nell’utilizzo degli smartphone e, quindi, abbiamo tentato di concepire l’applicazione nel modo più automatico possibile: ad esempio, con la geolocalizzazione, non devi inserire tu il nome della via ma è automaticamente lo smartphone che dà l’opportunità di essere localizzato attraverso il GPS. Ti indica che la posizione in cui sei riguarda quella via specifica e quel numero civico allo stesso tempo. I passaggi sono molto semplici, abbiamo tentato di semplificare al massimo tutti i passaggi, ovviamente c’è ancora da lavorare perché la fase di sviluppo è in divenire. Il livello di volontariato è più ampio rispetto al livello di investimento, attraverso il coinvolgimento c’è l’obiettivo di attirare più attenzione possibile – a livello di contributo – per sviluppare ancora meglio quest’app”.
- Secondo voi, perché c’è difficoltà ad investire sull’accessibilità per l’handicap e bisogna ricorrere al contributo volontario?
“Si può dire qual è l’ idea generale: tutto è molto simile ai programmi dei partiti politici in Italia. Ogni partito – sotto elezioni – ribadisce che investirà sull’abbattimento delle barriere architettoniche. Eppure, nonostante tutti gli aspiranti sindaci lo dicano, il problema delle barriere non solo persiste ma aumenta negli anni. Quindi, si arriva alla questione dell’investimento: non si investe sull’accessibilità perché è un problema invisibile e trascurato, per questo irrisolto. Non si sviluppa perché non ci si interroga abbastanza dentro le amministrazioni. Manca la pianificazione: se dobbiamo sistemare una piaga che ha milioni di risvolti, bisogna stabilire delle priorità. I comuni dovrebbero fare questa pianificazione, cosa che dovrebbero fare da trent’anni perché c’è una legge specifica sui piani per l’eliminazione delle barriere architettoniche (PEBA). Bisogna investire in conoscenza e scelte politiche su come e dove iniziare il debellamento. Pochissimi a livello comunale hanno fatto una pianificazione, circa 60mila sindaci – negli ultimi trent’anni – negli otto comuni d’Italia non hanno fatto nulla. Invece, tutti avevano promesso di fare. Quindi, c’è un problema strutturale nella politica italiana. Dobbiamo rendere pubblica la problematica, in modo da sollecitare i disabili stessi a mobilitarsi. Non attendere troppo che qualcuno si mobiliti dai vertici, ma spingere la politica ad agire attraverso la sollecitazione delle associazioni”.
Articolo di Andrea Desideri