Godersi una buona pizza, una tenera fetta di carne o un pesce saporito, facendo sempre attenzione ai propri diritti di consumatore che, il più delle volte, sono poco noti, soprattutto ai diretti interessati. Ne è un esempio la Legge Regionale 21/2006 (Disciplina dello svolgimento delle attività di somministrazione di alimenti e bevande) che vieta l’applicazione del prezzo del pane e coperto da parte di qualsiasi ristoratore. “Da un punto di vista generale – spiega a FinestrAperta.it il Dott. Marinelli, Presidente Nazionale e Presidente Lazio dell’AECI (Associazione Europea Consumatori Indipendenti) –, l’ordinamento giudiziario stabilisce una trasparenza dei prezzi: il coperto non deve essere applicato all’interno del territorio della Regione Lazio. In particolare, l’articolo 16 (Pubblicità dei prezzi) recita che nel caso di somministrazione di alimenti e bevande in formula a prezzo fisso è vietata l’applicazione di costi aggiuntivi per il servizio, il coperto, le bevande e quant’altro non sia compreso nell’offerta al pubblico ed appositamente pubblicizzato nell’offerta medesima”.
Per chiarezza d’informazione, bisogna prima di tutto capire la definizione di prezzo fisso: “C’è differenza tra menù turistici e meno. I primi devono includere il servizio all’interno del menù: quindi, in un determinato prezzo (mettiamo caso, 15 euro) deve essere compreso servizio, coperto e tutto quanto. La differenza è su un menù alla carta, dove il servizio può essere non separato, mentre il coperto non deve essere inserito”. Nessun dubbio per il coperto: qualora venisse riscontrato, si è di fronte ad un “illecito, in quanto non deve essere applicato alcun costo”.
Nel corso degli anni, l’AECI ha ricevuto diverse segnalazioni in merito alla non applicazione della legge da parte dei gestori dei ristoranti: “I consumatori si sentono un po’ presi in giro, diciamo truffati. Evidentemente i ristoratori pensano che il coperto sia un vero e proprio costo: ci sono stati casi in cui venivano applicati valori molto elevati per il coperto, quest’ultimo non ben segnalato all’interno di un menù. Ovviamente, ci sono anche i ristoranti che si sono messi in linea con la norma vigente, magari ritoccando i prezzi delle bevande e delle pietanze che vengono vendute in percentuale”. Di fronte a queste inadempienze, c’è da chiedersi come si possa reagire: “Chiamate i vigili urbani, perché l’ordinamento giudiziario prevede una sanzione amministrativa. In particolare, l’articolo 20 disciplina il pagamento di una somma dai 154 a 1.032 euro, come abbiamo scritto in un nostro articolo. Inoltre, se il ristorante viene trovato a reiterare questo comportamento, potrebbe rischiare una chiusura provvisoria di qualche giorno. Il problema sta nell’applicazione di queste sanzioni. È il Comune che ha questo compito, ma qui subentrano tutte le problematiche relative alle segnalazioni”.
Il rischio più grande viene corso dalle persone con disabilità visiva, alla mercé di una mala diffusione dei menù in Braille. “Probabilmente – continua Marinelli – i ristoranti che applicano questo tipo di servizio sono delle mosche bianche, onestamente non mi è mai capitato di vederne uno. Presumo che debba esser fatta richiesta espressa o non esistono: protenderei più per la seconda, possiamo ipotizzare che la percentuale di assenza di questi documenti è del 99,9. Dovremmo fare un processo di sensibilizzazione da due punti di vista: primo, informare la parte che deve normare una mancanza del genere (parliamo della Regione Lazio o dei ministeri che dovrebbero obbligare alla pubblicazione di un menù in Braille); secondo, rendere pratica una situazione del genere. Credo che molti ristoranti potrebbero già farlo autonomamente, se aiutati da associazioni che sono in grado di scrivere materiali di questo tipo. Certamente, la mancanza più grave è quella della legge”.
In rappresentanza dei ristoratori, è stata contattata la FIPE (Federazione Italiana Pubblici Esercizi), la quale però non ha risposto al nostro invito.
Articolo di Angelo Andrea Vegliante