Una giornata a Milano, su due ruote, in carrozzina. In giro fra arte, cultura e divertimento: il capoluogo lombardo dimostra di essere all’avanguardia su accessibilità e inclusione sociale rispetto alla Capitale d’Italia.
Quando qualcuno parte per Milano, torna sempre in mente la scena di Totò e Peppino in Piazza Duomo mentre discutono col vigile urbano: “Scusi, per andare dove dobbiamo andare, per dove dobbiamo andare?”. È una suggestione, uno stereotipo esasperato, eppure sembra esser sempre così calzante. Perché, quando si decide di partire alla volta del Duomo, è comunque una traversata. Non c’entra nord e sud, non c’entra nemmeno la nebbia e gli altri luoghi comuni, è proprio che Milano profuma di metropoli. Quando arrivi lì, anche se non hai mai fatto nulla in vita tua, ti senti parte dell’Italia che va. I grattacieli, tipo quello dell’Unicredit, la stazione centrale, Cologno Monzese. Radio, televisione, moda, lavoro.
Non è un caso, infatti, se molti arrivano nel capoluogo lombardo carichi di aspettative: alla ricerca di qualcosa che ancora non hanno e, quasi sempre, si tratta di un impiego. Per molti giovani, Milano rappresenta l’ultimo baluardo prima di rifugiarsi all’estero. Prima della fuga di cervelli, c’è l’attraversamento, il cambio di rotta: succede che un ragazzo con più dubbi che certezze possa lasciare la propria città per fare un salto da Giuseppe Sala & co. Questo capita spessissimo, tant’è che persino i treni si sono adeguati alla domanda di molti: Italo arriva a Milano, da qualsiasi parte d’Italia, in pochissimo tempo. Lo stesso vale per Trenitalia. Ci sono treni che partono ogni ora, dalla mattina alla sera, aumentano i mezzi e le possibilità così come i prezzi, ma questo è un discorso secondario (apparentemente). Quindi, se la Lombardia sembra esser più vicina, anche i sogni di un futuro migliore paiono alla portata di tutti. Le statistiche dicono che – in media – entrano a Milano quasi settecentomila persone non residenti e questo costa al capoluogo lombardo circa quattrocento milioni di euro in servizi.
Un’affluenza tale porta con sé esigenze maggiori e, dunque, maggior attenzione. A tutto. Essendoci un frequente andirivieni di persone, anche le opportunità devono (o quantomeno dovrebbero) essere all’altezza. Volendo far parlare nuovamente i luoghi comuni, oltre a Totò e Peppino che vedevano la Lombardia e il Duomo come una legione straniera, c’è chi – dalla Capitale – ha sempre azzardato l’ipotesi che l’unica cosa bella di Milano fosse il treno per Roma. Chiacchiere da bar, spunto per ottimi film, rivalità sceneggiate. È pur vero, però, che Roma e Milano sono sempre esposte al confronto: la loro storia, grandezza e fama lo impone. Una è la Capitale d’Italia e l’altra rappresenta il nostro Paese economicamente. Qualcuno in passato minacciava: “Se a Milano chiudessimo i rubinetti, l’Italia andrebbe a rotoli” e, un po’ per gioco, un po’ per noncuranza, c’è chi glielo lasciava credere. Se è un’esagerazione pensare che Milano mandi avanti da sola il nostro Paese, non è così scontato pensare che all’ombra del Colosseo siano messi meglio. Non ci sono ovunque le stesse opportunità e gli stessi mezzi, questo è risaputo, però quel che manca in taluni casi è proprio l’attenzione e la cura per i dettagli e i diritti.
Chi è di Roma sa che, in un momento storico come questo, è nell’occhio del ciclone: le vicende di cronaca hanno gettato più ombre che luci sull’amministrazione cittadina, c’è sempre lo spauracchio della criminalità ad alimentare dubbi e tensioni. L’attenzione a determinate esigenze, però, non dovrebbe avere stagione, né tantomeno cambiare a seconda del periodo storico. Per questo, quando si parla di accessibilità, si può affermare senza indugio che Milano è all’avanguardia mentre Roma resta indietro di qualche passo. Anzi, arranca notevolmente. Infatti, se una persona con disabilità decidesse di partire alla volta del Duomo, potrebbe rimanere positivamente sorpreso. È quel che è successo a noi di FinestrAperta, abbiamo passato una giornata in Lombardia testando mezzi, strade e servizi, restando con gli occhi spalancati dall’incredulità.
Siamo arrivati a Milano Centrale alle dieci di mattina, per poi riprendere il treno alle ventitré e trenta. Tredici ore intense, movimentate ma costruttive. Non avere mezzi nostri, ci ha permesso di testare numerosi modi per spostarsi (che vanno dalla metro, ai taxi, fino alle Enjoy). Le peculiarità e i difetti di una città non emergono soltanto in seguito ad una singola gestione amministrativa, ma sono il susseguirsi di anni e anni di lavoro. Insomma, non è colpa o merito soltanto di un sindaco, si tratta di avere una visione d’insieme che ha permesso (o meno) nel tempo un’evoluzione. Noi ce ne accorgiamo appena scendiamo dal treno, in stazione centrale, dove la nostra carrozzina non ha incontrato il minimo ostacolo. Sia all’entrata che all’uscita, ci sono rampe ovunque, tutte con la pendenza adeguata. Ci siamo mossi all’interno della stazione nella più totale indipendenza, nonostante ci fosse il caos tra le partenze e gli arrivi, e anche noi – come Totò e Peppino ai tempi – ci siamo rivolti ad un vigile.
Eravamo in cerca di un bagno perché, dopo due ore di treno, la natura chiama. Questo ci ha dato modo di fare un distinguo: se è vero che sulla tazza del bagno siamo tutti uguali, a Milano c’è l’eccezione che conferma la regola. In stazione i bagni sono completamente accessibili, non solo sulla carta come avviene a Roma, e permettono a chiunque di espletare i propri bisogni in totale autonomia al netto di una disabilità motoria. Tant’è che l’accompagnatore potrebbe (volendo) non esserci. È possibile trovare, oltre a un congruo numero di maniglioni che rendono accessibile l’intero ambiente, persino una doccia (pensata e costruita per persone con disabilità, senza rialzi o barriere). Questo basterebbe a garantire un eccellente servizio, come se non bastasse, però, troviamo ad ogni bagno dedicato una persona apposita che apre e chiude la toilette, attendendo che colui che ne ha usufruito abbia terminato. Utopia che diventa realtà.
Conclusa la “pausa caffè”, ci dirigiamo in strada. Anche qui, rampe, taxi, mezzi e nessuna barriera per la nostra carrozzina. Dobbiamo andare a Cologno nord, ci dicono di prendere la metro verde – si chiama così – che si raggiunge tramite un ascensore dalla stazione centrale. Quindi, torniamo indietro, scendiamo di un piano, facciamo i biglietti e prendiamo la metropolitana. Altra (bella) novità: il controllore ci ha chiesto se, essendo in carrozzina, avessimo bisogno di una pedana per salire. La mettono e tolgono ogni volta, per le persone con disabilità. Noi, avendo l’accompagnatore e visto che la pendenza era minima, decliniamo l’offerta gentilmente. Sapere, però, dell’esistenza di certe accortezze (che dovrebbero essere la normalità anche nella Capitale d’Italia) rincuora, soprattutto perché sono la testimonianza di un’integrazione sociale ampia e pressoché totale. Giunti a destinazione, c’è bisogno di un montascale per uscire dalla stazione. Ogni postazione ne ha uno (funzionante), è bene specificarlo perché i romani – purtroppo – non sono abituati a tale efficienza. Il montascale ha in “dotazione” un addetto che, per ogni viaggio, chiama la sede centrale, assicurandosi che tutto sia pronto, prima che la persona con disabilità ne prenda possesso. Dato che Cologno nord è l’ultima fermata della metro, abbiamo notato anche l’accessibilità di altre zone, come ad esempio quella di Cascina Gobba. Per non parlare degli interni: una metropolitana, quella milanese, fornita di spazi accessibili per persone con disabilità che godevano (addirittura) del palo per reggersi ad altezza carrozzine. Oltre a ubicazioni apposite dove poter frenare la carrozzina senza problemi.
Una volta arrivati a Cologno Monzese, giriamo a piedi (per così dire): Viale Piemonte, Viale Europa, Via Principe Amedeo. Strade, viali, strettoie, marciapiedi, nessun problema: c’era sempre una rampa a disposizione per le carrozzine. Era messa nella maniera migliore, rispettando i requisiti sulla pendenza, infatti non è stato difficile attraversare le varie distanze. Così una mattinata è volata, fra vari studi e stadi di accessibilità. Dopo pranzo (a Milano non fanno solo la polenta), ci dirigiamo in Corso Sempione e decidiamo di prendere un taxi. Qui si è compiuto il miracolo, merito di Sant’Ambrogio o San Siro: il tassista non ha fatto pagare alcun supplemento per la carrozzina, né ha fatto il furbo sul prezzo finale. Poteva essere un caso, ma lo stesso è avvenuto con altri due taxi che abbiamo preso successivamente. Quindi, come diceva Agatha Christie, tre indizi fanno una prova: esiste anche gente onesta.
Corso Sempione, Parco Sempione, il centro, ovunque abbiamo trovato una città vivibile e all’altezza. Esempio di accessibilità e abbattimento delle barriere architettoniche, con ancora la voglia di stupire. Se vogliamo trovare un unico difetto, ci sono tanti (troppi) sushi bar e ristoranti giapponesi. Quelli, però, son gusti. E, almeno lì, Roma non si batte. Per il resto, c’è ancora molta strada da fare. Soprattutto per chi è su due ruote.
Articolo di Andrea Desideri