Avanti e indietro, grazie ad una spinta. Può essere divertimento, altri ci ritrovano il senso della vita, sicuramente i più piccoli vi passano le giornate. Un’altalena, di umori, emozioni e stati d’animo, che da un parco giochi diviene lo specchio di una società civile. Succede ad Imperia, piccolo comune ligure, dove qualche settimana fa è stata disposta la chiusura di un’altalena dal parco giochi cittadino. Questo gioco, che ha formato generazioni, stavolta aveva la particolarità di essere dedicato alle persone con disabilità. Infatti, per chi vive la vita su una carrozzina – soprattutto in età infantile – è più complicato divertirsi rispetto ai normodotati, quindi anche salire su un’altalena diventa utopico. A Imperia, nel novembre scorso, l’utopia era divenuta una realtà possibile grazie alla tenacia di Michela Aloigi che, con la sua organizzazione – “La giraffa a rotelle” –, ha investito dei soldi per montare nel parco un’altalena più grande e accessoriata per persone con disabilità.
Ovviamente, l’attrazione era a disposizione di tutti. Anche dei normodotati che, però, la vivevano diversamente: ci montavano spesso sopra in maniera errata, questo ne ha causato la rottura e il sindaco del paese ne ha chiesto la chiusura. Tale decisione non venne accolta benissimo da Michela che, essendo anche madre di un ragazzo con disabilità, ha vissuto l’intera vicenda come un sopruso. Quindi, agli inizi di Luglio, insorse su Facebook: “Io e Matteo ringraziamo tutti quei cittadini che hanno fatto chiudere l’altalena così che i propri figli “ normodotati” possano rimanere incolumi mentre loro chiacchierano e giocano con il cellulare! O sono tranquilli tranquilli al mare poiché non hanno bisogno di aiuto o accessibilità. Noi, non vi preoccupate , andiamo a rinchiuderci a casa… Grazie! W la civiltà!”.
Al termine di un parapiglia mediatico con le autorità, nei giorni scorsi l’altalena è tornata ad essere disponibile al suo posto, grazie ad un ulteriore investimento fatto da Michela ed altri volontari. Al termine di questa battaglia, che si è conclusa con la garanzia da parte del sindaco affinché ci sia una maggiore vigilanza e custodia del mezzo per evitare ulteriori episodi spiacevoli, abbiamo contattato la signora Aloigi per provare ulteriormente a far luce su questo caso contorto che da un paesino è arrivato sino alle cronache nazionali.
Che idea si è fatta dopo tutta questa vicenda?
La mia è stata una protesta di civiltà, più che altro. E’ inconcepibile che si chiuda l’unico gioco che garantisca un’inclusione sociale per via di pochi incivili che l’hanno usato nella maniera sbagliata. In questo il comune ha sbagliato, preferendo chiudere tutto, dando adito alle proteste di alcune famiglie, invece che trovare una soluzione adeguata. Ci sono stati dei genitori che si sono lamentati, che non tolleravano l’altalena, la ritenevano un pericolo invece che considerarla un’opportunità. Questo è il livello di apertura nel nostro paese, ecco perché cerco di impegnarmi anche con la mia associazione.
Si aspettava questa reticenza da parte dei suoi concittadini?
Speravo di avere un po’ più di appoggio, ecco. Non è il discorso del gioco in sé, è proprio il discorso e la possibilità di poter vivere un parco tutti insieme: i nostri figli, noi genitori e tutta la collettività. La bella cosa dovrebbe essere riuscire a vivere tutti la città in egual modo, invece è successo quel che è successo.
Da cosa dipende questo difetto di inclusione sociale: scarso interesse delle istituzioni o mentalità ristretta della cittadinanza?
Io in rete, forse, sono stata un po’ troppo cruda. Le dico la verità: ci vorrebbe una mentalità diversa, cioè capire che noi siamo come le altre famiglie. Abbiamo soltanto bisogno di alcuni accorgimenti per andare avanti, come ce li hanno tutti. Quindi vanno rispettate tutte le esigenze. Quando si vede che quattro o cinque bambini grandicelli vanno a tutta velocità su un’altalena di quella portata, magari, da genitore, bisognerebbe porre un freno a certi comportamenti. Sinceramente gli altri genitori facevano finta di niente, ecco. Nelle altalene non ci si va in piedi a tutta velocità, l’altalena è un gioco tranquillo per dondolarsi. Non certo fatto per cinque o sei ragazzoni grandi che vanno a tutta velocità, si fanno male loro, fanno male agli altri, e si rompe un bene comune.
Sulla pagina Facebook dell’associazione abbiamo visto che ci sono stati degli sviluppi…
Fortunatamente, sabato mattina ci sono arrivati i pezzi di ricambio. Quindi io ho sentito l’ingegnere del comune, per capire se potevamo montarli, e mi ha detto di sì. Grazie al cielo!
Questi ricambi sono arrivati a spese vostre o il comune vi ha dato una mano?
No, tutto a nostre spese. Il comune ci ha detto che nei prossimi giorni, spero sia vero, farà una recinzione (bassa, carina) per mettere in sicurezza sia l’altalena che i ragazzi. Ci hanno detto soltanto di avere un attimo di pazienza, intanto l’altalena funziona, quindi spero che questa storia possa essere lasciata alle spalle e che sia servita per far capire un po’ qualcosa a tutti.
Come giudica l’atteggiamento delle istituzioni che non l’hanno aiutata minimamente?
Le dico che qui il più grosso scoglio è mentale, qui la grande maggioranza non riesce a capire che tutti siamo uguali, che tutti abbiamo i soliti bisogni, che anche una persona sulla sedia a rotelle vuole andare al cinema, vuole andare sull’altalena, vuole andare a mangiarsi una pizza. Qui non c’è questa mentalità: la maggior parte delle persone con disabilità sono chiuse in casa. La mentalità è ristretta anche fra le istituzioni, che non considerano queste cose. È brutto parlare così della città dove vivo, ma è come se fossimo un po’ invisibili per loro.
Qual è il problema di base che poi porta a questo?
Manca la voglia, manca la sensibilità, non è solo una questione economica. Tante cose si possono fare comunque, dandoci una mano e collaborando insieme, ma se manca la voglia di inclusione, se manca la considerazione, se manca il rispetto, allora siamo a zero.
Lei si è impegnata in prima persona, dando vita a questa organizzazione, ma altre famiglie con persone con disabilità come si stanno ponendo?
Mi danno manforte, ma dietro le quinte, non si espone nessuno proprio perché sanno che vengono sottovalutati dalle istituzioni. Parliamoci chiaro: io sono additata, la gente preferisce non esporsi, mi danno un aiuto morale. Con quello che faccio io, spero anche di liberare queste persone dalla paura di stare nascoste. Paura di giudizi e pettegolezzi.
Avete subito ostracismo?
Personalmente sì, non parlo delle istituzioni, però più persone sono state infastidite da quello che ho fatto e dal mio impegno. Ho subito minacce, ho avuto paura per mio figlio, perché Matteo non parla, Matteo non si muove, Matteo non si difende, quindi la paura era per lui. Secondo me, sono uscita più fortificata da questo, non dobbiamo aver paura sennò tutto finisce lì. Ho stretto i denti, ho denunciato le cose e andiamo avanti.
Per il futuro cosa si augura?
A livello personale, mi auguro di poter vivere più serenamente possibile. Andare a un ristorante, a un cinema con mio figlio, in maniera normale. Per l’associazione, il prossimo progetto che abbiamo, e che ci tengo anche molto, è quello di mettere delle pedane per poter accedere ad alcuni negozi. Per poter avere una vita normale, senza chiedere una mano ogni dieci metri. Poi abbiamo messo su una campagna per raccogliere fondi, così da mettere accanto all’altalena un bellissimo girello. Dove ci possono andare sia persone con disabilità che normodotati.
Articolo di Andrea Desideri