Viaggio nella Turchia di Erdoğan a tre mesi dal fallito colpo di Stato, che non solo non ha scalfito il presidente, ma lo ha reso ancora più forte. Un giovane di Smirne, racconta la vita nel suo paese.
Turchia: solo due ore e mezza d’aereo ci separano da questo paese di cui, in realtà, non conosciamo molto. Geograficamente e politicamente collocata in un punto cruciale del mondo, a metà tra l’Occidente e il Medio Oriente, tra l’Europa e l’Asia, tra i fedeli al Cristianesimo e quelli all’Islam, la Turchia è uno Stato da cui per lo più ci giungono notizie drammatiche e una sensazione di perenne instabilità. Negli ultimi mesi si sono intensificati gli attacchi terroristici all’interno del Paese, che hanno causato centinaia di morti tra i civili, ma la notizia più eclatante risale allo scorso 15 luglio, quando si è verificato un tentativo di colpo di Stato da parte dell’esercito, intenzionato a far decadere il presidente Recep Tayyip Erdoğan. Il golpe è fallito, il presidente ha mantenuto la sua posizione e ha dato il via ad una massiccia campagna punitiva ai danni di chi ne aveva auspicato la caduta, non solo direttamente, ma anche semplicemente contestando in pubblico la politica di Erdoğan. Preoccupata per il clima instauratosi, la comunità internazionale ha condannato la repressione nei confronti dei contestatori.
Questi, in estrema sintesi, i fatti che raccontano un Paese difficile, in cui possiamo solo immaginare quale aria si respiri. Noi siamo riusciti a raggiungere Ufuk, un ragazzo turco che ha avuto l’opportunità di viaggiare fuori dai propri confini nazionali e che ora si è ristabilito nella sua città natia, Smirne. Tentiamo di capire com’è la vita in Turchia senza il filtro dei mass media, ma direttamente dalle parole di chi la conosce per esperienza personale.
Cominciamo dal tentato colpo di Stato verificatosi tre mesi fa. Ci spieghi cos’è successo?
“Spiegandolo in maniera semplice, posso dire che il golpe è stato organizzato da un piccolo gruppo dell’esercito turco. Talmente piccolo che non è riuscito a prendere il controllo. L’istigatore, non solo secondo Erdoğan, è un imam molto influente, chiamato Fethullan Gülen, che vive in Pennsylvania, negli Usa. Lui è il capo di un movimento, Hizmet, i cui sostenitori sono chiamati ‘gülenisti’ dai media internazionali, che è molto attivo nel campo della diffusione dell’Islam, particolarmente in Africa e Asia. Però, dato che le istituzioni di Hizmet non hanno legami ufficiali e che non c’è un direzione ufficiale, non è facile trovare le prove per confermare che l’istigatore è Gülen. Inoltre è motivo di discussione se il semplice fatto di aver creato un’ideologia (che poi ha causato un golpe) sia da considerare un reato”.
La popolazione turca che idea si è fatta? La maggioranza per chi parteggia?
“Questo è un punto molto importante: Nessuno sostiene il colpo di Stato esplicitamente, tranne i golpisti. Ciononostante molte persone sono state accusate e incriminate per averlo sostenuto, gülenisti e non. Il golpe è diventato la scusa ideale per incriminare gli avversari di Erdoğan”.
Effettivamente il vostro presidente sembra essere uscito dal fallito colpo di Stato più forte di prima.
“Sì. Tanta gente lo vede come un vero leader ora. La notte del golpe lui ordinò alle persone di andare per strada a manifestare contro i golpisti, e molta gente lo ha fatto. Tante persone comuni si sentono come parte di una sorta di milizia”.
Ma è possibile che nessuno abbia qualcosa in contrario rispetto ai metodi di repressione del governo?
“Non credo che ci siano persone che pensino che i golpisti meritassero più clemenza. La gente odia i golpisti. Il fatto, però, è che è difficilissimo individuarli tra i civili; lo stesso Erdoğan ha recentemete dichiarato che incidentalmente può aver punito persone innocenti. Ad ogni modo la gente lo sostiene, certa che ci siano dei nemici tra noi. Se qualcuno manifestasse contro i metodi repressivi del governo, diventerebbe automaticamente un tipo sospetto. Ora la maggioranza della popolazione ha paura di parlare di politica fuori dalla propria casa, eccetto ovviamente chi sostiene il governo. E non tutti possono sfogarsi grazie a un giornale italiano. La repressione è molto dura, ma solo quando la puoi sentire”.
Come si vive in questi giorni nel tuo paese? Si avverte un senso di insicurezza? Com’è la vostra quotidianità?
“Se non pensiamo al terrore creato da PKK e Isis ad est e all’impossibilità di essere contro Erdoğan, c’è aria di sicurezza. ‘Fortunatamente’ ora c’è un nemico comune: i golpisti. Nessuno sa chi siano, nessuno ne ha conosciuto uno, ma tutti li odiano. Questo nemico comune ed immaginario ci aiuta a vivere insieme un po’ più pacificamente, senza prendercela come al solito con noi stessi: i kurdi per i nazionalisti, i laici per i religiosi eccetera”.
C’è libertà di espressione e informazione nel paese?
“Proprio no. Secondo il governo, tutti quelli che lo criticano sono sostenitori del colpo di Stato, e quelli che criticano la politica estera di Erdoğan sono terroristi. E così i politici turchi possono dire dappertutto che nessun giornalista sia in carcere, perché quelli in carcere non sono giornalisti ma golpisti e terroristi”.
In ambito internazionale i rapporti con la Turchia sono diventati più freddi, entrare nell’Unione Europea diventa più difficile. Non vi dispiace?
“Penso che questo tema sia stato finora uno dei punti di unione all’interno della popolazione turca: nessuno credeva sul serio che un giorno saremmo entrati nell’Unione Europea, ciononostante la speranza è stata la spinta di molte leggi moderne. Ora la maggioranza non considera questo allontanamento come un problema e ogni giorno più gente perde la voglia di entrare. Il vero problema sarebbe perdere questa speranza, il che ci porterebbe lontano dall’Europa e vicino al Medio Oriente”.
Articolo di Manuel Tartaglia