A piazza San Pietro, nella Capitale, il colonnato realizzato da Bernini avvolge i fedeli cittadini romani e del mondo in un abbraccio ideale che è impreziosito dalla varietà degli stili dorico, ionico e corinzio. Nel 1667 l’urbanista campano aveva pensato di chiudere la piazza con un altro settore di colonnato, il cosiddetto “terzo braccio” che continuasse la curva dei due emicicli dalla parte opposta alla Basilica, ma a causa della morte di Alessandro VII il terzo braccio non fu più costruito. Paradossalmente, si può affermare che è stato aggiunto dopo più di trecento anni. Non si tratta di un’opera architettonica, anche perché la magnificenza della basilica basta a sé stessa persino tre secoli dopo, ma di una mano effettiva che viene data alla comunità. In tempi recenti, dove lo sfarzo primeggia e mancano gli ideali, fra le colonne dell’Urbe troviamo i volontari di Medicina Solidale che con il loro apporto aprono le braccia verso la solidarietà per garantire un servizio sanitario equo, gratuito, e aperto a tutti coloro che si trovano in condizioni disagiate. L’organizzazione, presente sul territorio sin dai primi anni Duemila, arriva anche in via della Conciliazione grazie al contributo fondamentale di Padre Konrad Krajewski (l’elemosiniere del Papa). L’Associazione opera a favore delle persone socialmente svantaggiate ed escluse dall’assistenza sanitaria, sul loro sito – www.medicinasolidale.org – la mission è ben chiara e definita:
“Garantire il diritto alla salute per le fasce sociali povere ed emarginate realizzando sportelli socio-sanitari a bassa soglia d’accesso:
- Il nostro obiettivo è contrastare il diffondersi di patologie legate alla povertà;
- Il nostro metodo è accogliere chiunque ci chieda di essere curato senza frapporre ostacoli di natura culturale, politica, etnica e burocratica”.
In altre parole, ogni medico e operatore che presta i propri servizi al colonnato e in altre periferie romane si trova a fare i conti con quell’insieme di realtà limite che troppo spesso racconta la cronaca: collaborazione per la tutela dell’infanzia Rom e per l’assistenza e cura dei migranti in transito, collaborazione con i Centri Sociali del territorio per sviluppare percorsi di assistenza e cura rivolti a cittadini con disagio abitativo, assistenza nutrizionale della popolazione pediatrica fragile del territorio di Roma. La dott.ssa Lucia Ercoli, fondatrice dell’Associazione, spiega: “Dal 2003 abbiamo dato vita a quest’associazione ed è una Onlus che si propone di contrastare la diffusione di malattie della povertà e quella di sviluppare la salute come bene comunitario e non soltanto come bene personale. Fino ad oggi abbiamo sviluppato una rete di ambulatori di strada a Roma, ogni ambulatorio ha un suo gruppo, una sua equipe medica, che lavora esclusivamente su base volontaria. Si tratta di interventi a bassa soglia d’accesso, significa che le persone possono entrare e usufruire dei servigi richiesti senza troppe complicazioni di carattere burocratico, tutte le prestazioni sono gratuite e – oltre alle visite mediche necessarie – vengono distribuiti i farmaci per il periodo della cura. Gli ambulatori sono dislocati principalmente nell’area periferica di Roma (periferia est e periferia sud), poi però abbiamo anche un ambulatorio, in via della Lungara, insieme all’Associazione Voreco, e con l’elemosineria apostolica e la direzione dei servizi di sanità dello stato della Città del Vaticano abbiamo avviato l’attività qui al Colonnato in ambulatorio e in strada con un camper attrezzato. Tra le persone che usufruiscono dei nostri servizi, inizialmente sono state rappresentate le comunità Rom e immigrate, negli ultimi cinque anni, invece, sono aumentati significativamente i pazienti italiani in relazione alla crescita del fenomeno della povertà: i pazienti italiani vengono a chiedere soprattutto farmaci ed esami diagnostici, oltre a visite specialistiche. Il sostegno economico delle nostre attività è legato a dei progetti che sono stati finanziati dall’ufficio otto per mille della Tavola Valdese, abbiamo avuto anche sostegno dalla fondazione ‘Migrantes’ e da alcune donazioni liberali che poi ci hanno permesso di acquistare parte degli arredi e delle attrezzature. Abbiamo avuto qualche rapporto dialettico con le istituzioni perché abbiamo sempre e comunque cercato di far riconoscere le nostre attività all’interno del sistema sanitario nazionale, purtroppo non sempre riescono a capire o ad interpretare tutto il sostegno che il Welfare porta e senza il quale la città si troverebbe in una situazione di sofferenza maggiore. Il volontariato contribuisce in maniera importante a mantenere una situazione di equilibrio rispetto alla povertà che aumenta, se non ci fosse tutta questa rete le istituzioni si troverebbero in una situazione più difficoltosa, anzi direi che si troverebbero nell’impossibilità di gestire il problema, però talvolta hanno difficoltà a riconoscere certe iniziative”.
Entrando nell’ambulatorio, oltre al personale medico e sanitario, c’è anche la figura di una psicoterapeuta che – in tale contesto – modifica leggermente il proprio compito, rivelandosi però molto importante e preziosa, come sottolinea Roberta Guzzardi: “Mi sono unita a questo gruppo agli inizi di Aprile venendo a sapere quello che facevano tramite un articolo che avevo letto, quindi ho chiesto alla dott.ssa Ercoli se potevo venire a dare una mano come psicoterapeuta. Sto ancora cercando di capire come si colloca la mia figura professionale in questo ambiente, i primi tempi rimanevo all’interno dell’ambulatorio poi ho capito che era meglio stare fuori, più che altro quelli che arrivano mi raccontano le loro storie: come mai sono finiti qui, quali sono i motivi per cui non tornano nelle loro famiglie o case, al momento è difficile ancora immaginare di poter arrivare a dare un aiuto sostanzioso da un punto di vista psicologico a chi ha più bisogno di questo, però, molti trovano beneficio dallo sfogarsi e dal parlare con qualcuno. Si possono trovare le situazioni più variegate: le persone che hanno più facilità a parlare con me sono molti italiani che hanno avuto problemi di tipo familiare o legale e adesso si trovano per strada, molti altri erano già sulla strada perché venivano da situazioni sociali difficili, la motivazione principale che loro danno è la mancanza di lavoro – non appena si indaga più a fondo, però, si scopre che hanno tante storie da cui scappano –. Si aggrappano alla prima cosa che è più facile da condividere. Alcuni, invece, vivono la loro situazione disagiata come un periodo di espiazione: ‘Ho fatto tante cose brutte e quindi sto pagando quello che ho fatto’, parecchie persone me l’hanno detto. Dipende tanto dall’interpretazione che loro danno al momento vitale che stanno attraversando. A me piacerebbe continuare a dare qui dentro un servizio serio di terapia a persone che, purtroppo, non possono accedere a strutture private. Quelli che hanno vissuto in strada perché magari sottratti alle famiglie, vorrei aiutare loro e chi ha dei disturbi seri con cui convive”.
Proseguendo all’interno delle varie postazioni, troviamo il cardiologo, altra figura rilevante in questo panorama che si frappone al vagabondaggio. Luca Di Vito dimostra quanto i problemi di cuore incidono su chi si riversa in strada o non ha fissa dimora: “Sono l’ultimo arrivato in questo gruppo, mi sono avvicinato a questo tipo di medicina parlando con la dott.ssa Ercoli, le malattie cardiovascolari sono importanti poiché sono molto frequenti quanto si è a contatto con certe realtà. In tal caso l’accesso alle terapie e alle medicine, di cui godono tutte le persone con un certo benessere economico, è particolarmente difficile. L’obbiettivo è quello di aiutare, soprattutto dal punto di vista cardiovascolare, nella prevenzione di ogni malattia. La prevenzione a questi livelli è completamente diversa da come la immaginiamo abitualmente: nelle persone con difficoltà economiche, la prevenzione è tutta da creare. Bisogna combattere la difficoltà nell’accedere alle prestazioni specialistiche, il mio aiuto vuole essere quello di avvicinare con la prevenzione cardiovascolare tutta quella fetta di popolazione emarginata. Il lavoro fatto in questi mesi è riuscito a creare un buon rapporto medico-paziente, forse ancor più bello di quello che si crea in altri ambiti, perché le persone qui vedono nella passione e nell’amore che mettono i volontari qualcosa che va oltre il normale rapporto professionale. Quindi, si possono instaurare anche terapie importanti. Quello che servirebbe adesso, a livello di strumentazione e attrezzature, in questo contesto, è senza dubbio un eco cardiografo. Sarebbe un ottimo innesto avere la possibilità di fare delle ecografie mirate al cuore e al torace, oltre che un dono molto gradito”.
Altra questione spinosa è quella legata alla chirurgia, il chirurgo che si trova davanti un homeless o un migrante senza fissa dimora ha a che fare maggiormente con aspetti legati ad una cura approssimativa di ferite o situazioni epidermiche mal gestite, come spiega Paolo Silli: “Collaboro con la dott.ssa Ercoli da un annetto, inizialmente in un altro ambulatorio e da qualche mese qui al Colonnato, m’interesso della chirurgia poiché per trent’anni ho fatto il chirurgo e quindi do la mia esperienza a queste persone meno fortunate collaborando in quest’ambito specialistico. A volte controllo degli ascessi, delle ferite mal curate, mal gestite, anche patologie banali tipo escoriazioni. Tutto ciò che può capitare a persone che dormono un po’ dove capita, spesso queste situazioni non sono caratterizzate da massima pulizia, poiché si vive nel disagio. Noi forniamo queste persone di tutto quello che hanno bisogno per gestire la cura nei primi cinque, sei giorni, poi eventualmente le riconvochiamo la settimana successiva per controllare l’esito. Facciamo un percorso insieme attraverso il collegamento fra varie strutture”. A tirare le somme di questo tour nei meandri del sommerso, dove professionisti decidono di metterci la faccia e le competenze, ci pensa il dottor Domenico Crescenzi: “Io sono un otorino laringoiatra, reclutato qui dal dottor Paolo Silli (lo conosco da molti anni), mi si presentano abitualmente le patologie più classiche: quelle infiammatorie dell’orecchio medio, dell’orecchio esterno, date anche da condizioni un po’ più difficili dal punto di vista dell’igiene personale. Anche tutto quel che concerne malattie dell’infiammazione del cavo orale, faringiti, ovviamente in questa fascia di popolazione che si trova, per motivi di difficoltà di gestione psicologica della realtà che vivono, anche ad abusare di alcol e fumo, ci sono situazioni molto potenti e gravi. Ci troviamo a combattere situazioni pre cancerose date da abusi specifici. Noi stiliamo un numero di persone che vediamo tutti i giorni, anche per renderci conto del volume di pazienti che abbiamo”.
Quel che è palese al termine di questa visita (non specialistica, ma guidata) dentro al colonnato di San Pietro è la volontà di un gruppo sempre più grande di operatori nel mettersi a disposizione di qualcuno. Una volontà che esula dalla routine, ma in qualche maniera la contempla. Innumerevoli sono le situazioni di disagio e precarietà, molto spesso distanti da noi, che balzano agli occhi soltanto grazie a qualche sporadico servizio televisivo. Stavolta, invece, siamo sommersi da una maestosità capitolina che in un certo qual modo obnubila uno smarrimento latente. Le colonne sorreggono l’esistenza di chi sembra essere perso e non aspetta altro che una mano tesa infilata in un camice bianco, tra i sospiri e il fascino schivo della Città Eterna.
Articolo di Andrea Desideri