Elena Improta, una mamma come tante che lotta affinché l’assistenza diurna a suo figlio Mario venga garantita. Come lei, tante madri e altrettante famiglie di persone con disabilità attendono risposte. Un flash mob davanti alla Regione Lazio con 50mila firme raccolte affinché le cose cambino per chi vive quotidianamente una condizione altamente patologica.
Vivere una vita normale, non per forza agiata, ma nel pieno delle possibilità. Puntare al raggiungimento di un’indipendenza sociale, che permetta di essere non soltanto un numero ma anche e soprattutto una persona, con pari dignità e diritti. Questo desidera, in larga parte, chi ha una disabilità. Specialmente quando si tratta di malattie rare, conviverci significa aver bisogno di assistenza diretta in maniera costante. Un diritto, non così scontato come dovrebbe essere. Per questo, recentemente, le persone con disabilità sono scese spesso nelle piazze per far sentire la loro voce sottolineando quanto quest’assistenza, frequentemente, arrivi con il contagocce.
Il nome che, nell’ultimo periodo, riecheggia ovunque è Mario: non è un supereroe ma quasi, perché rispecchia la condizione precaria di molti. Quelli che, come lui, sono affetti da una complessa forma di tetraparesi spastica: in grado di andare in bagno, controllare gli sfinteri, senza però riuscire ad essere indipendenti nell’igiene personale e la routine giornaliera. Vanno aiutati a lavarsi, a vestirsi, controllandoli anche durante il percorso nutritivo dei pasti principali. Nel Dicembre scorso, è partita una petizione – che ha raccolto 50mila firme complessive – per chiedere alla Regione Lazio che venga garantita l’assistenza diurna legata a Mario che, suo malgrado, è rappresentante di molti suoi coetanei che vegetano nelle stesse condizioni. A ventotto anni, pieni di vita, ma imprigionati nel lassismo della burocrazia prima ancora che nella morsa delle barriere.
Elena Improta, mamma di Mario, da diversi mesi ha iniziato la sua protesta contro questo impasse delle autorità competenti: prima lo sciopero della fame, poi l’appello a tutte le istituzioni coinvolte per promuovere idee e progetti concreti affinché venga garantita una vita dignitosa per il figlio (allontanato a Settembre dal centro diurno in cui era seguito) e tutti coloro che sono nelle medesime condizioni. “Considerate le difficoltà che vivono costantemente, nel silenzio, i ragazzi come Mario e le loro famiglie, il mio sciopero della fame non è nulla. Voglio risposte reali – ha ribadito piccata la donna – non mi bastano più le promesse. Il diritto dell’assistenza deve essere garantito, mentre c’è chi ha rinunciato ormai a rivendicarlo. È anche per loro che protesto”.
Parole forti seguite da atti concreti: lunedì 22 Gennaio è previsto, infatti, un flash mob che vedrà coinvolte famiglie e associazioni. L’obiettivo è partire da Via Tor Fiorenza 13 (abitazione di Mario) per arrivare in massa davanti agli uffici della Regione Lazio. La raccolta firme verrà consegnata, in attesa di provvedimenti. L’iniziativa si pone anche il fine di proporre progetti e soluzioni per poter districare al meglio questa matassa ingestibile dell’assistenza: “Ho assemblato una ipotesi di progetto per la realizzazione di un Centro Diurno socio-educativo nel Municipio 2, aperto ai giovani adulti con disabilità non inseriti in Diurni Sanitari ex art.26, eventualmente da replicare anche su altri territori del Comune di Roma. Ho preso contatti con le Cooperative del Municipio 2 per chiedere loro collaborazione e condivisione per trovare soluzioni sostenibili. Intanto aspettiamo una risposta dal Don Guanella a cui abbiamo inviato moduli vari e visiteremo un altro centro. Mario continua a essere agli “arresti domiciliari”, assistito da operatori che la famiglia suo malgrado è obbligata a pagare! Dopo essere stato cacciato dal Centro, ha perso sia il diritto alla cura e alla socializzazione, sia il diritto ad un sostegno economico. In queste condizioni ci sono decine di ragazze e ragazzi su ogni territorio del Comune e della Regione”. Elena e Mario sono la punta di un iceberg ricolmo di amarezza e rassegnazione, fatto da altrettante realtà familiari che sguazzano nella precarietà e vorrebbero una mano tesa dalle istituzioni, per non pensare alla serenità soltanto come un’utopia.
Qui di seguito, le dichiarazioni rilasciate da Elena Improta ai nostri microfoni:
Articolo di Andrea Desideri