Il noto giornalista rispolvera in diretta televisiva il termine “mongoloidi”. Due giorni dopo, per scusarsi, peggiora la propria posizione scrivendo l’espressione “handicappati mentali”
Ero sul pullman che mi riportava a casa da scuola. Facevo le elementari. Sul pullman c’erano il conducente, una assistente, io e tanti altri bambini. L’assistente, una donna sulla quarantina, chiese a un bambino di spostarsi per far sedere me al suo posto: “Spostati, che questo è mezzo handicappato”, gli fece, mortificandomi pubblicamente. Sono passati trent’anni, ma forse quella donna lo ricorda ancora, se non altro per le proteste dei miei genitori, che le costarono un cambio di sede di lavoro.
Da allora, di frasi infelici ne ho sentite tante altre, ma l’età, l’esperienza e – ahimè! – l’abitudine, mi hanno reso immune dalla maleducazione di alcuni. Mi rendo conto, però, che non tutti hanno la capacità di farsi scivolare il vilipendio altrui addosso. Le parole hanno il potere di ferire, è per questo che una persona assennata dovrebbe soppesarle con cura prima di usarle, soprattutto in determinati contesti.
Marco Travaglio è un giornalista affermato. Arguto, ficcante, senza peli sulla lingua. Attualmente ricopre la carica di direttore de Il Fatto Quotidiano, una delle più importanti testate nazionali. Qualche anno fa ebbi l’occasione di conoscerlo al termine di un suo spettacolo. Mi avvicinai a lui per salutarlo, lui mi porse la mano senza sapere che non ero in grado di stringergliela e, vedendomi immobile sulla mia carrozzina, invece di sporgersi la ritrasse interdetto – un altro dei tipici episodi imbarazzanti a cui sono ormai abituato -. Ma non divaghiamo, è di un’altra gaffe che si parla oggi.
Marco Travaglio, dicevamo, è piuttosto famoso. Spesso lo troviamo in televisione come opinionista, a commentare fatti giudiziari o denunciare le storture del mondo della politica. Come mercoledì scorso, durante la trasmissione Otto e Mezzo de La7. In un confronto con il senatore Gianrico Carofiglio, Travaglio polemizza:
Andate pure avanti a trattarli come mongoloidi”.
Il riferimento è agli elettori del Movimento 5 Stelle, che a parere del giornalista sarebbero trattati dal Partito Democratico come delle persone incapaci di intendere e volere. L’ultima frase infelice nel lungo elenco di quelle che ho sentito da quel giorno sul pullman. Con la differenza che tra la prima e la seconda sono passati trent’anni, che la seconda è stata detta in diretta televisiva nazionale e che a pronunciarla è stato un giornalista e scrittore. Un professionista, cioè, che con le parole ci lavora e che dovrebbe essere in grado di valutarne l’effetto.
Le reazioni all’esternazione di Travaglio non sono mancate. A cominciare da Coordown, che commenta: “Sono state fatte tante campagne in giro per il mondo e anche nel nostro paese si è lavorato molto perché si smetta di usare termini che si riferiscono a persone con disabilità come ‘mongoloide’, ma anche ‘cerebroleso’, ‘ritardato’ o ‘handicappato’, termini che possono essere neutri se usati in un contesto adeguato ma che possono diventare violenti e denigratori se usati come offesa. Nel momento in cui un giornalista e una testata televisiva permette questo, lo recepiamo come un passo indietro a livello culturale e un’offesa alla dignità delle persone con sindrome di Down, persone che tutti i giorni lottano per dimostrare di poter condurre una vita ordinaria e di potersi autorappresentare in tutti gli ambiti della società”.
Anche il presidente nazionale Anffas Onlus, Roberto Speziale, scrive al giornalista: “Siamo certi che Marco Travaglio non abbia voluto consapevolmente offendere le persone con Sindrome di Down ma si è conformato, come purtroppo ancora in molti fanno, ad un linguaggio che nell’accezione comune tende a considerare le persone con disabilità in termini negativi e stigmatizzanti. Ma a prescindere dalle sue intenzioni e dal contesto, stupisce che quanto accaduto abbia come protagonista proprio chi lavora con le parole e che a maggior ragione dovrebbe sapere quanto possano incidere negativamente determinati termini che riportano a quanto di più odioso ci possa essere per definire una persona con la Sindrome di Down”.
Oggi Marco Travaglio, dalla rubrica della posta del suo giornale, risponde a Speziale:
Caro Speziale (e cari amici dell’Anffas), come lei stesso riconosce il mio intento era tutt’altro che quello di offendere le persone affette da sindrome di Down e le loro famiglie. Anche perché ne conosco personalmente diverse, e so di avere soltanto da imparare da loro. Nell’enfasi polemica con lo scrittore Gianrico Carofiglio, intendevo fargli notare che stava trattando assurdamente 8 milioni e rotti di elettori dei 5Stelle come altrettanti handicappati mentali che votano senza sapere quello che fanno. Non credo che, se avessi detto ‘lei li scambia tutti per dei matti’ o ‘per dei dementi’, avrei offeso i malati psichiatrici, o le persone affette da demenza, e i loro famigliari. Se però con le mie parole, rivolte a un interlocutore con cui stavo polemizzando e non certo alle persone affette da sindrome di Down, ho involontariamente offeso qualcuno, me ne scuso dal più profondo del cuore”.
Scuse che non convincono. Anzi, che peggiorano la posizione di Travaglio, il quale se la sarebbe potuta facilmente cavare adducendo motivazioni come una momentanea caduta di stile per la foga del confronto televisivo, ma che invece reitera quanto espresso due giorni prima. Per iscritto, nero su bianco, stavolta soppesando – immaginiamo – le parole. Ed eccolo rispolverare il vetusto “handicappati mentali” e ribadire che i mongoloidi di cui sopra (ovvero le persone con sindrome di Down) “votano senza sapere quello che fanno”, ignorando che invece hanno pieno diritto di voto.
Una doppia zappa sui piedi per il giornalista, un brutto episodio per chi è più sensibile a questi temi, e l’ennesima espressione infelice, che si va ad aggiungere alla lunga lista di quelle che ho ascoltato fino ad oggi, dai tempi delle scuole elementari.
Articolo di Manuel Tartaglia