Approfondiamo la conoscenza di un importante disturbo legato alla sfera dei sentimenti
Difficile pensare all’amore come a un disturbo, eppure questo nobile sentimento, che per la maggior parte delle persone è sinonimo di gioia, reciprocità e benessere, può per alcuni soggetti rappresentare una vera e propria patologia altamente invalidante.
La parola all’esperta
Approfondiamo il tema della dipendenza affettiva con Giulia Calamai, psicologa e psicoterapeuta cognitivo-comportamentale, che lavora presso l’istituto Ipsico di Firenze e nel suo studio professionale di Pistoia, occupandosi prevalentemente di dipendenze patologiche e disturbi di personalità. Nel corso degli ultimi anni, con le colleghe Antonella Lebruto, Laura Caccico e Valentina Ciorciari, ha approfondito il tema della dipendenza affettiva, pubblicando il libro Dipendenza Affettiva: diagnosi, assessment e trattamento cognitivo-comportamentale, edito da Erickson“.
Dipendenza affettiva, cos’è e come si manifesta
La dottoressa Calamai ci descrive, innanzitutto, in cosa consiste questo disturbo: “Stando all’analisi della letteratura scientifica e alla pratica clinica, per parlare di dipendenza affettiva, deve sussistere un comportamento amoroso problematico che comporta una compromissione significativa del funzionamento e caratterizzato dalla presenza dei seguenti criteri diagnostici: bisogno di un quantitativo sempre maggiore di tempo da passare, in maniera esclusiva, con il partner; astinenza in assenza del partner; irritabilità o irrequietezza se il contatto con il partner è ridotto o impedito; ripetuti sforzi infruttuosi per controllare il proprio comportamento di dipendenza; desiderio persistente del partner (craving); pensieri, fantasie e immagini persistenti in memoria sul partner; forte preoccupazione e dispendio di una quantità considerevole di tempo nel pensare al partner, nel prendersene cura e nel passare del tempo insieme a lui/lei; compromissione del funzionamento individuale con riduzione/cessazione delle altre attività lavorative, ricreative, sociali eccetera“.
Le cause: i legami durante l’infanzia, ma non solo
“La dipendenza affettiva – spiega a Giulia Calamai -, come ogni dipendenza, si genera da un complesso intreccio di variabili intra ed interpersonali, ma vale la pena di menzionare la rilevanza delle esperienze vissute durante lo sviluppo, come la formazione di legami di attaccamento durante l’infanzia. Le ricerche mostrano che le prime esperienze con le figure di attaccamento (caregiver) sono molto importanti e hanno effetti rilevanti sullo sviluppo della personalità del soggetto e sul suo comportamento amoroso in età adulta. Le ricerche ci portano a concludere che l’attaccamento insicuro-ambivalente sembra essere un possibile fattore di rischio per lo sviluppo della dipendenza affettiva, ma teniamo sempre in considerazione che esso agisce in concomitanza con altri fattori di rischio e che esercita un ruolo probabilistico e non deterministico”.
Quando si passa dall’amore sano a quello disfunzionale?
“Quello che la letteratura ci dice al riguardo della dipendenza affettiva è intuitivo: ogni storia (sana o insana) inizia con un ‘quantitativo’ ingente di piacere. Chiunque sia stato innamorato può comprendere di cosa stiamo parlando. La fase successiva, detta del ‘coinvolgimento sentimentale’, si connota per la presenza di euforia e visione gioiosa della vita: questo accade quando le due persone coinvolte si confermano a vicenda il loro sentimento. In questa fase l’altro comincia ad essere percepito come indispensabile (e si genera una ‘sana’ dipendenza). A questo punto insorge anche la ‘labilità emozionale’, con l’umore che frequentemente può passare dall’estasi alla disperazione (a seconda di come l’altro si comporti e di quanto sia disponibile). Quel che accade dopo è lo strutturarsi di un preciso profilo cognitivo, caratterizzato da attenzione selettiva (la mente sviluppa la capacità di notare, selezionare e ricordare tutta una serie di informazioni relative al partner), pianificazione delle attività con l’unica o prevalente finalità di essere vicini all’innamorato. La dipendenza potrebbe essere vista come una possibile fase successiva nella quale il desiderio – inizialmente ‘normale’ – acquisisce la connotazione di un bisogno compulsivo, con la sofferenza che inizia a prevaricare il piacere e con il rimanere nella relazione nonostante le conseguenze negative che ne derivano“.
Un disturbo difficile da riconoscere perché chi ce l’ha lo nasconde
Come per tutte le altre dipendenze, anche quella affettiva viene occultata, se non addirittura negata, da che ne soffre, come ci spiega la dottoressa Calamai: “È difficile riconoscere precocemente i segnali di una dipendenza, soprattutto se si considera la forte reticenza di chi ne soffre ad ammetterlo e a chiedere aiuto. I dipendenti tendono a nascondere il loro problema. Però c’è una serie di segnali che possono essere notati al fine di comprendere se sussista un problema o no: cambiamenti repentini nell’umore (irritabilità, scoppi di collera…); cambiamenti improvvisi nelle abitudini; improvvisi cali della motivazione (mancanza di concentrazione, apatia…); abbassamento del rendimento a scuola o delle prestazioni lavorative; bugie; ricerca dell’isolamento; abbandono delle attività prima preferite; alterazioni nel sonno. A questi segnali aspecifici di disagio possiamo aggiungere tutti quelli direttamente conducibili alla dipendenza affettiva come specificato dai criteri diagnostici”.
In che modo vengono coinvolti i partner?
“Premesso che ogni persona è diversa, e che ogni incastro relazionale ha le sue specificità, di seguito posso elencare alcune dinamiche che ricorrono. Spesso il partner di una persona che soffre di dipendenza affettiva riferisce di aver sentito nei propri riguardi una specie di ‘ossessione’. In particolare, le persone con questa forma di dipendenza possono aver difficoltà a spostare consapevolmente la loro attenzione su qualcosa che non sia il partner, talvolta concentrandosi sul fatto che la relazione possa durare o meno (paura dell’abbandono). Emergono spesso comportamenti di controllo (bisogno di sapere dove si trova l’altro, chiamate alle amiche/agli amici, controllo di nascosto di computer e telefono, richieste di rassicurazione eccetera). Questi circoli viziosi tendono ad aggravarsi, fino a generare liti, più o meno violente”.
Psicoterapia sì, ma specializzata in dipendenze
Chiediamo infine alla nostra intervistata cosa fare per uscire dal tunnel della dipendenza affettiva: “Al fine di chiarirsi le idee potrebbe essere utile contattare uno psicoterapeuta formato sulle dipendenze, in primis per svolgere una valutazione diagnostica finalizzata a verificare la sussistenza della dipendenza affettiva e quindi il percorso più raccomandabile”.
(Manuel Tartaglia)