La modella “brutta” scelta da Alessandro Michele, direttore creativo di Gucci, divide l’opinione pubblica sui reali intenti della casa di moda italiana
La modella armena Armine Harutyunyan, ragazza ventitreenne con 37.300 follower su Instagram, è stata travolta da una valanga di offese ed azioni di body shaming sui social network dopo che Gucci l’ha scelta per sfilare alla Fashion Week di Parigi. La sua colpa? Non essere abbastanza bella, non corrispondere ai canoni di bellezza classici.
Non è la prima volta che la maison italiana incentra la propria campagna pubblicitaria sulla diversità: la memoria corre alla modella Ellie Goldstein, ragazza diciottenne con sindrome di Down, che Alessandro Michele ha selezionato per la campagna beauty di un mascara ed è apparsa sulle pagine di Vogue Italia. Altre modelle con trisomia ventuno hanno sfilato per grandi marchi: l’australiana Madeline Stuart nel 2018 ha sfilato per Victoria’s Secret, mentre la spagnola Marian Avila è stata protagonista della passerella alla New York Fashion Week durante lo show di Talisha White.
Un’altra mannequin “diversa” è Chantelle Brown-Young, conosciuta anche con il nome Winnie Harlow: la ventiseienne canadese è affetta da vitiligine (una condizione cronica della pelle caratterizzata dalla comparsa sulla cute, sui peli o sulle mucose, di chiazze non pigmentate, cioè zone dove manca del tutto la fisiologica colorazione dovuta alla melanina), ma ciò non le ha impedito di essere testimonial di grandi marchi, da Disegual a Diesel.
Questo sembrerebbe mostrare un’apertura, anche mentale, nei confronti della diversità. Ma è tutto oro quel che luccica? Per diversi addetti ai lavori no.
Lele Panzeri, pubblicitario, firma di alcune campagne entrate nella storia – e nella memoria collettiva – dagli slogan “Liscia, gassata o Ferrarelle?” e “Sfrizzola il velopendulo” per Golia bianca fino a “La rivoluzione non russa” per Il Manifesto, dalle colonne de Il Messaggero, infatti, esprime i suoi dubbi sui reali obiettivi di Gucci e dei suoi pubblicitari in merito al caso nato attorno alla modella armena.
“Non so dire se la modella sia bella o brutta, non so quali siano i requisiti per farlo, dipende da chi guarda. Peraltro, osservandola bene, io la trovo abbastanza affascinante. E pensando al passato, in altri campi, ci sono state figure che sono emerse nonostante non rientrassero nei canoni di bellezza tradizionali. Penso a Barbra Streisand e Anjelica Huston, che, a prima vista, possono sembrare non belle, ma hanno grande fascino. Dal punto di vista pubblicitario, però, direi che la scelta del brand è stata tattica. Si evince il desiderio di emergere dalla massa delle comunicazioni”.
“Magari a qualcuno all’interno di Gucci la questione sta molto a cuore – prosegue Panzeri -, ma onestamente a me non sembra che dietro tale scelta ci sia la volontà di valorizzare la donna o sfatare certi preconcetti. A prima vista, la trovo una decisione dettata dalla volontà di distinguersi dagli altri. Una scelta tattica coraggiosa. Credo che prediligere una modella che non rientra nei canoni abituali sia un modo per distinguersi”.
Nessun dubbio, invece, su quanto sia riuscita la campagna promozionale: “Ha funzionato pienamente – continua il noto creativo -, guardando alla discussione che ne è nata. Ha ottenuto una cassa di risonanza di gran lunga superiore a quella delle normali campagne di moda. Un’operazione un po’ diversa ma che, per certi versi, possiamo ritenere analoga è stata quella fatta da Benetton ai tempi delle campagne con Oliviero Toscani (fotografo italiano di fama mondiale), che di fatto riuscivano ad avere successo prima ancora di essere pubblicate”.
Non sembra, dunque, esserci nessuna rivoluzione culturale all’orizzonte: “Be’, sarebbe stato più rivoluzionario – conclude Panzeri – forse se questa scelta l’avesse fatta un brand low cost, alla portata di tutti, ci sarebbe stato più pepe anche nel dibattito. Un brand low cost, se vuole osare, deve farlo molto di più o rischia di essere frainteso”.
(Giuseppe Franchina)