L’undici marzo di cinque anni fa, al largo delle coste nord orientali del Giappone – 30 km di profondità –, la terra trema: nella regione di Tohoku, una scossa di Magnitudo 9 fa innalzare le acque sovrastanti provocando uno tsunami con onde maggiori di 10 metri (fino a 40 raccontano le agenzie di quel periodo, come registrato nella città di Miyako). Le onde dello tsunami viaggiano sino ad abbattersi sulla costa, le conseguenze del maremoto sono spaventose: almeno 15.700 i morti, oltre 4.600 i dispersi, 130mila gli sfollati, 332mila gli edifici distrutti. E ancora: migliaia di strade e decine di ponti e ferrovie distrutte dalla forza dell’acqua. In questo disastro naturale, l’incentivo verso un ulteriore peggioramento, non solo dal punto di vista ambientale, l’ha dato l’incidente avvenuto alla centrale nucleare di Fukushima Dai-ichi, il peggiore che la storia ricordi insieme Chernobyl, col quale condivide il triste primato di incidente di livello 7 (il più alto) nella International Nuclear Event Scale (Ines). Il maremoto ha colpito la centrale nucleare, gestita dalla Tepco, superando le barriere protettive alte oltre cinque metri. Così, i reattori nucleari hanno smesso di funzionare. Quindi, al momento delle scosse, il meccanismo di sicurezza ha posizionato barre di controllo nel nocciolo (è la parte del reattore nucleare a fissione contenente le componenti del combustibile e nella quale avvengono le reazioni nucleari) per bloccare la reazione di fissione nucleare. Dopo aver eseguito l’arresto forzato della fissione, si doveva necessariamente provvedere allo smaltimento del calore residuo prodotto dalla scissione. Solitamente, lo smaltimento avveniva attraverso un sistema di raffreddamento ad acqua che, però, in seguito al maremoto, smise di funzionare. Il malfunzionamento del sistema di raffreddamento ha quindi provocato il surriscaldamento dell’acqua e del combustibile (contenuto all’interno di barre di zirconio), con la conseguente produzione di grandi quantità di vapore ed idrogeno. Un susseguirsi di sfortunati eventi ha fatto sì che scaturisse l’emissione e il rilascio di iodio, cesio e cobalto radioattivi.
GREENPEACE AVVERTE – L’impatto ambientale del disastro nucleare di Fukushima avrà conseguenze su foreste e fiumi per decenni, se non per centinaia di anni. A dimostrarlo, una ricerca condotta da Ulrich Kendra – attivista di Greenpeace per il nucleare – che evidenzia le elevate concentrazioni di radiazioni in nuove foglie e nel polline, l’apparente aumento di mutazioni nella crescita degli abeti con l’aumentare dei livelli di radiazione, e ancora mutazioni ereditarie in alcune popolazioni di farfalle e vermi con Dna danneggiato in zone altamente contaminate. Rilevata anche la contaminazione da cesio in pesci d’acqua dolce importanti dal punto vista commerciale. Si scopre, dunque, che il livello di inquinamento è semplicemente mostruoso. Tuttavia, “Asahi” (quotidiano nazionale del Giappone), ha stabilito che questo è stato osservato solo in un pesce su 37. In altri due pesci di questo gruppo, il livello di sostanze pericolose è stato maggiore rispettivamente di 4 e 2 volte, mentre gli altri erano tutti nei limiti normali. I campioni sono stati prelevati presso l’Istituto di pesca (Fisheries Research Agency) nel delta del fiume, a 40 km a sud dalla sfortunata stazione. Le dichiarazioni di Maksim Singarkin – vicepresidente del Comitato della Duma di Stato sulle risorse naturali, l’ambiente e l’ecologia – ,in merito alla questione, lasciano poco spazio all’immaginazione: “Dalle decine di cellule algali viene sintetizzata, relativamente parlando, una cellula di mollusco. Ma una dozzina di cellule di molluschi sature di radiazioni dalle alghe,si trasformano nella cellula di un pesce. Una persona che consuma questo pesce, consuma anche la radioattività, concentrata in tonnellate d’acqua. Cioè, quando la concentrazione di agenti inquinanti si sposta lungo la catena alimentare, questa aumenta”.
LA QUESTIONE ABITATIVA – Un altro nodo da sciogliere, oltre che conseguenza spiacevole di questa calamità, è la politica abitativa del paese: a distanza di cinque anni dal disastro, sono ancora 59.000 le persone presenti nei prefabbricati delle tre regioni colpite dal triplice incidente. Le operazioni per le consegne dei nuovi alloggi potrebbero non concludersi prima del 2021. Potrebbero volerci, quindi, altri cinque anni per trasferire gli sfollati della catastrofe di Fukushima del 2011 dai centri di accoglienza dove vivono ancora oggi. Il Sol Levante non è la prima volta che si trova di fronte a difficoltà dovute ad eventi sismici, durante il terremoto di Kobe – avvenuto nel ’95 – le nuove residenze, però, furono assegnate nel giro di cinque anni. Stavolta, il protrarsi del tempo è dovuto alla mancanza di aree abitabili, difficili da reperire, poiché l’erosione del territorio, avvenuta dopo l’impatto con lo tsunami, è una piaga complessa da debellare. In tutto questo, sulla testa di Shinzo Abe – premier giapponese – pende la spada di Damocle delle Olimpiadi. Il tempo corre e Tokyo ospiterà i giochi olimpici del 2020; dai vertici assicurano che in concomitanza con l’inizio della manifestazione, il risanamento della regione Tohoku sarà completato. Intanto, Toshiba ha progettato un robot che assisterà gli operatori nei lavori sui reattori. A dimostrazione che l’operazione di risalita non passa soltanto attraverso una vetrina sportiva, ma la tecnologia può divenire l’ausilio giusto per far sì che un uomo non si trovi solo e inerme dinnanzi alle difficoltà. Infatti, Il futuro del sito di Dai-ichi è ora nelle mani, anzi nelle braccia, di un robot che potrà sostituire completamente il lavoro umano. Questo perché, l’anno scorso, il governo giapponese ha riconosciuto la pensione d’invalidità a un uomo che ha sviluppato la Leucemia dopo aver lavorato per mesi all’interno della centrale. Secondo quanto riporta il New York Times, sarebbe il primo caso riconosciuto di cancro dovuto all’esposizione nucleare nel sito di Fukushima.
Articolo di Andrea Desideri