Riceviamo e pubblichiamo una riflessione su un tema di cui si sta recentemente discutendo, il ripristino delle classi separate
Ultimamente ha fatto discutere la proposta di formare classi separate per gli alunni con disabilità all’interno delle scuole. Ma dove finirebbero gli anni di lotta d’inclusione di tutti gli esseri umani nelle scuole senza discriminazioni? Si tornerebbe a istruire alcune persone separatamente o addirittura a casa? E con quale finalità? I sostenitori di questa proposta rispondono in genere che “così sarebbero istruiti meglio”.
Forse dovremmo porci delle domande e cercare delle risposte che vadano a racchiudere la globalità di questa tematica a più ampio raggio, affrontando con specificità tutte le criticità che si possono presentare. Parlando per esperienza personale, quando penso al mio passato come persona disabile e come studente di scuola pubblica e poi privata, non avrei mai voluto avere una formazione differente da quella che ho ricevuto perché sono orgogliosa di come ho trascorso quegli anni caratterizzati da lotte per affermarmi, ma soprattutto da molti gesti di solidarietà da parte dei miei compagni. Ricordo ancora con molto piacere che durante le scuole elementari un compagno, diventato poi un amico, mi portava spesso lo zainetto quando facevamo le gite e mi teneva per mano quando affrontavamo strade più complicate per me. Questa è una delle tante situazioni che ho vissuto, che mi hanno permesso di diventare ciò che sono ora: una donna ed una professionista che ha dedicato la sua intera vita, nella sua piccola quotidianità, a far capire che l’inclusione è uno dei mezzi più potenti per evolverci.
Bisognerebbe superare l’idea che l’istruzione possa essere percorsa da tutti attraverso tappe ben predefinite e standardizzate, non escludendo o stigmatizzando ma al contrario adottando una didattica inclusiva che possa trasformare l’ambiente educativo in un luogo in cui si possa favorire l’autosviluppo di ogni individuo, promuovendo la crescita globale dell’intera comunità, non solo scolastica, ognuno con la propria specificità. Infatti, facendo storicamente un passo indietro, alcuni bambini considerati “non normali” seguiti da Maria Montessori superarono gli esami di licenza elementare brillantemente accanto agli altri bambini considerati “normali”.
Nell’epoca delle grandi riforme e precisamente negli anni Settanta, si posero le basi per effettuare dei cambiamenti radicali anche nell’istruzione, cominciando a parlare di “inserimento” per riferirsi all’adattamento del bimbo disabile al resto del contesto scolastico. In seguito, il vocabolo “inserimento” fu sostituito dalla parola “integrazione”, che spesso viene erroneamente utilizzata come sinonimo di “inclusione”, mentre si tratta di una strategia metodologica differente finalizzata alla partecipazione e al coinvolgimento delle persone disabili nella comunità. “Inclusione”, al contrario, mette al centro il valore delle diversità come occasione di crescita per tutti gli individui e nello specifico permette che l’istituto scolastico diventi una comunità contenente una differente pluralità di persone portatrici di diversi bisogni. In particolare, attraverso la Legge 517 del 04/08/1977, vennero abolite la scuole speciali ed ora a distanza di molti anni si discute se reinserire gli alunni disabili in classe separate.
Come ci insegna il nostro passato, le classi eterogenee potrebbero essere una fonte di ricchezza poiché favoriscono lo sviluppo individuale delle persone attraverso il confronto diretto con l’altro basato sull’accettazione e il reciproco sostegno, combattendo ogni forma di pietismo o peggio di stigmatizzazione o bullismo.
In ultima analisi, bisognerebbe riflettere molto sul promuovere una scuola inclusiva, che possa trasformare l’ambiente socioeducativo coinvolgendo l’intera comunità. Tale pensiero è anche in linea con l’attuale orientamento internazionale della concezione della disabilità dell’ICF (Classificazione Internazionale del Funzionamento, della Disabilità e della Salute) legata a un modello che vede la condizione dell’essere umano come il prodotto fra il suo “funzionamento” e il contesto di vita. Pertanto, sostenere l’inserimento dell’alunno con disabilità in classi separate potrebbe legittimare l’errata idea di considerarlo come un fardello che rallenta le lezioni scolastiche o addirittura come fonte di disturbo, vanificando e annientando anni di lotta che le persone hanno affrontato per includersi nella società senza essere etichettate.
(Ilaria Maugliani)