Solitamente, quando si pensa ai campi in cui l’Italia eccelle, viene spontaneo citare la moda, il design e il settore enogastranomico. Difficilmente penseremmo al mondo delle tecnologie. Sbagliando. Sono tante, infatti, le realtà italiane impegnate nel campo scientifico e che hanno ottenuto apprezzabili risultati. Si tratta di organizzazioni certamente più piccole dei colossi americani o asiatici, ma non per questo prive di idee e dalle grandi potenzialità. Vogliamo fare la conoscienza di una di queste, che tra l’altro sviluppa con successo dei progetti volti al miglioramento della qualità della vita delle persone con disabilità.
La Open BioMedical Initiative è un’organizzazione non profit globale impegnata nello sviluppo di tecnologie biomedicali open source, low cost e realizzabili con la stampa 3D. E’ formata da volontari italiani e internazionali, dalle più svariate competenze tecniche, che vengono messe a disposizione per raggiungere la loro missione: aumentare l’accessibilità alle tecnologie biomedicali per aiutare chiunque nel mondo, ovunque si trovi, unendo la collaborazione online e la concretizzazione di queste attività sotto forma di progetti.
Chiediamo lumi sugli ultimi lavori della Open BioMedical Initiative. “Abbiamo recentemente presentato i nostri tre progetti – ci rispondono – attualmente in fase di completamento: Wil, la protesi meccanica per mano e Fable, la protesi elettromeccanica per arto superiore, entrambe stampate in 3D; e infine Bob, la prima incubatrice neonatale stampata in 3D. Tutti i progetti sono realizzati con materiali economicamente accessibili, altamente personalizzabili e riparabili proprio grazie alla flessibilità della stampa 3D. Quest’ultima permette di facilitare la distribuzione del dispositivo, perché esso non deve essere trasportato (risentendo di limiti geografici, politici e sociali) ma può essere prodotto in loco: l’unico presupposto è Internet (che rende possibile l’invio dei file da stampare) e una stampante 3D”.
Alla scorsa edizione della fiera delle invenzioni Maker Faire avete avuto l’opportunità di far conoscere ai non addetti ai lavori i vostri progetti. Che reazioni avete registrato?
“Abbiamo ricevuto un bellissimo riscontro da parte del pubblico. L’affluenza è stata molto grande, giovani e adulti ci hanno riempito di domande curiose, interessati a capire come un’idea riesca a diventare concreta grazie alle stampanti 3D, macchine sempre più diffuse ma tuttavia ancora viste come ‘esotiche’ dal grande pubblico, che proprio adesso inizia a intuirne le grandi potenzialità. Abbiamo ricevuto anche un’ampia copertura mediatica da parte di tg e giornali, in particolare riguardo al progetto Bob, finalizzato a ridurre la mortalità infantile soprattutto nei paesi più poveri”.
In che modo i maker, ovvero gli inventori come voi, possono aiutare chi ha una disabilità?
“Il mondo maker può contribuire a migliorare la qualità della vita delle persone con disabilità per lo stesso motivo per cui può farlo in modo più ampio il mondo open source: essendo una realtà che nasce ‘dal basso’, offre una partecipazione massiva, ampia, alla risoluzione dei problemi. Tutti possono partecipare al processo creativo, confrontarsi sulle proprie idee, aiutarsi a vicenda. Creare, risolvere, costruire diventano così attività più rapide, più economiche e più accessibili. E in tutto questo, coloro che hanno bisogno di aiuto fanno parte del processo stesso, suggerendo le loro necessità ai maker, facilitando lo sviluppo di soluzioni che sono adattate a loro e non viceversa. Il mondo maker offre passione, personalizzazione, rapporto umano. Offre un approccio in cui il problema non è un limite, ma un punto di partenza, un’opportunità”.
Teniamo d’occhio il lavoro di questi giovani inventori, presto potrebbe fare la differenza nella vita di molte persone.
Articolo di Manuel Tartaglia